Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6677 del 05/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6677 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) ZOMPle EMANUELE N. IL 02/04/1990
avverso la sentenza n. 2270/2012 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
05/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 05/12/2012

Motivi della decisione
Zompì Emanuele ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in
data 5.04.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il G.i.p. presso
il Tribunale di Lecce ha applicato la pena concordata dalle parti, in ordine ai reato
di furto aggravato in addebito. L’esponente deduce violazione di legge e vizio
motivazionale rispetto all’omesso apprezzamento della ricorrenza dei presupposti
legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. un 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. Un. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione

Il ricorso è inammissibile.

dell’articolo 129 cod. proc. pen., senza precisare per quali specifiche ragioni detta
disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.
Occorre pure evidenziare che gli arresti giurisprudenziali richiamati da parte
ricorrente, in ordine al contenuto dell’obbligo motivazionale, non risultano
conferenti, rispetto ai parametri motivazionali che vengono in rilievo nel rito di
applicazione della pena su richiesta delle parti; si tratta, infatti, di decisioni rese
anteriormente rispetto alla entrata in vigore del codice di procedura penale
Giova, infine, considerare che il giudice ha espressamente chiarito che il
contenuto della comunicazione della notizia di reato, il verbale di arresto e gli altri
atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, portavano ad escludere la
sussistenza dei presupposti legittimanti una pronuncia liberatoria ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2012.

approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447.

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