Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6670 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6670 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEMBO CARMELO N. IL 27/10/1949
avverso l’ordinanza n. 217/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
25/03/2013
senti la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
e/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 23/10/2013


I

FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Carmelo Lembo, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Messina,
in data 25 marzo 2013, con la quale è stata confermata la misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta
dal Gip di Patti, con riferimento alle imputazioni provvisorie di partecipazione ad associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di reati di falso in atto pubblico ed elettorali (capo H3), falso
ideologico in atto pubblico e falso materiale (capi da a A) a Z) e capi 13), L3), M3), N3)) nonché falso per
soppressione (capi C1), D1),E1),H1)), condotte tutte poste in essere, come si legge nel provvedimento
impugnato, allo scopo di ottenere il vantaggio illecito costituito da voti favorevoli per la coalizione politica
Patti.
Era emerso, secondo la ricostruzione accreditata nell’ordinanza impugnata, che l’indagato- all’epoca
vicecomandante della Polizia municipale di Patti – aveva reso possibile, coinvolgendo i propri dipendenti,
agenti accertatori, la formazione di falsi verbali di accertamento del trasferimento di residenza dei cittadini
del circondario, verso il Comune di Patti: tali verbali, dal contenuto ideologicamente falso, come poi
accertato, servivano a consentire la iscrizione di quei cittadini -che altrimenti non ne avrebbero avuto
titolo- nelle liste elettorali del Comune e quindi a consentire agli stessi di votare alle elezioni comunali per
la lista elettorale il cui leader aveva- così si esprime l’ordinanza- promosso l’iniziativa in questione.
Le indagini di PG avevano preso l’avvio da un’indagine giornalistica su tale anomalo flusso migratorio
verificatosi solo qualche mese prima delle elezioni e avevano preso corpo quando, essendo emersa
l’identità dei dipendenti comunali che avevano sottoscritto i verbali dei trasferimenti di residenza, una di
costoro, Pontillo Nunziella, si era presentata dagli inquirenti e aveva reso spontanee dichiarazioni a carico
del ricorrente.
Le sue dichiarazioni, auto ed etero accusatorie, sono state ritenute riscontrate da una serie di
intercettazioni dal tenore univoco, riguardanti soprattutto -ma non solo- le colleghe della Pontillo a
conoscenza dell’iniziativa e, altresì dalle dichiarazioni di una di queste, tale Ceraolo, alla Polizia giudiziaria a
proposito delle confidenze ricevute dall’amica Pontillo.
Ulteriore parziale riscontro è stato individuato nelle dichiarazioni rese dal collega Panzalorto, in sede di
interrogatorio di garanzia.
Infine il Tribunale ha motivato in ordine alle intercettazioni che sostengono le ipotesi accusatorie relative ai
falsi per soppressione, concernenti, appunto, la eliminazione di verbali di contestazione di contravvenzioni,
posta in essere dall’indagato a titolo di favore nei confronti di cittadini sollecitati poi, direttamente o
implicitamente, ad avere un atteggiamento di favore nei confronti della figlia Mimma che partecipava alla
competizione elettorale.
Deduce
1)

la violazione degli articoli 270 e 271 c.p.p.
Sono state infatti, utilizzate intercettazioni disposte in diverso procedimento penale (n. 923 \2011)
senza che ricorressero i presupposti di cui all’articolo 270 c.p.p.: invero, per i reati oggetto del
presente procedimento, non è previsto l’arresto in flagranza;

2)

la violazione dell’articolo 267 c.p.p. e il vizio della motivazione, con riferimento alla dedotta
inutilizzabilità delle intercettazioni disposte dal Pubblico ministero, in via d’urgenza, sull’utenza
numero 3395948662.
Tale inutilizzabilità deriverebbe dal fatto che le intercettazioni erano state disposte sulla base di un
decreto emesso dal PM, in via d’urgenza, per la durata di 40 giorni, mentre la legge (articolo 13 DI
n. 152 del 1991) consente allo stesso pubblico ministero di disporre intercettazioni per 15 giorni.
1

di riferimento, nell’ambito della competizione elettorale amministrativa del 2011, relativa al Comune di

Cita, l’impugnante, la sentenza n. 43971 del 2005 a sostegno del proprio assunto e afferma che la
diversa giurisprudenza valorizzata nel provvedimento impugnato (sent. n. 46767 del 2008)
dovrebbe dare luogo alla rimessione della questione alle Sezioni unite;
3)

la violazione dell’articolo 309 c.p.p. dovuta al fatto, segnalato al Tribunale del riesame con motivi
nuovi, che la difesa non aveva visto accogliere tempestivamente la richiesta, rivolta al Pubblico
ministero, di ottenere il rilascio di copia dei supporti magnetici delle intercettazioni.
Tale richiesta era stata formulata il 15 marzo, per l’udienza del 25 e il Pm aveva provveduto
soltanto il 22.
Quanto al fatto, segnalato nell’ordinanza del Tribunale del riesame, che vi sarebbe stato un
ricevuto comunicazione;

4)

la violazione dell’articolo 63 c.p.p. con riferimento alle dichiarazioni spontanee rese da Pontillo
Nunziella.
Invero, l’utilizzabilità delle dette dichiarazioni, rese ai sensi dell’articolo 350 c.p.p., sarebbe
consentita, ad avviso del difensore, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, soltanto
quando il dichiarante sia preventivamente informato del suo status di indagato e sia destinatario
degli avvisi ex articolo 64 c.p. p.
Quando invece si tratti di soggetto che, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito come
indagato, le sue dichiarazioni sono inutilizzabili anche ai soli fini cautelari;

5)

il vizio della motivazione con riferimento alle imputazioni provvisorie di cui ai capi C1), D1), E1), F1),
G1) e H1).
Si tratta di contestazioni relative a presunti falsi accertamenti ai quali risulta estranea la Pontillo e
che, per tale ragione, essendo riferibili agli agenti Panzalorto e Foresti- i quali si proclamano
innocenti- sono privi di supporto indiziario;

6)

il vizio della motivazione sulle esigenze cautelari, essendo stato del tutto trascurato il dato
dell’avvenuta cessazione dell’incarico, esercitando il quale l’indagato avrebbe commesso i reati che
gli si contestano.

Il ricorso è infondato deve essere rigettato.
Con il primo motivo viene riproposta una questione alla quale il Tribunale ha già dato esauriente risposta.
E’ infatti costante la giurisprudenza di legittimità che interpreta il divieto di utilizzabilità delle
intercettazioni indicato dall’articolo 270 c.p.p., soltanto come relativo al piano probatorio, e non anche da
porre in relazione alla possibilità di trarre, dalle stesse intercettazioni inutilizzabili come prova, una notizia
di reato ai fini dell’avvio di nuove indagini (v. da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 19699 del 23/04/2010, rv.
247104; conformi: N. 8670 del 1993, Rv. 195534; N. 3133 del 1998, Rv. 210184).
Ma, preliminare a tale rilievo è quello – concernente la specifica proponibilità della questione con ricorso
per cassazione- della inammissibilità della stessa, per non avere il difensore specificato la rilevanza della
medesima.
Ed invero, tenuto conto dell’avvio delle indagini come sopra ricostruito, alla luce degli elementi di fatto
esposti nell’ordinanza, non risulta neppure chiaro se e in quali termini le intercettazioni del diverso
processo, alle quali allude il difensore, abbiano avuto uno specifico rilievo ai fini che ci occupano.
Al riguardo, le Sezioni unite di questa Corte hanno enunciato il principio secondo cui, in tema di ricorso per
cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena
l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne
altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in
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provvedimento interlocutorio del PM in data 18 marzo, la difesa sostiene di non averne mai


riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009 Cc. (dep. 10/06/2009)
Rv. 243416).

Il secondo motivo è inammissibile, in primo luogo, per genericità e, inoltre, per manifesta infondatezza.
Quanto al primo profilo valgono le considerazioni appena formulate, citando la sentenza delle Sezioni unite
del 2009.
Ancora una volta deve notarsi che la difesa, pur menzionando il numero dell’utenza intercettata a suo
parere illegittimamente, non ha specificato i decreti di intercettazione coinvolti nella eccezione, ratione
temporis e, tanto meno, la rilevanza sul piano indiziario delle intercettazioni interessate.
specifiche intercettazioni coinvolte dalla eccezione, sicchè risulta inibito il preliminare giudizio sulla
rilevanza della questione.
In secondo luogo deve notarsi che il Tribunale del riesame ha rigettato la questione in esame, già ad esso
sottoposta dalla difesa, ponendo in luce che il termine ordinario di 15 giorni previsto dall’articolo 267
comma 3 c.p. p., in relazione alla durata massima delle operazioni di intercettazione, disposta con decreto
del pubblico ministero, è derogabile nei processi di criminalità organizzata.
Tanto si desume chiaramente dalla lettera dell’articolo 13 del decreto-legge numero 152 del 1991 che
stabilisce che, quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un
delitto di criminalità organizzata, la durata delle operazioni “non può superare i 40 giorni”.
Tale stato della normativa di settore è compendiato nel principio, enunciato dalla costante giurisprudenza
di questa Corte, secondo cui le operazioni di intercettazione disposte dal pubblico ministero in via

È, infatti, ignoto a questa Corte, nè è desumibile dal provvedimento impugnato, quale sia il contenuto delle

d’urgenza, nel corso delle indagini per delitti di criminalità organizzata, hanno la durata massima di ‘quaranta giorni e, per i periodi di proroga, la durata di venti giorni (Sez. 2, Sentenza n. 46767 del
20/11/2008, Rv. 242804; conformi: N. 5655 del 1997, Rv. 209312; N. 35930 del 2009, Rv. 244873).
D’altra parte, che il reato di associazione per delinquere semplice sia da annoverare tra quelli di criminalità
di organizzata, è circostanza non contestata dalla difesa e riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, a
partire dalla sentenza delle Sez. U, n. 17706 del 22/03/2005 Cc. (dep. 11/05/2005), Rv. 230895.
Non può affermarsi neppure, come vorrebbe il ricorrente, che sulla questione della durata delle operazioni
di intercettazione che qui interessa, sia riscontrabile un attuale contrasto di giurisprudenza.
Ed infatti, l’orientamento interpretativo uniforme è nel senso sopra indicato, mentre la sentenza numero
43971 del 2005, citata dal difensore, non contiene la affermazione e la motivazione di un diverso principio
sul tema della durata delle intercettazioni disposte dal pubblico ministero.
In tale sentenza, infatti, i giudici si sono limitati a prendere atto del principio di diritto formulato, in
precedenza, nello stesso procedimento, con sentenza di annullamento della Cassazione del 19 novembre
2004, preoccupandosi soltanto di verificare che a quello fosse stata data esecuzione in sede di rinvio, come
il codice di rito impone.
Quanto alla sentenza del 19 novembre 2004, poi, deve notarsi che il principio della stessa formulato, è
consistito effettivamente nella affermazione che la deroga prevista dall’art. 13 di n. 152 del 1991, in tema di
iniziale fissazione della durata delle intercettazioni disposte nei procedimenti per reati di criminalità
organizzata ( fino , cioè, quaranta giorni), è prevista esplicitamente dalla legge soltanto in relazione ai poteri
autorizzativi esercitati dal Gip e non anche dal Pm che agisca in via di urgenza.
Tuttavia si tratta di una affermazione non condivisibile perché non in linea col dettato normativo e non
coltivata neppure da tutta la successiva giurisprudenza di legittimità.
Infatti, il potere di fissazione della durata delle operazioni di intercettazione, previamente autorizzate, è
rimesso, dall’art. 267 comma 3 cpp e dall’art. 13 del di n. 152 del 1991 che ne ricalca lo schema , al Pubblico
ministero. Al Gip è rimessa invece la sola decisione sulla durata della “proroga”.
3

In tal senso si è espressa, ad esempio, la sentenza n. n. 11682 del 18/11/2010, Rv. 249724, secondo cui, in
tema di intercettazioni telefoniche, le modalità e la durata delle operazioni, previamente autorizzate, sono
rimesse al P.M., salva la possibilità di proroga del termine da parte del giudice, che solo in tale specifica
ipotesi indica l’ulteriore periodo di protrazione dell’attività di ricerca della prova ( sulla stessa linea, v. rv
210919; rv 205376; rv 209312).
Se ne deve inferire che non vi è alcuna insuperabile ragione, sintattica o sistematica, per sostenere che il
potere di fissare la durata delle intercettazioni fino a quaranta giorni, nei processi di criminalità organizzata,
su iniziale decreto autorizzativo emesso dal Gip , o, in via di urgenza dal PM, spetti al primo e non ,
piuttosto, al medesimo PM secondo lo schema operativo fissato, in via generale, dall’art.267 cpp.

Il terzo motivo è infondato.
Alla questione in esso posta, il Tribunale ha già dato risposta, fornendo adeguata motivazione a sostegno
dell’affermazione per cui il Pubblico ministero non si è sottratto al dovere di attivare il proprio Ufficio per il
rilascio della copia dei supporti magnetici delle intercettazioni, in tempi utili.
Ed invero il Tribunale ha dato atto della circostanza che il Pubblico ministero aveva emesso un
provvedimento interlocutorio per richiedere alla difesa di precisare la quantità e qualità dei supporti ai
quali aveva interesse.
Si tratta di un provvedimento la cui esistenza non solo è attestata dal Tribunale ma, altresì, non è negata
dalla difesa la quale si è limitata a sostenere di non avere ricevuto la comunicazione.
Tale ultima evenienza non vale però ad inficiare l’assunto del Tribunale, secondo cui il preteso ritardo del
Pubblico ministero, nel rilascio delle copie -comunque avvenuto due giorni prima dell’udienza del Tribunale
del riesame – non è stato colpevole ma soltanto funzionale a selezionare, nell’ambito di un materiale
ricchissimo, ed in assenza di un contributo in tal senso da parte della difesa , quello di diretto e specifico
interesse per il richiedente il quale, non fornendo risposta, anche senza propria colpa, ha, tuttavia subito gli
effetti ineliminabili di una procedura che, per sua stessa natura, è risultata, nel caso di specie,
particolarmente complessa.
E, il ritardo del Pubblico ministero può dare luogo alla nullità derivante dalla lesione del diritto della difesa,
nel caso di specie, soltanto quando sia ingiustificato (v. SSUU, sent. n. 20300 del 2010, rv 246907).
Il quarto motivo è parimenti infondato.
La tesi della difesa è quella dei limiti di operatività dell’articolo 350 comma 7 cpp e quindi della utilizzabilità
delle dichiarazioni spontanee, rese da soggetto indagato, in assenza delle garanzie difensive, soltanto
quando quello sia consapevole di tale suo “stato”.
Orbene, è noto che la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che, alle dichiarazioni
spontanee, non si applica la disciplina di cui all’art. 63 cod. proc. pen., la quale concerne l’esame di persone
non imputate e non sottoposte ad indagini, mentre le dichiarazioni spontanee provengono precisamente
dalla persona nei confronti della quale vengono svolte indagini (art. 350, comma 7°, cod. proc. pen.).
Nemmeno è applicabile, alle dichiarazioni spontanee, la disciplina di cui all’art. 64 cod. proc. pen., perché
concerne l’interrogatorio, che è atto diverso (Sez. 5, sent. n. 12445 del 23/02/2005 , Rv. 231689;
analogamente Sez. 1, sent. n. 44990 del 09/11/2007, Rv. 238702; Sez. 3, sent. n. 48508 del 03/11/2009 ,Rv.
245622; Sez. 6, sent. n. 34151 del 27/06/2008, Rv. 241466).
In altri termini, vi è incompatibilità delle due discipline e, nel caso concreto, non doveva applicarsi l’art. 63
ma l’art. 350 comma 7 cpp, che consente la utilizzazione delle dichiarazioni spontanee dell’indagata, in
assenza degli avvisi di legge, per finalità diverse da quelle di prova nel dibattimento ( v. anche SSUU sent. n.
1150 del 2009, rv 241884).
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Non ricorrono pertanto gli estremi per la rimessione della questione alle SSUU.

Né è ostativo, alla conclusione illustrata, il rilievo che la dichiarante non sarebbe stata formalmente
indagata.
Le SSUU di questa Corte, hanno affermato che allorché venga in rilievo la veste che può assumere il
dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di
indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato,
l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e
il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, Sentenza
n. 15208 del 25/02/2010 Ud. (dep. 21/04/2010) Rv. 246584).
Tornando alla fattispecie concreta, l’applicazione del principio appena evocato comporta che non è
risultava “formalmente” indagata quando si recò a rendere dichiarazioni spontanee; è preminente e
decisivo, piuttosto, che, dallo stesso provvedimento impugnato, si ricavi come il medesimo giudice abbia
anche evidenziato che la Pontillo risultava essersi presentata a rendere spontanee dichiarazioni agli
inquirenti, unitamente al proprio difensore, quando era già emerso il suo nome fra quello dei soggetti che
avevano sottoscritto i modelli di (falso) accertamento finalizzati agli spostamenti anagrafici.
Non può perciò dubitarsi né che vi sia stato, nella sede del merito, l’accertamento, del giudice, sui
presupposti per la acquisizione, in concreto, della qualità di indagata, da parte della dichiarante, né che
quella fosse consapevole del proprio stato.
Correttamente, in conclusione, le sue dichiarazioni spontanee sono state valutate e utilizzate ai sensi
dell’art. 350 comma 7 cpp.
Il quinto motivo è destituito di fondamento.
Esso è stato articolato sul presupposto della inidoneità della motivazione, ad argomentare il fondamento
indiziario che deve sostenere le accuse di cui ai sei capi compresi da C1 ad H1.
Ebbene, pur tralasciando il rilievo che, di tali sei capi, soltanto quattro sono indicati, nel provvedimento
impugnato, come rilevanti ai fini cautelari, si osserva che, in relazione ad essi, i gravi indizi di colpevolezza
sono stati individuati, dal Tribunale, nel tenore di intercettazioni telefoniche tra l’indagato e soggetti terzi,
interessati alla soppressione dei verbali di contestazione.
Infine è da rigettare anche l’ultimo motivo di ricorso.
Il fatto del pensionamento dell’indagato non è stato trascurato dal giudice del merito il quale, con
motivazione plausibile e perciò sottratta all’ulteriore sindacato di questa Corte, ha osservato che il
comportamento illecito, emerso a carico del ricorrente, è consistito, essenzialmente, nel ricorso alla
capacità di influenza che gli derivava dall’avere rivestito, per lungo tempo, un ruolo apicale all’interno del
Corpo della polizia municipale in un piccolo centro: e ciò, anche in ambiti non riservati alla propria
competenza.
Per tale ragione, la cessazione dalla carica è stata ritenuta dal Tribunale elemento non indicativo, in
maniera rassicurante, del venir meno della capacità di influenza la quale, comunque, è stata
motivatamente reputata tale da permanere in capo al soggetto, in ragione della sua attitudine al governo
delle altrui personalità, quanto meno nel periodo di tempo a ridosso degli accertamenti giudiziari compiuti.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2013
Il Presidente

il Consigliere estensore

decisiva, ai fini che ci occupano, l’affermazione, del giudice del riesame, secondo cui la Pontillo non

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