Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6693 del 20/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6693 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPPELLO IVAN N. IL 16/06/1975
avverso la sentenza n. 319/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
10/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E u- -ht:L.D bekk ceyk
che ha concluso per IL
(~Zu
QA-13-12-k-A-4-4AQ- HUDLAA.‘,1).:Dv.12.:

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 20/01/2014

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2.12.2009

il Tribunale di Lecce sez.dist. Nardò

dichiarava Cappello Ivan colpevole del reato previsto dall’art.2 legge
n.1423 del 1956, per avere contravvenuto al foglio di via obbligatorio del
Questore di Lecce che gli inibiva di fare ritorno nel Comune di Copertino
per un periodo di anni tre, fatto commesso il 10.1.2007. Per l’effetto,
concesse circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di

Con sentenza del 10.10.2012 la Corte di appello di Lecce conferma la
decisione del Tribunale di Lecce.
Avverso la sentenza il difensore ricorre deducendo il vizio di
motivazione carente, illogica e contraddittoria a norma dell’art.606
comma 1 lett.e) cod.proc.pen. per il seguente motivo: tanto il Tribunale
quanto la Corte di appello hanno ignorato o svalutato la documentazione
prodotta a dimostrazione della sussistenza di una causa di giustificazione
legittimante la condotta del ricorrente che ha fatto ritorno presso il Sert
di Copertino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per vizio logico della motivazione è inammissibile per
manifesta infondatezza.
1.1 giudici di merito hanno rigettato la tesi difensiva, secondo cui il
ritorno nel Comune di Copertino era dettato dalla necessità di sottoporsi
ad un trattamento presso il locale Sert, osservando che, in presenza di
una effettiva necessità, l’imputato avrebbe dovuto richiedere una
autorizzazione al rientro e che la documentazione prodotta dimostrava
soltanto che egli era genericamente sottoposto ad una terapia di recupero
presso il Sert di Copertino sin dal 1995, ma non conteneva alcuna
indicazione in ordine al fatto che, nello specifico giorno in contestazione,
egli avesse dovuto effettivamente recarsi al Sert.
L’argomentazione svolta dai giudici di merito non evidenzia alcun
vizio logico e le censure contenute nel ricorso propongono una diversa
valutazione dei dati fattuali non ammessa nel presente giudizio.
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso per manifesta
infondatezza preclude la rilevabilità d’ufficio della prescrizione del reato

mesi uno e giorni dieci di arresto.

contravvenzionale, commesso nel gennaio 2007, intervenuta prima della
pronuncia della sentenza di appello e non dedotta dal ricorrente.
Secondo una prima pronuncia di questa Corte, sezioni unite,
l’inammissibilità del ricorso per cassazione stabilita dall’art.606 comma 3
cod.proc.pen., derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi, non
impedisce la rilevabilità d’ufficio delle cause di non punibilità previste
dall’art.129 cod.proc.pen.; viceversa la rilevabilità d’ufficio deve ritenersi
preclusa dalla inammissibilità del ricorso derivante dall’enunciazione di

motivi non consentiti e dalla denuncia di violazioni di legge non dedotte
con i motivi di appello (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213).
Tale distinzione, operata nell’ambito della cause di inammissibilità del
ricorso previste dall’art.606 comma 3 cod.proc.pen., è stata superata
dalle successive pronunce delle Sezioni Unite, le quali hanno stabilito
che l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza non è
ontologicamente diversa dalle altre cause di inammissibilità previste
dall’art.603 comma 3 cod.proc.pen. con specifico riguardo al ricorso in
cassazione, e dall’art.591 comma 1 con riguardo alle impugnazioni in
generale, poiché anch’essa, al pari delle altre cause originarie di
inammissibilità del ricorso, costituisce “vizio intrinseco” dell’atto che,
impedendo la valida costituzione del rapporto processuale di
impugnazione, preclude “a monte” l’esercizio dei poteri cognitivi di ufficio
previsti dall’art.609 comma 2 cod.proc.pen.; ne consegue che
l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale, derivante dalla
proposizione di un atto di impugnazione inammissibile perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dall’art.591 comma 1 ( ad
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, costituente
causa sopravvenuta di inammissibilità) e dall’art.606 comma 3
cod.proc.pen., preclude la possibilità di rilevare d’ufficio ai sensi
dell’art.129 cod.proc.pen. l’estinzione del reato per prescrizione, pur
maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma
non dedotta dalla parte con il ricorso per cassazione (Sez. U, n. 23428
del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; conforme Sez. U, n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv. 217266, secondo cui l’inammissibilità del
ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,

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.0-

pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a
norma dell’art. 129 cod. proc. pen.).
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali e, sussistendo il
presupposto soggettivo, al versamento in favore della Cassa delle
ammende della somma di mille euro.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente

al

pagamento delle spese processuali e della somma di mille euro alla
Cassa delle ammende.
Così deciso il 20.1.2014.

P.Q.M.

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