Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6669 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6669 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Aquino Domenico, nato a Polistena il 02/08/1952

avverso l’ordinanza emessa il 03/01/2013 dal Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Il 19/12/2011, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava un atto di appello
avanzato nell’interesse di Domenico Aquino – sottoposto alla misura cautelare
della custodia in carcere per addebiti di detenzione di armi, aggravati ex art. 7
del d.l. n. 152 del 1991, ed associazione di tipo mafioso – avverso un

Data Udienza: 15/05/2013

provvedimento del G.i.p. dello stesso Tribunale reiettivo di un’istanza di
scarcerazione presentata ai sensi dell’art. 297, comma 3, del codice di rito.
Il Tribunale rilevava in particolare che non potevano dirsi sussistenti i
presupposti di una “contestazione a catena”, atteso che al momento
dell’emissione della prima ordinanza custodiale – relativamente alle armi
rinvenute nella disponibilità del prevenuto – non erano ancora stati acquisiti gli
elementi di conoscenza sui fatti contestati con l’ordinanza successiva, peraltro
desunti anche da intercettazioni ambientali svolte relativamente ai colloqui avuti

restrittivo.

2. Su ricorso presentato nell’interesse dell’Aquino, la Sezione Prima di
questa Corte annullava l’ordinanza adottata dal Tribunale di Reggio Calabria ex
art. 310 cod. proc. pen.; riassunte le linee essenziali della consolidata
interpretazione giurisprudenziale sull’istituto della retrodatazione dei termini di
durata di una misura cautelare, la sentenza di annullamento – n. 32103 del
17/07/2012 – così motivava: «l’ordinanza impugnata non ha indicato in alcun
modo se la seconda misura cautelare è stata emessa in relazione a reato
commesso anteriormente all’emissione della prima ordinanza, non avendo
indicato neppure sommariamente la contestazione oggetto del titolo detentivo.
Né, peraltro, come dedotto dal ricorrente, ha argomentato in relazione alla
sussistenza della connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod.
proc. pen., essendosi limitata ad affermare che tale connessione non sussiste,
motivando esclusivamente in ordine alla esclusione della c.d. desumibilità dei
fatti posti a fondamento della seconda ordinanza dagli atti del procedimento nel
quale è stato emesso il precedente titolo detentivo».

3. In sede di rinvio, il Tribunale di Reggio Calabria – con decisione adottata
a seguito dell’udienza camerale del 15/11/2012, depositata il 03/01/2013 rigettava nuovamente il gravame proposto dalla difesa, rilevando che:
– gli accertamenti a carico dell’Aquino avevano preso le mosse dal sequestro,
eseguito presso la di lui abitazione il 07/08/2007, di un notevole numero di armi,
munizioni ed esplodenti (fra cui una bomba a mano ed un fucile Mab, arma da
guerra);
– era emerso così il verosimile collegamento del prevenuto con organizzazioni
criminali, atteso che quasi tutte le-armi presentavano i numeri di matricola
abrasi, con la conseguente attivazione di servizi di intercettazione ambientale
presso il carcere dove l’Aquino era stato ristretto a seguito dell’arresto per quei
primi addebiti;

2

in carcere dallo stesso Aquino dopo l’esecuzione del primo provvedimento

- le intercettazioni avevano offerto elementi di conferma dell’ipotesi
investigativa, compendiati in una informativa di polizia giudiziaria del
26/08/2008, secondo cui l’odierno ricorrente era fra l’altro in contatto con
esponenti della cosca Longo di Polistena: ne era derivata la trasmissione degli
atti alla D.D.A. di Reggio Calabria, con la successiva emissione di un’ulteriore
ordinanza di custodia cautelare recante l’addebito di cui all’art. 416-bis cod.
pen.;
– nella fattispecie era pertanto da escludere «il presupposto fondamentale per

cui alla seconda ordinanza rispetto alla data della prima. Ciò in quanto il reato
associativo […] viene contestato ad Aquino Domenico anche per un’epoca
successiva alla prima ordinanza. Peraltro, la stessa condotta del delitto-fine non
si è esaurita nel reato contestato con la prima ordinanza, ma ha riguardato
condotte perduranti rispetto alla data dell’arresto, tant’è che nel capo d) della
seconda ordinanza cautelare ad Aquino Domenico viene contestata la detenzione
di altre armi […] sfuggite al controllo della p.g., in quanto occultate in un luogo
rimasto non identificato e che Aquino Giovanni, Aquino Francesco ed Aquino
Vincenzo, a seguito dell’arresto di Aquino Domenico e su istruzioni di
quest’ultimo, recuperavano dal nascondiglio individuato e trasferivano a terzi».

4. Propone nuovo ricorso per Cassazione il difensore dell’Aquino, lamentando
violazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nonché carenza ed illogicità
della motivazione dell’ordinanza impugnata.
Richiamati i principi affermati dalla Sezione Prima di questa Corte all’atto del
precedente annullamento, la difesa segnala che in ogni caso sarebbe stato
doveroso per il Tribunale di Reggio Calabria, rivalutando la posizione del
ricorrente in punto di gravità indiziaria per una sua perdurante partecipazione
alla ritenuta associazione criminosa, «fornire adeguata e logica dimostrazione
della permanenza di un contributo oggettivamente apprezzabile alla vita ed
all’organizzazione del gruppo stesso anche dopo l’arresto (se così non fosse, del
resto, l’istituto della contestazione a catena non sarebbe mai applicabile ove i
fatti anteriori siano qualificabili come reati permanenti e la permanenza si
protragga oltre i fatti del primo titolo custodiale)».

Ergo, il difensore argomenta

che l’intervenuta restrizione del prevenuto aveva sicuramente comportato
l’esaurimento del rapporto dell’Aquino con il presunto sodalizio, essendo stato il
suo contributo limitato alla detenzione e custodia di armi varie nell’interesse
della consorteria: al contrario, il Tribunale avrebbe invece desunto indici di
perdurante adesione del ricorrente all’associazione in virtù del contenuto di una
conversazione intercettata il 24/08/2007, quando l’Aquino aveva raccomandato

3

l’operatività dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., cioè l’anteriorità del fatto di

alla moglie di riferire a tale Donaldo Scarfò (non menzionato dagli inquirenti tra
gli affiliati alla cosca, in ogni caso) che lo stesso ricorrente intendeva comportarsi
da uomo “facendosi il carcere”, vale a dire – secondo i giudici calabresi omettendo di riferire che le armi appartenevano in realtà ad altri. Lettura che la
difesa contesta, visto che quell’espressione ben avrebbe potuto essere
interpretata come indicativa della scelta dell’Aquino di non spiegare quale
provenienza avessero le armi sequestrategli, onde non aggravare comunque la

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è da reputare inammissibile, da un lato perché fondato su
censure manifestamente infondate, dall’altro perché incentrato su aspetti che in
parte risultano del tutto inconferenti rispetto al tema della invocata
retrodatazione, e che esulano pertanto dalla disamina che il Tribunale di Reggio
Calabria era chiamato a compiere, all’esito del ricordato annullamento
pronunciato dalla Sezione Prima di questa Corte.
In sede di rinvio, i giudici del riesame risultano infatti avere adeguatamente
e compiutamente illustrato le ragioni della impossibilità di ravvisare nel caso di
specie gli estremi di una “contestazione a catena”, mentre la difesa sembra
confondere il tema di una possibile cessazione della permanenza (quanto al reato
associativo ipotizzato) con quello di una mera interruzione di fatto del rapporto
fra un partecipe e gli altri membri della presunta consorteria criminale. Sotto il
primo profilo, appare già dirimente ed ineccepibile la considerazione sviluppata
dal Tribunale, secondo cui già i termini dell’addebito ex art. 416-bis cod. pen.,
con riguardo alla collocazione dei fatti nel tempo, escludono la possibilità di
ritenere l’anteriorità delle condotte contemplate nella seconda ordinanza rispetto
a quelle oggetto del primo titolo restrittivo; quanto al secondo, la giurisprudenza
di questa Corte ha già chiarito che «il delitto di associazione di tipo mafioso […]
può continuare a consumarsi anche successivamente all’emissione di una misura
cautelare – essendo legato non solo a condotte tipiche ma anche soltanto alla
mancata cessazione dell’a ffectio societatis scelerum

fino ad un atto di

desistenza che può essere volontaria oppure legale, rappresentato dalla sentenza
di condanna anche non definitiva; nel caso di contestazione senza l’indicazione
della data di cessazione della condotta, la permanenza deve ritenersi sussistente
fino alla data della pronunzia di primo grado» (Cass., Sez. V, n. 31111 del
19/03/2009, Marazia, Rv 244479).

4

propria posizione.

Inoltre, è parimenti pacifico che «a fini della retrodatazione dei termini di
decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod.
proc. pen., il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda
ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il
provvedimento successivo riguardi un reato di associazione (nella specie di tipo
mafioso) e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo
l’emissione della prima ordinanza» (Cass., Sez. I, n. 20882 del 21/04/2010,
Giugliano, Rv 247576).

deporrebbero addirittura in positivo per la perdurante appartenenza dell’Aquino
alla struttura dell’organizzazione criminale, è comunque pacifico che non siano
emersi dati indicativi, al contrario, di un recesso del prevenuto: sì da doverne
necessariamente desumere l’attualità dell’appartenenza del ricorrente al sodalizio
medesimo.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’Aquino al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del medesimo (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
Dal momento che dal presente provvedimento non discende la rimessione in
libertà del ricorrente, la Cancelleria dovrà curare gli adempimenti previsti dalla
norma di cui al dispositivo.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 15/05/2013.

Nella vicenda in esame, pur volendo prescindere da elementi che

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