Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6687 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6687 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEPE’ DOMENICO N. IL 17/03/1955
avverso la sentenza n. 2051/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ntd GE(.0 bt
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 4.10.2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria
ha confermato la sentenza in data 24.03.2010 con cui il giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Palmi, a seguito di giudizio abbreviato, aveva
condannato l’imputato Pepè Domenico alla pena di mesi 8 di reclusione, oltre
statuizioni consequenziali, per il reato di cui all’art. 9 comma 2 legge n. 1423 del
1956, con l’aggravante della recidiva, consistito nella violazione delle prescrizioni
della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di

associarsi abitualmente a persone che avevano subito condanne o erano
sottoposte a misure di prevenzione e sicurezza, frequentando Cacciola Michele e
Abbadessa Giuseppe nelle date rispettive dell’1.09.2007 e del 17.02.2009.
Dalla motivazione delle sentenze di 10 e 2° grado risulta che l’imputato, già
denunciato in precedenza per analoghe violazioni, era stato visto intento a
dialogare sulla pubblica via, in Rosarno, nelle date suindicate, la prima volta col
Cacciola e la seconda con l’Abbadessa, soggetti entrambi pregiudicati; la Corte
territoriale rilevava che la condotta complessiva del Pepè, resosi responsabile di
reiterate violazione della medesima prescrizione, escludeva la natura occasionale
di tali comportamenti, e riteneva pertanto integrato il reato ascritto.
2. Ricorre per cassazione Pepè Domenico, a mezzo del difensore, deducendo
violazione di legge, mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, della quale chiede l’annullamento, in quanto la Corte
d’Appello aveva fondato l’affermazione di responsabilità sulla base di semplici
indizi, e non di una prova certa, valorizzando un incolpevole e irrilevante
atteggiamento del prevenuto, che si era limitato in due sole occasioni, a distanza
di due anni l’una dall’altra, a incontrarsi per breve durata, in luogo pubblico e in
orario diurno, con due soggetti diversi, con modalità inidonee a integrare il
requisito dell’abitualità che doveva caratterizzare la condotta incriminata,
finalizzata a reprimere l’instaurazione di relazioni interpersonali di natura non
sporadica tra soggetti ritenuti pericolosi, così da frustrare lo scopo di
prevenzione della misura applicata; il ricorrente lamenta inoltre la misura
eccessiva della pena inflitta e il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche, in assenza di un giudizio prognostico di personalità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, limitandosi a una generica censura in punto di fatto
della lettura delle (pacifiche) risultanze processuali operata dalla sentenza
impugnata, che ha fatto corretta applicazione al caso di specie del principio di
diritto ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui in tema di violazione
degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, ai fini della
1

soggiorno nel Comune di residenza, e in particolare della prescrizione di non

configurabilità della violazione della prescrizione di non associarsi abitualmente
con pregiudicati, non è richiesta una costante e assidua relazione interpersonale,
ben potendo la reiterata frequentazione essere assunta a sintomo univoco
dell’abitualità di tale comportamento, idonea a integrare il reato contestato: sono
stati perciò ritenuti sufficienti anche due soli incontri con soggetti pregiudicati
(come pacificamente accertato a carico del ricorrente nelle date dell’1.09.2007 e
del 17.02.2009), in quanto sintomatici di un’associazione abituale, che non può
essere automaticamente esclusa per il solo fatto che gli incontri non abbiano

(Cacciola Michele e Abbadessa Giuseppe), come avvenuto nel caso in esame
(cfr., in termini, Sez. 1 n. 26785 del 17/06/2009, Rv. 244791, e Sez. 1 n. 47109
del 26/11/2009, Rv. 245882, che costituiscono espressione di un indirizzo
consolidato).
La sentenza impugnata non è dunque incorsa in alcuna violazione di legge e ha
correttamente ritenuto, nella condotta dell’imputato, la sussistenza del reato di
cui all’art. 9 comma 2 legge n. 1423 del 1956 (ora art. 75 comma 2 D.Lgs. n.
159 del 2011), con motivazione logica, coerente a puntualmente aderente alle
risultanze istruttorie.
2. Le doglianze riguardanti la misura del trattamento sanzionatorio si risolvono a
loro volta in mere questioni di fatto, indeducibili in questa sede di legittimità.
3.

Dall’inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende
della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 1.000 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5/12/2013

riguardato sempre lo stesso soggetto pregiudicato, ma due soggetti diversi

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