Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6664 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6664 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso presentato da:
Lavini Orazio, nato a Vittoria, il 15/12/1980;

avverso la sentenza del 12/7/2012 della Corte d’appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile Consorzio Lotterie Nazionali l’avv. Oliviero De Carolis Villas,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 17/01/2014

1.Con sentenza del 12 luglio 2012 la Corte d’appello di Caltanissetta confermava la
condanna di Lavini Orazio per il reato di cui all’art. 485 c.p. in relazione all’alterazione
di un tagliando di una lotteria nazionale ad estrazione istantanea del tipo “gratta e
vinci” in modo da far risultare lo stesso come vincente, ma, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado, lo assolveva dal connesso reato di tentata truffa aggravata ai
danni dell’ente gestore la lotteria, ritenendo trattarsi di reato impossibile per inidoneità
dell’azione, giacchè la falsificazione aveva prodotto una combinazione numerica cui

giuoco.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce vizi motivazionali del provvedimento impugnato, ritenendo
ingiustificata ed apodittica la svalutazione operata dalla Corte territoriale della versione
dei fatti offerta dall’imputato (il quale ha affermato di aver rinvenuto casualmente il
tagliando sul tavolo di un bar) e soprattutto delle convergenti dichiarazioni rese dalla
moglie del medesimo, ritenute inattendibili non in base ad un’analisi della loro
intrinseca consistenza, bensì in forza del mero pregiudizio derivante dal rapporto di
coniugio che lega la teste al Lavini.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione della legge penale
incriminatrice e correlati vizi motivazionali della sentenza, rilevando come proprio
l’impossibilità originaria ed assoluta di conseguire la vincita risultante dal tagliando
artefatto determinerebbe, prima ancora dell’impossibilità della truffa da cui i giudici
d’appello hanno assolto l’imputato, la stessa consumazione del reato di falso, atteso
che lo stesso deve essere supportato dal dolo specifico di conseguire un utile che, per
l’appunto, nel caso di specie non sarebbe mai stato possibile conseguire e sulla cui
sussistenza comunque la Corte distrettuale avrebbe omesso di argomentare. Non di
meno e per le stesse ragioni il falso avrebbe dovuto essere qualificato come grossolano
od innocuo, atteso che la vincita, quale risultato della combinazione della stringa di
numeri contenuta nel tagliando, ne è un elemento indefettibile. Pertanto l’alterazione
del tagliando in modo tale da non far risultare una vincita effettivamente riscuotibile, in
quanto non corrispondente a nessuna di quelle previste nel montepremi, non poteva
ritenersi idonea ad ingannare alcuno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1 Prendendo le mosse dal secondo motivo deve ritenersi corretta la qualificazione
giuridica attribuita ai fatti dalla Corte territoriale. E’ infatti necessario ribadire che in
tema di falso grossolano o inidoneo, è esclusa la configurabilità del reato impossibile
qualora la difformità dell’atto dal vero non sia riconoscibile ictu ocu/i, in base alla sola

corrispondeva la vincita di un premio non contemplato tra quelli predisposti per il

disamina dell’atto stesso (Sez. 5, n. 36647 del 4 giugno 2008, Vena, Rv. 241302).
Riconoscibilità che nel caso di specie è stata correttamente esclusa, attesa la natura
degli adempimenti che si sono resi necessari per accertare l’alterazione del tagliando.
1.2 Né rileva il fatto che la sequenza “vincente” artatamente creata dall’imputato non
trovasse effettiva corrispondenza nel montepremi. Infatti, attesa la natura di pericolo
del reato previsto dall’art. 485 c.p. (Sez. 5, n. 29026 del 30 aprile 2012, p.c. in proc.
Giorgio, Rv. 254610), la grossolanità del falso deve essere valutata con riguardo

nella prospettiva della sua idoneità ad ingannare i terzi, senza che assuma rilievo il
conseguimento del risultato cui la sua realizzazione risulta strumentale. In tal senso
l’effettiva possibilità di riscuotere il premio individuato dalla sequenza artefatta non
incide sulla configurabilità del reato, atteso che il documento era comunque in grado di
trarre in inganno. In definitiva il ricorrente fa discendere la grossolanità del falso dalle
specifiche modalità di utilizzazione del documento registrate nel caso di specie, così
invertendo l’oggetto dell’accertamento e valorizzando una circostanza esterna al fatto
di reato. Ed ancor meno fondata risulta l’obiezione relativa alla sussistenza in concreto
del dolo specifico richiesto dall’art. 485 c.p. Ma proprio la configurazione dell’elemento
soggettivo nei termini indicati evidenzia come sia irrilevante ai fini della consumazione
del reato che il vantaggio venga conseguito e come il dolo sia integrato anche nel caso
in cui l’agente agisca nella mera soggettiva convinzione di poterlo realizzare.

2. Infondate ai limiti dell’inammissibilità sono anche le doglianze avanzate con il primo
motivo. Quanto alla svalutazione della versione dei fatti offerta dall’imputato, il giudizio
sulla sua inverosimiglianza è stato giustificato in maniera non manifestamente illogica
dalla Corte distrettuale, mentre il ricorrente si è limitato a riproporla in maniera
assertiva. E’ poi vero che la sentenza rifiuta in maniera sbrigativa ed erroneamente
pregiudiziale di valutare le dichiarazioni della moglie del Lavini, ma tale “errore” non
può ritenersi viziante per la sostanziale inammissibilità della censura. Ed infatti, per un
verso va rilevato che i motivi d’appello nemmeno avevano introdotto il tema della
valenza probatoria della testimonianza della donna, non avendo in particolar modo
l’imputato in quella sede contestato la valutazione di intrinseca inattendibilità del suo
narrato formulato dal giudice di primo grado; per l’altro deve osservarsi che il
ricorrente non ha saputo evidenziare perché la testimonianza di cui lamenta l’omessa
valutazione sarebbe da ritenersi decisiva, posto che la moglie dell’imputato non ha
assistito al presunto ritrovamento del tagliando da parte del marito, ma ha solo
dichiarato di aver avuto conoscenza del fatto proprio dal coniuge.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese processuali, anche alla refusione di quelle sostenute nel grado dalla parte

esclusivo alle caratteristiche intrinseche del documento che ne costituisce l’oggetto e

civile che si ritiene e quo liquidare in complessivi euro 1.500,00, oltre agli accessori di
legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonciú
alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che liquida in euro

Co d deciso il 17/1/2014
Il Presidente
Alfredo Maria Lombardi
Afir

iv

1.500,00, oltre accessori di legge.

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