Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6668 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6668 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Alessandro Carlo, nato a Falcone il 15/02/1954

avverso l’ordinanza emessa il 17/12/2012 dal Tribunale di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Carlo Alessandro, ritenuto amministratore di fatto della C.M.
s.r.l. (dichiarata fallita nel novembre 2010) e sottoposto alla misura cautelare
degli arresti domiciliari per presuhte condotte di bancarotta correlate alla
gestione della predetta società, ricorre avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di
Messina risulta avere rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse

Data Udienza: 15/05/2013

dello stesso indagato nei confronti del provvedimento applicativo della misura.
All’Alessandro, in particolare, si addebita di avere distratto la somma di
218.000,00 euro, versata alla C.M. dalla Peloritana Appalti s.r.l. in forza di
previsioni contrattuali, somma che sarebbe stata incassata da un coindagato
(tale Giuseppe Impennato, all’epoca legale rappresentante della stessa C.M.) e
quindi riversata quasi integralmente all’odierno ricorrente; ulteriore
contestazione riguarda la tenuta della contabilità in guisa tale da non rendere
possibile la ricostruzione del movimento degli affari della società fallita,

l’incasso della predetta somma da parte della C.M.
Il Tribunale di Messina, ribadito che all’Alessandro doveva riconoscersi la pur
contestata veste di amministratore di fatto per il continuo e significativo esercizio
di poteri gestori, risulta avere confermato la valutazione di gravità indiziaria con
riguardo ad entrambi i profili dell’ipotizzata bancarotta: egli aveva infatti avuto
un concreto e diretto interesse ad omettere la regolare tenuta delle scritture,
onde poter disporre di cespiti aziendali da sottrarre alla garanzia dei creditori, e
si era concretamente appropriato del corrispettivo della cessione del compendio
immobiliare della società alla Peloritana Appalti s.r.I., a nulla rilevando l’asserita
e comunque non dimostrata esistenza di pregresse ragioni di credito dello stesso
prevenuto nei confronti della C.M. per avere assunto garanzie fideiussorie od
estinto debiti societari con fondi propri. Ha altresì ritenuto il Tribunale che fosse
destituita di fondamento la tesi difensiva secondo la quale l’Alessandro non
sarebbe stato consapevole dell’esistenza di ulteriori crediti di terzi
(segnatamente dell’erario, per oneri fiscali) nei riguardi della società.
Sul piano delle esigenze cautelari, il collegio ha ritenuto sussistente un
concreto ed attuale pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quelli
oggetto del procedimento da parte dell’Alessandro, anche in virtù delle concrete
modalità di realizzazione dei reati addebitati, «avendo lo stesso dimostrato una
assoluta noncuranza rispetto alle regole di trasparenza e di efficienza che
dovrebbero sottendere alla gestione di una compagine societaria, trascurando
consapevolmente di curare la regolare tenuta delle scritture obbligatorie e
piegando l’attività societaria al perseguimento dei propri personali interessi».
Ciò anche in ragione dell’essere egli socio di altra società, per quanto inattiva,
con la conseguente, concreta prospettiva di porre in essere operazioni analoghe
a quelle perfezionate nella gestione di quella fallita.
Con il ricorso oggi in esame, il difensore dell’indagato lamenta:
1) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza
impugnata, nonché violazione di legge processuale con riguardo al
disposto dell’art. 273 cod. proc. pen.

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omettendo fra l’altro di annotarvi l’operazione finanziaria da cui doveva derivare

Ad avviso della difesa, nella fattispecie non sarebbero ravvisabili in capo
all’Alessandro i gravi indizi di colpevolezza necessari per legittimarne la
restrizione della libertà personale, avendo al contrario i giudici di merito
erroneamente valutato gli elementi acquisiti nel corso dell’attività di
indagine: da un lato, il Tribunale avrebbe desunto dati di presunta
valenza indiziaria da una sentenza pronunciata nei confronti del ricorrente
per altri fatti, in ordine ai quali era stato comunque assolto; dall’altro, non
corrisponderebbe al vero che – come invece affermato nel provvedimento
il prevenuto avrebbe reso ammissioni di

responsabilità in sede di interrogatorio di garanzia.

Inoltre, quanto

all’ipotesi di bancarotta documentale, il Tribunale non avrebbe tenuto
conto del rilievo che le scritture contabili della C.M. erano state
sequestrate fino dal 1999 in relazione al diverso procedimento penale poi
definitosi in senso favorevole all’Alessandro, con la società pacificamente
rimasta inattiva negli anni seguenti; analogamente, non sarebbe stato
dato adeguato risalto alla circostanza, accertata presso gli istituti di
credito interessati, che l’indagato si era gravato di una fidejussione
omnibus ed aveva ottenuto un mutuo previa accensione di ipoteca su un
proprio bene immobile, al fine di ripianare i debiti della C.M.;
2) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza
impugnata, in punto di ritenuta sussistenza di esigenze caute/ari.
Il ricorrente segnala che la diversa persona giuridica di cui l’Alessandro
risulta socio non soltanto è inattiva, ma non ha mai operato a partire
dalla sua stessa costituzione, risalente al 1987; ne è addirittura deceduto
il socio accomandatario, senza che si sia mai provveduto alla sua
sostituzione, con conseguente scioglimento ope legis.

L’Alessandro non

potrebbe poi ritenersi persona capace di abusare della propria posizione
soggettiva per fini di recidiva specifica, non avendo oggi titolo neppure ad
esercitare l’attività di avvocato a seguito della sospensione dall’esercizio
della professione forense deliberata nei suoi riguardi dal competente
consiglio dell’ordine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Tutti gli elementi che, secondo la prospettazione difensiva, il Tribunale del
riesame non avrebbe considerato (quanto meno, non adeguatamente, in una
prospettiva di rivisitazione critica sia della gravità indiziaria che delle effettive

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oggetto di doglianza –

esigenze cautelari ravvisabili) risultano invece oggetto di specifica e puntuale
trattazione nel corpo del provvedimento impugnato.
Quanto alle risultanze del processo già definitosi con l’assoluzione
dell’Alessandro, il collegio dà atto che la motivazione della relativa sentenza per quanto favorevole all’imputato – faceva ben comprendere come egli si fosse
dimostrato titolare di autonomi poteri di disposizione dei beni della C.M., quanto
meno in una intricata vicenda afferente il trasferimento di vari immobili da parte
di tale Biagia Marino, la quale risultava avere avuto rapporti con la predetta

l’odierno ricorrente. Dati, questi, concernenti la prova per facta condudentia di
una attività gestoria che, peraltro, lo stesso ricorrente torna a non negare con le
stesse argomentazioni contenute nel ricorso oggi in esame, laddove si contesta
da un lato che l’Alessandro sia stato amministratore di fatto della C.M. ma si
riconosce pacificamente, al contempo, che egli ne era socio di maggioranza ed
aveva tutte le ragioni di «intervenire nelle vicende societarie»; tutto ciò,
peraltro, senza esporre confutazioni di sorta circa la evidente valenza indiziaria,
sottolineata nell’ordinanza de qua, dell’avere il prevenuto acceso a proprio nome
un conto corrente dove risultano essere stati incassati assegni ricevuti quale
corrispettivo di vendite di beni della società.
Con riguardo alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, a ben guardare,
il Tribunale di Messina non sostiene che l’indagato avrebbe confessato di essere
stato amministratore della C.M., bensì che – pur negando una gestione effettiva
– ammise di averne le capacità, come pure di essere stato consapevole delle
plurime irregolarità contabili, tanto da aver dato mandato al liquidatore al fine di
ricostruire le scritture (peraltro, senza provare documentalmente la circostanza).
Parimenti ineccepibile appare l’analisi operata dai giudici di merito in ordine
alle garanzie personali o reali che sarebbero state prestate dall’Alessandro: vero
è che egli assunse una fideiussione omnibus per poco meno di 80.000,00 euro e
che stipulò un mutuo con accensione di ipoteca su un immobile di sua proprietà
(in anni non recenti), ma viene chiarito che non vi è comunque traccia di
pagamenti effettuati per conto della società, né della destinazione della somma
ricevuta con l’operazione anzidetta, somma che nulla autorizza a ritenere sia
stata effettivamente impiegata per ripianare debiti della C.M.
Infine, a proposito degli elementi da intendere indicativi di un perdurante
pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie, il Tribunale di
Messina non ha affatto sottaciuto la circostanza della inattività dell’ulteriore
società di cui l’indagato risulta socio, mentre – in vista di possibili ricadute in
condotte criminose – appare obiettivamente irrilevante il particolare se quella
inattività sussista o meno fin dalla data della costituzione (il problema

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società, intessuti non già con il legale rappresentante dell’epoca ma appunto con

correttamente tenuto presente dai giudici del riesame è se sia possibile compiere
condotte di rilievo penale dietro lo schermo di una persona giuridica, come
l’Alessandro avrebbe già rivelato di saper fare, indipendentemente dal rilievo che
quella persona giuridica sia non operante o non abbia mai operato tout court).
Sul piano delle esigenze cautelari, ed in ragione della tipologia degli addebiti, è
invece del tutto neutra, tanto che l’omessa enunciazione non inficia in alcun
modo la tenuta logica del provvedimento impugnato, la circostanza che

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/05/2013.

l’Alessandro sarebbe stato sospeso dall’esercizio della professione di avvocato.

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