Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6682 del 13/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6682 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONTI FERRARO PASQUALINO CRISTOFARO N. IL 14/07/1970
MOBILIA GIUSEPPE N. IL 28/03/1981
avverso la sentenza n. 304/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del
11/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1 ‘k
che ha concluso per – i –

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 13/06/2013

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 11 maggio 2011 la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza
del Tribunale di Messina in data9 marzo 2006 di condanna alle pene della reclusione in anni sei
e della multa in C 1.500,00 e – nel concorso di circostanze attenuanti generiche equivalenti alla pene della reclusione in anni quattro e della multa in C 600,00 rispettivamente a carico di
Pasqualino Cristofaro Conti Ferraro e di Giuseppe Mobilia, imputati del delitto di estorsione
tentata, perpetrata, con le aggravanti delle persone riunite e del metodo mafioso, in danno dei

Sulla base della testimonianza della persona offesa Cateno Lombardo, i giudici di merito hanno
accertato che Mobilia aveva accompagnato nel bar-pasticceria Lombardo Conti Ferraro e lo
aveva presentato a Cateno come un suo amico; il Conti Ferraro aveva, quindi, chiesto al
pasticcere la corresponsione di regalie quale corrispettivo della protezione del locale,
dimostrando di essere a conoscenza del furto patito tempo prima dall’esercizio, e aveva,
altresì, palesato la propria appartenenza alla cosca Cintorino; Lombardo aveva tergiversato;
unitamente ai familiari, aveva, quindi, deciso di non soggiacere alla imposizione del pizzo e
aveva denunziato il tentativo di estorsione; Mobilia, peraltro già cliente del bar, aveva
continuato a frequentare il locale in attesa della risposta; ma, dopo aver appreso notizia della
denunzia, si era dileguato.
Con riferimento ai motivi di appello e in relazione a quanto serba rilievo nella sede del presente
scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha osservato quanto segue.
Doveva essere disattesa la richiesta di Conti Ferraro di rinnovazione della istruzione
dibattimentale per l’acquisizione del processo verbale della individuazione fotografica di Conti
Ferraro da parte di Cateno Lombardo, nonché della fotografie segnaletiche esibite al testimone.
Alla stregua degli elementi di prova acquisiti, la rinnovazione della istruzione dibattimentale
non appariva strettamente necessaria e indispensabile. La testimonianza della persona offesa,
Cateno Lombardo, il quale aveva avuto modo di osservare durante il colloquio l’appellante e
ne aveva descritto le fattezze, offriva la certezza della identificazione.
Integrava perfettamente il tentativo di estorsione

«la richiesta di regalie per scongiurare

commercianti Salvatore Lombardo e Cateno Lombardo, in Gaggi nell’ottobre 2000.

ulteriori furti».
Con particolare riferimento al Mobilia, la mancata reiterazione da parte di costui della richiesta
estorsiva, nella successiva frequentazione del bar, non costituiva desistenza; è vero che
Mobilia era cliente del locale, ma la sua successiva presenza è stata qualificata dall’essere
divenuto

«emissario»

di Conti Ferraro; costui, appunto, aveva espressamente detto a

Lombardo che proprioMobilia sarebbe ripassato per raccogliere la risposta del commerciante in
relazione alla richiesta del pizzo; sicché la presenza «pur tacita» dell’appellante, percepita dalla
vittima in chiave «di attesa delle loro determinazioni», accresceva la pressione psicologica.
L’aggravante della metodologia mafiosa non era incompatibile con l’appartenenza di Conti
Ferraro alla cosca Cintorino.
1

//V g

I precedenti penali annoverati da Conti Ferrara rendevano il giudicabile immeritevole delle
invocate circostanze attenuanti generiche.
Doveva essere confermato il trattamento sanzionatorio di entrambi gli appellanti, risultando
adeguato alla «concreta gravità del fatto e alla personalità degli imputati».

Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di entrambi gli imputati.
Conti Ferrara ha dedotto cinque motivi.

1, lettere c) ed e), cod. proc. pen. inosservanza dell’articolo 603, comma 2, cod. proc. pen. e
vizio di motivazione, dolendosi del diniego della rinnovazione della istruzione dibattimentale e
deducendo: «la nuova prova è idonea a creare ragionevoli dubbi in ordine alla responsabilità
dell’imputato»; nel dibattimento Lombardo non aveva mai dichiarato di aver identificato «con
certezza» il ricorrente nella fase delle indagini ed aveva riconosciuto «con qualche incertezza la
fotografia dell’imputato».
Con il secondo motivo il difensore ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’articolo 606,
comma 1, «lettere b),d) ed e), cod. proc. pen. [..] violazione degli articoli 56 e 629 cod. pen.
anche in relazione agli articoli 189 e 192 cod. proc. pen.», nonché vizio di motivazione,
deducendo, previe generali considerazioni, con richiamo di massime di legittimità, in tema di
sindacato sulla motivazione, di accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio e di prova
indiziaria: la Corte territoriale si era limitata

«a evocare la valenza probatoria del

riconoscimento fotografico operato in sede di indagini preliminari [..] con motivazione
apodittica e autoreferenziale»; Lombardo non aveva spiegato «le modalità attraverso le quali
avrebbe riconosciuto in fotografia l’imputato»

nel corso delle indagini; inoltre

«il

riconoscimento non è stato neanche ripetuto in dibattimento».
Con il terzo motivo il difensore ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma 1,
«lettere b),d) ed e), cod. proc. pen. [..]violazione degli articoli 56, comma terzo, e 629 cod.
pen.» nonché vizio di motivazione, censurando il mancato riconoscimento della desistenza
volontaria e, in proposito, deducendo: l’imputato e il presunto complice avevano desistito «dal
portare avanti l’azione esecutiva, tipica del reato di estorsione», in quanto, dopo il primo
incontro, non avevano «reiterato le pretese di pizzo»; la mera presenza di Mobilia nel locale
non era idonea ad integrare il reato; né era dimostrato (al di là della semplice illazione della
persona offesa) che il coimputato avesse interrotto la frequentazione dell’esercizio per aver
avuto notizia della denunzia a suo carico.
Con il quarto motivo il difensore ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma
1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o
di altre norme di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione
all’articolo 7 del decreto legge 22 maggio 1991, n.152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n.
203, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, asserendo che nella

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Con il primo motivo il difensore ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma

specie «difettano i comportamenti concreti che evocano a vantaggio dell’agente il potere
coercitivo» delle associazioni mafiose.
Con il quinto motivo il difensore ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma
1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o
di altre norme di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli
articoli 62-bis e 133 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, dolendosi del diniego delle circostanze attenuanti generiche e della dosimetria

assertivamente indicati nell’atto di appello e postulando la valorizzazione del tempo trascorso
dalla commissione del reato, del successivo comportamento del ricorrente, della sua condotta
processuale e della esigenza di «mitigare il trattamento sanzionatorio».

Mobilia ha dedotto due motivi, con i quali ha dichiarato di denunziare, ai sensi dell’«articolo
606, lettere b), c) ed e), cod. proc. pen. [..] inosservanza e/o erronea applicazione degli
articoli 59, comma secondo, 110, 629, comma secondo, 628, comma primo, numero 1, 56,
comma terzo, cod. pen. e 192 cod. proc. pen. (primo motivo) e degli articoli 59, comma
secondo, 110, 56, 629, comma secondo, 628, comma primo, numero 1, e 7 decreto legge 22
maggio 1991, n.152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, (secondo motivo), nonché
vizio di motivazione.
Con il primo motivo il difensore ha censurato il diniego del riconoscimento della desistenza
volontaria ed ha opposto in proposito: Mobilia frequentava il bar in quanto era abituale cliente
del locale; costituisce mera

«sensazione» della persona offesa cheil ricorrente «stesse

aspettando qualcosa»; è «fantasiosa [..] soggettiva, quasi suggestiva e priva di specifici
riscontri» l’ipotesi dei giudici di merito che la cessazione della frequentazione fosse da porsi in
relazionealla denunzia presentata dal Lombardo; la denunzia è stata, infatti, presentata nella
immediatezza della richiesta; Mobilia aveva «continuato a frequentare il bar in maniera
incolpevole e [aveva] desistito volontariamente dalla azione».
Con il secondo motivo il difensore si duole della ritenuta aggravante di cui all’articolo 7 del
decreto legge 22 maggio 1991, n.152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203,
opponendo: la ipotizzata appartenenza del supposto compartecipe (Conti Ferraro) ad
associazione mafiosa escludevala possibilità di configurare l’aggravante; mancava la prova che
l’attività delittuosa fosse «sottesa a favorire l’organizzazione criminale di riferimento»; inoltre
era stato Conti Ferraro a prospettare a Lombardo la propria appartenenza alla famiglia
Cintorino; Mobilia non aveva partecipato alla conversazione, in quanto si era limitato a
presentare Conti Ferraro alla persona offesa; la contestazione al ricorrente dell’aggravante era
illegittima, in quanto Mobilia «non era a conoscenza della prospettazione fatta [..] dal Conti
Ferraro circa la appartenenza al clan mafioso e, quindi, implicitamente della finalità della
azione delittuosa, rivolta all’approvvigionamento del clan stesso».

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della pena, censurando la omessa valutazione di elementi (peraltro non illustrati)

CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso presentati dai ricorrenti sono infondati.
Con i primi due motivi di ricorso la difesa di Conti Ferraro ha dedotto che la Corte d’appello non
ha accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, sebbene fosse necessario
verificare l’attendibilità del riconoscimento effettuato dal teste Lombardo Cateno, acquisendo le
fotografie che erano state mostrate al predetto e approfondendo le modalità del
riconoscimento, tenuto conto anche del fatto che il teste non si era espresso in termini di

Si deve premettere che nei motivi d’appello il suddetto imputato non aveva chiesto la
rinnovazione del dibattimento, che era stata chiesta dalla difesa alla Corte d’appello solo nel
corso del giudizio di secondo grado, non in base a nuove emergenze probatorie, ma
sollecitando la Corte di merito ad avvalersi dei suoi poteri di ufficio per compiere la predetta
verifica.
Ai sensi dell’art. 603/3 c.p.p. il giudice dell’appello dispone di ufficio la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale se la ritiene “assolutamente necessaria”.
La Corte d’appello ha rigettato la richiesta in questione, ritenendola non necessaria per la
valutazione globale dei fatti, in quanto le risultanze istruttorie apparivano totalmente
esaustive; in particolare, l’individuazione di Conti Ferraro da parte di Lombardo Cateno
risultava certa, tenuto conto del fatto che il predetto ne aveva descritto in modo preciso le
fattezze, che aveva avuto modo di osservarlo nel corso di un colloquio con lo stesso durato
circa venti minuti, e considerata anche l’attendibilità del teste come apprezzata nel corso del
suo esame in dibattimento.
Il suddetto giudizio della Corte di merito, ampiamente e logicamente motivato, non è
sindacabile in sede di legittimità, avuto riguardo anche alla giurisprudenza di questa Corte
secondo la quale il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria
non è regolato dal codice di rito e costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in
base ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice; la
certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma
dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (v. Sez. 5
sentenza n.22612 del 10.2.2009, Rv.244197).
Peraltro, il ricorrente ha fatto riferimento ad incertezze del teste nel riconoscimento fotografico
che però non risultano dagli atti sottoposti a questa Corte.
Entrambi i ricorrenti hanno sostenuto che gli imputati, non rinnovando la richiestafatta a
Lombardo Cateno di “regalie” per scongiurare ulteriori furti, avrebbero desistito dall’azione
intrapresa, e pertanto i giudici di merito avrebbero dovuto applicare l’art.56/3 c.p., secondo il
quale, in caso di desistenza, si soggiace soltanto alla pena prevista per gli atti compiuti,
qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, latiesistenza volontaria – disciplinata
dall’art. 56, comma terzo, cod. pen. – è una esimente di carattere speciale che trova
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certezza nell’effettuare il riconoscimento del Conti Ferraro nel corso delle indagini preliminari.

fondamento nella considerazione utilitaristica di politica criminale secondo cui è opportuno
mandare impunito il colpevole di un reato tentato per incentivare l’abbandono di iniziative
criminose, ovvero, nell’ambito della prevenzione speciale, sulla considerazione che l’agente, il
quale volontariamente desiste, dimostra di possedere una ridotta volontà criminale. Di
conseguenza, pur se non è necessario che si identifichi con la spontaneità, la desistenza deve
essere deliberata in una situazione di libertà interiore indipendente da fattori esterni che
influiscano sulla volontà dell’agente menomandone la libera determinazione (V. Sez. 1

sussistenza degli estremi della desistenza volontaria di cui all’art. 56, comma terzo, cod. pen.,
con riguardo al reato di tentata estorsione, non è sufficiente, quando l’azione intimidatoria non
si realizza in modo continuativo ma attraverso il succedersi di contatti verbali distanziati nel
tempo, la pura e semplice condotta di inattività dell’agente nei periodi intermedi, richiedendosi
che essa si sia protratta per un tempo sufficiente a dimostrare che vi sia stato un vero e
proprio abbandono del progetto estorsivo (V. Sez. 5 sentenza n. 32742 del 3.6.2010, Rv.
248419).
Secondo la ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito, le parti lese, di fronte alla
richiesta estorsiva del Conti Ferraro, avevano preso tempo e quest’ultimoio aveva concesso
dicendo che (i Lombardo) avrebbero dovuto dargli una risposta tramite il Mobilia. Questi aveva
continuato a frequentare il locale, evidentemente in attesa della suddetta risposta, rafforzando
così il clima di pressione psicologica per indurre i Lombardo ad accettare l’offerta di protezione,
ma appena era venuto a sapere della denuncia sporta dai Lombardo, non si era più fatto
vedere dagli stessi.
E’ quindi evidente, nella ricostruzione dei giudici di merito, che l’estorsione non era stata
portata a termine solo perché le parti lese si erano rivolte alle forze dell’ordine.
Questa ricostruzione è stata basata sulla interpretazione delle prove raccolte, e in particolare
della deposizione di Lombardo Catano. L’alternativa interpretazione della difesa non può essere
presa in considerazione in sede di legittimità, in assenza di vizi logico giuridici nella
motivazione della sentenza impugnata.
Sono infondati anche i motivi con i quali i ricorrenti hanno sostenuto che nella specie non fosse
sussistente l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991.
Questa Corte ha chiarito quali siano i presupposti per la corretta applicazione della suddetta
aggravante. L’art. 7 della citata legge richiede che i delitti punibili con pena diversa
dall’ergastolo siano commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen.,
ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni di tipo mafioso.
La prima ipotesi ricorre allorquando gli agenti, pur senza essere partecipi o concorrere in reati
associativi, delinquono con metodo mafioso ponendo in essere una condotta idonea ad
esercitare una particolare coartazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione
derivante dall’organizzazione criminale,

mentre

la seconda

ipotesi,

quella cioè

dell’agevolazione, postula, invece, che il reato sia commesso al fine specifico di favorire
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sentenza n. 5037 dell’8.4.1997, Rv.207647). E’ stato anche precisato che, ai fini della

l’attività dell’associazione di tipo mafioso (V. Sez. 1 sentenza n.2667 del 30.1.1997, Rv.
207178).
E’ sufficiente ad integrare l’aggravante la realizzazione anche di una sola delle suddette
previsioni, e nel caso in esame è stato contestato l’uso del metodo mafioso in quanto il Conti
Ferraro aveva esplicitato l’appartenenza sua e del suo complice all’associazione mafiosa
capeggiata da Cintorino Antonino, a sua volta collegata con la più nota associazione mafiosa
catanese Pillera-Cappello.

associazione mafiosa, previsto dall’art. 416 bis cod. pen., in quanto la condotta tipizzata dalla
condotta incriminatrice assorbe la previsione dell’aggravante, ma è certamente compatibile con
il contestato delitto di tentata estorsione.
Seconda la giurisprudenza di questa Corte, la circostanza aggravante del cosiddetto metodo
mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un’associazione di
tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un
comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto
passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere
anzidetto (Sez. 2 sentenza n. 38094 del 5.6.2013, Rv. 257065).
Nel caso in esame, avendo i giudici di merito accertato che la richiesta estorsiva è stata rivolta
presentandosi come appartenenti al noto gruppo mafioso capeggiato da Cintorino Antonino,
correttamente è stata ritenuta sussistente l’aggravante de qua.
La difesa del Mobilia ha sostenuto che il predetto non sarebbe stato a conoscenza del
contenuto della conversazione tra Conti Ferraro e il Lombardo, ma la dedotta inconsapevolezza
contrasta con quanto accertato dai giudici di merito in punto di fatto.
Appare adeguata, infine, la motivazione della sentenza impugnata con la quale al Conti Ferraro
sono state negate le attenuanti generiche ed è stata determinata la pena, essendosi fatto
specifico riferimento alla gravità del fatto, alla personalità dell’imputato ed ai precedenti penali.
Pertanto i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
P.

Q.

M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 13 giugno 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

La suddetta circostanza aggravante speciale è incompatibile con la contestazione del delitto di

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