Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 669 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 669 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORELLI IVAN ENRICO N. IL 22/03/1963
SIMONCELLI MARIO N. IL 22/11/1936
avverso la sentenza n. 446/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del
08/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 13/11/2013

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
per i ricorrenti sono presenti gli avv.ti Guido Pietropolli Charmet, difensore di
Simoncelli e Glauco Gasperini, in sostituzione del prof. Angelo Giarda, difensore

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata era confermata quella del 20 febbraio 2006 del
Tribunale di Milano, con la quale Morelli Ivan Enrico e Simoncelli Mario erano
condannati alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e documentale aggravata, perché il primo in qualità di
socio accomandatario della “Maglificio San Giorgio di Morelli Ivan e C. s.a.s”,
dichiarata fallita con sentenza del 7 luglio 1994 del Tribunale di Milano, il
secondo quale commercialista della fallita, che forniva la consulenza tecnica e
predisponeva la documentazione giustificativa delle illecite condotte poste in
essere, tenevano le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione
del movimento degli affari e distraevano il corrispettivo dell’importo di lire
1.027.943.000, emettendo la fattura del 15 dicembre 1993, avente ad oggetto
un’operazione economica inesistente con la SFI-FORNIVOIRE ed avviando
all’esportazione in Costa d’Avorio 4128 articoli in luogo dei 195.830 capi di
abbigliamento indicati nella fattura.
2.

Contro la sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati, ciascuno

autonomamente.
2.1 II difensore di Simoncelli Mario, avv. Guido Pietropoli Charmet, deduce due
motivi, denunciando violazione dell’articolo 606 cod. proc. pen., lettera B, in
relazione all’art. 110 cod. pen., per erronea applicazione della norma in materia
di concorso di persone nel reato, poiché l’istruttoria non ha dimostrato la
responsabilità dell’imputato, nella sua qualità di commercialista, a livello
ideativo, privilegiando il ricorso ad un criterio presuntivo, nonché violazione
dell’articolo 606 cod. proc. pen., lettera E, in relazione all’art. 378 cod. pen., per
omessa motivazione in ordine al motivo di appello con il quale si chiedeva la
riqualificazione della condotta nella diversa ipotesi di favoreggiamento personale,

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di Morelli, i quali chiedono l’accoglimento dei rispettivi motivi di ricorso.

essendo il contributo dell’imputato intervenuto in una fase successiva alla
distrazione, dopo il sequestro.
2.2 D difensore di Morelli Ivan Enrico, prof. Angelo Giarda, deduce quattro
motivi.
2.3 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod. proc.

1942, n. 267, per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione ai motivi di appello, con i quali si contestava il metodo induttivo
utilizzato la Guardia di Finanza per dimostrare la distrazione del corrispettivo
della vendita di merci in Costa d’Avorio, documentata dalla fattura numero 152
del 1993. La difesa contesta la prova dell’esistenza e della successiva distrazione
della merce sottratta, osservando che se la contabilità è stata tenuta in modo da
non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, non
vi è prova della distrazione, mentre se tale prova si deduce (anche) dalla
contabilità, evidentemente non vi sarà la bancarotta documentale; di qui la
contraddittorietà logica della motivazione. Il ricorrente contesta altresì
l’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale l’imputato non può
dolersi del vuoto probatorio dovuto alla mancanza di documentazione dell’attività
societaria, per esserci contestazioni di bancarotta documentale, poiché tale
mancanza si traduce in mancanza di prova della bancarotta per distrazione. In
conclusione, quindi, la sentenza impugnata è contraddittoria intrinsecamente e si
pone in contrasto con le acquisizioni probatorie.
2.4 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera B ed E, in relazione sussistenza della bancarotta fraudolenta
patrimoniale, per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
rispetto alle prove acquisite, poiché si afferma che l’operazione distrattiva era
stata realizzata solo in minima parte, ma non si precisa l’entità e la rilevanza
della parte residua, che resta dubbia e dunque non in grado di supportare
un’affermazione di responsabilità.
2.5 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod. proc.
pen., lettera B ed E, in relazione all’art. 110 cod. pen., poiché l’affermazione di
responsabilità per entrambe le ipotesi di bancarotta si fonda sul ritrovamento di
alcuni documenti (ritenuti falsificati) trovati nello studio del ragionier Simoncelli e
recanti il carattere grafico di una macchina da scrivere che si trovava nei locali

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pen., lettera B ed E, in relazione agli articoli 216, 219 e 222 del R.D. 16 marzo

dello studio Simoncelli, per cui la falsificazione e la bancarotta documentale
dovevano essere attribuiti al solo Simoncelli, o a persona del suo studio
professionale e non anche al Morelli, a titolo di concorso nel reato.
2.6 Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera C ed E, in relazione all’art. 133 cod. pen., in punto di

precedenti penali dell’imputato, trascurando le deduzioni difensive introdotte con
l’appello, con le quali si rilevava che le due ipotesi di bancarotta si collocano in
un tempo assai ristretto, legato alla difficoltà operativa connessa con
l’operazione di vendita di merci alla Costa d’Avorio; che il danno economico non
è rilevante; che la condotta successiva al reato dell’imputato è del tutto
irreprensibile, non avendo Morelli riportato alcuna ulteriore condanna dal 1994,
epoca dei fatti.
3. Con memoria del 17 ottobre 2013 il difensore di Morelli Ivan Enrico propone
motivi nuovi di ricorso, deducendo l’intervenuta estinzione del reato per
intervenuta prescrizione, maturata il 7 aprile 2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.
1.1 Quanto al ricorso dell’imputato Simoncelli, il primo motivo è inammissibile
per genericità.
Il ricorrente lamenta una “valutazione non coerente con le effettive risultanze
processuali” in relazione al concorso di persone nel reato di bancarotta, poichè a
suo giudizio l’istruttoria non ha dimostrato il contributo nella ideazione e messa
in opera della condotta di distrazione patrimoniale, fondata su un criterio
presuntivo, trascurando che la decisione di appello fonda tale concorso sul
ritrovamento delle bozze dell’operazione manoscritte – dallo stesso Simoncelli – e
sulla testimonianza di Nardino Maria Grazia.
1.2 Ancora più approfonditamente la sentenza di primo grado (la cui motivazione
integra quella di appello formando un unico complesso corpo argomentativo,
poichè entrambe concordano nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni; cfr. Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000,

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quantificazione della pena, per il diniego delle attenuanti generiche, fondato sui

Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181)
chiarisce che nella sede della Sigest srl, amministrata formalmente dalla moglie
dell’imputato, ma gestita dal Simoncelli, furono trovati tre fogli quadrettati, la cui
grafia fu attribuita dalla Nardino al Simoncelli, riproducenti una bozza di
denuncia di danni del Maglificio San Giorgio, che logicamente doveva provenire

apparentemente dalla SFI Fornivoire, con i caratteri della macchina da scrivere
della Sigest; tali elementi svelavano il carattere fraudolento della vendita di
merci alla Costa d’Avorio.
Con tali argomenti il Simoncelli non si confronta, limitandosi a lamentare il
ricorso nella motivazione a presunzioni.
2. Il secondo motivo, riguardante la qualificazione della condotta dell’imputato ai
sensi dell’art. 378 cod. pen., è infondato, poiché la decisione impugnata precisa
che, poichè la condotta del Simoncelli si colloca in una fase anteriore alla
sentenza dichiarativa di fallimento, non può ritenersi successiva al delitto di
bancarotta.
3. Il primo motivo di ricorso di Morelli è infondato.
3.1 La Corte territoriale afferma che lo stratagemma di riempire 320 scatoloni
(su 336) di stracci da spedire in Costa D’Avorio, simulando la spedizione di
indumenti, servì chiaramente a nascondere attività illecite di depauperamento
della società, anche indipendentemente dal peso o dalla qualità della merce
sottratta; il mancato rinvenimento nel magazzino della società della merce
apparentemente inviata alla SFI Fornivoire o del corrispettivo in denaro dimostra
una vendita in nero con appropriazione del ricavato. Nessuna erronea
applicazione della legge penale, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione si può rinvenire in tale assunto, poiché esso rappresenta corretta
applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui
l’imprenditore individuale, che è illimitatamente responsabile con tutti i beni
presenti e futuri ex art. 2740 c.c. e gli amministratori di una società dichiarata
fallita hanno l’obbligo di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni
acquisiti al patrimonio, in quanto la destinazione legale dei beni del debitore
all’adempimento delle obbligazioni contratte comporta una limitazione della
libertà di utilizzare gli stessi, onde dalla mancata dimostrazione può essere
desunta la prova della distrazione o dell’occultamento (Cass., sez. 5, 15

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dal cliente destinatario della merce (e non dal mittente) nonché missive redatte

dicembre 2004, n. 3400, sez. 5, 31 gennaio 2000, n. 997, sez. 5, 17 maggio
1996, n. 9430, sez. 5, 8 ottobre 1997, n. 11703). Pertanto l’imputato avrebbe
dovuto dare conto della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato cosa
che non ha fatto, tenuto conto che non sono stati rinvenuti dalla curatela.
Nessuna contraddittorietà o manifesta illogicità è riscontrabile nel ragionamento

risultanze della contabilità, ma sulla prova dell’operazione fraudolenta, poiché,
come in modo del tutto coerente e logico afferma la sentenza impugnata, “Io
spedire 320 scatoloni di scarti (dal totale di 336 si tolgono i 16 che
effettivamente contenevano indumenti), indicandoli come abbigliamento ed il
precostituire false lettere di contestazione da parte dell’asserita acquirente,
dimostra oltre ragionevole dubbio (ed anzi in modo certo e inconfutabile) la
manovra truffaldina, spoliativa e depredatoria delle case sociali e dei diritti dei
creditori”.
4. Anche il secondo motivo, con il quale viene censurata la motivazione in ordine
all’affermazione della bancarotta documentale, è infondato.
Il ricorrente lamenta ancora una volta l’utilizzo di uno schema presuntivo e
l’omesso esame delle deduzioni proposte con l’atto di appello, in ordine alla
necessità di precisare in che parte la vendita in Costa D’Avorio era stata reale e
se essa andava riportata nelle scritture contabili, alla luce del regime
semplificato di contabilità; la risposta della Corte territoriale non può però dirsi
carente.
Quanto al primo punto, va richiamato quanto detto a proposito della vendita
simulata, che non ha trovato alcun riscontro nelle scritture scontabili. Quanto
all’omesso esame delle censure, la Corte territoriale rammenta che la contabilità
semplificata non può mai porsi come paravento per attività illecite e che,
indipendente dai fini tributari delle stesse, le annotazioni economiche e contabili
aziendali devono dar modo di ricostruire le attività del soggetto, cosa che nel
caso di specie non è stato possibile, a prescindere dal valore dei beni realmente
inviati in Costa D’Avorio.
5. Il terzo motivo è inammissibile poiché propone censure in punto di fatto,
inammissibili in sede di legittimità.
Il ricorrente deduce una errata valutazione delle risultanze dell’istruttoria
dibattimentale, le quali a suo giudizio non consentivano di affermare il concorso

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della Corte territoriale, poiché la prova della distrazione non è fondata sulle

dell’imputato nel delitto di bancarotta documentale, ascrivibile solo al suo
commercialista. Una simile censura sollecita infatti un diverso apprezzamento
delle prove.
5.1 Sul punto deve osservarsi che ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod.
proc. pen., comma 1, lett. E), il controllo di legittimità sulla motivazione non

ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità
evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo
del provvedimento.
5.2 Va ancora precisato che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma
dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), può essere solo quella
“evidente”, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu muli, in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto. Infatti il sindacato demandato alla Corte di Cassazione, si limita al
riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Deve
inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve
risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo
apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica
“rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla
conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura
soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della
logica.
5.3 I termini della questione non paiono mutati neppure a seguito della nuova
formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), intervenuta a
seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del
giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e
non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che
il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della

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concerne nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito,

logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o

5.4 Alla Corte di Cassazione, non è quindi consentito di procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente,
ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal
giudice del merito. Parimenti non è consentito che, attraverso il richiamo agli
“atti del processo”, possa esservi spazio per una rivalutazione
dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di
apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al
giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa; un
tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto.
6. Il quarto motivo, riguardante il trattamento sanzionatorio, sotto il profilo della
motivazione del diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile.
6.1 Va al proposito rimarcato che il riconoscimento delle attenuanti generiche, e
il connesso giudizio di bilanciamento con le aggravanti, sono statuizioni che
l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è
margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo
conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’appello
non ha mancato di motivare la propria decisione, facendo riferimento alla gravità
del fatto e richiamando in particolare le modalità della “manovra truffaldina”
mediante le quali sono stati consumati i delitti contestati, considerazione che si
aggiunge a quella della personalità desumibile dal certificato del penale, dal
quale emergono reati della stessa specie di quelli oggi contestati.
6.2 Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo
adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è

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radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda
singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo
invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio
complessivo, assumono eminente rilievo.
7. Va infine esaminato il motivo con il quale, ai sensi dell’art. 585, comma 4,

maturata a suo dire il 7 aprile 2013.
7.1 II motivo è infondato, poiché, pur essendo corretta l’individuazione della
normativa applicabile e di conseguenza il tempus di 18 anni e 9 mesi per il
calcolo della prescrizione, il ricorrente trascura di considerare gli ulteriori 7 mesi
e 25 giorni, che vanno aggiunti ai sensi dell’art. 159 cod. pen., per effetto dei
rinvii del 10 giugno 2003 (per concomitante impegno professionale del difensore)
e del 10 dicembre 2003 (ai sensi dell’art. 5 della legge 134 del 2003).
In particolare il primo dei due rinvii, per un tempo di 6 mesi, va considerato per
intero, poiché, come recentemente precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(Sez. U, n. 43428 del 30/09/2010, Corsini, Rv. 248383) ai fini del calcolo dei
termini di prescrizione del reato, deve tenersi conto della disposizione per cui, in
caso di sospensione del processo per impedimento dell’imputato o del suo
difensore, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno
successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, soltanto con riguardo ai
rinvii disposti dopo la sua introduzione, avvenuta con la legge 5 dicembre 2005,
n. 251.
8. In conclusione i ricorsi vanno rigettati, con condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013
Il consigliere estensore

Il Presidente

cod. proc. pen., il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato,

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