Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6663 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6663 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Don Marco, nato a Pisa, il 4/2/1969;

avverso la sentenza del 23/5/2012 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Erica Gilardino, che ha concluso chiedendo raccoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 17/01/2014

1.Con sentenza del 23 maggio 2012 la Corte d’appello di Torino confermava la
condanna di Don Marco per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e di
causazione per effetto di operazioni dolose del fallimento della Mikol s.r.I., fallita il 5
luglio 2005, contestatogli nella sua qualità di amministratore di fatto della società. In
parziale riforma della pronunzia di primo grado, invece, la Corte distrettuale
proscioglieva il Don dagli ulteriori reati di truffa, tentata truffa, frode all’assicurazione e
simulazione di reato, rilevandone l’intervenuta prescrizione e provvedeva

La vicenda oggetto di giudizio riguardava la stipulazione di un contratto di leasing per
finanziare l’acquisizione di cinque macchine per l’elettroerosione che F.C.M. s.a.s.
avrebbe dovuto fornire alla fallita. Nella prospettazione accusatoria recepita dai giudici
di merito, in realtà il Don, in combutta con Minardi Felice amministratore di fatto della
menzionata F.C.M., avrebbe concordato, in frode alla società di leasing, la consegna
effettiva di una sola delle summenzionate macchine, lucrando per la parte residua il
finanziamento di cui peraltro la Mikol ometteva di pagare i canoni. Successivamente
l’imputato, dopo aver occultato quella effettivamente consegnata e gli imballaggi vuoti
delle altre, avrebbe simulato il furto di tutte le macchine, cercando a quel punto di
frodare le compagnie presso cui erano state assicurate. L’intera operazione avrebbe
infine cagionato il fallimento della Mikol, onerata dal peso dei canoni insoluti del
leasing, mentre l’annotazione delle fatture relative all’acquisizione anche della
macchine mai consegnate avrebbe compromesso l’attendibilità della sua contabilità.

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi.
2.1 Con il primo eccepisce ex art. 606 lett. d) c.p.p. la mancata assunzione nel primo
grado di giudizio di una prova decisiva costituita dalla planimetria del capannone di
Grugliasco della società, la quale a detta del ricorrente sarebbe stata idonea a
dimostrare come l’imputato avesse predisposto la struttura per accogliere
effettivamente le macchine per elettroerosione alla cui acquisizione dunque egli doveva
ritenersi realmente intenzionato.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce il travisamento delle dichiarazioni del
Don relative alla consegna al medesimo da parte del coimputato Minardi di un assegno
di oltre 800.000 euro, utilizzate dalla Corte distrettuale a riscontro di quelle etero
accusatorie di quest’ultimo. In proposito il ricorso rileva come in realtà l’imputato
avesse affermato di aver ricevuto un titolo di importo dieci volte inferiore e per ragioni
diverse da quelle sostenute dal Minardi. Non di meno il ricorrente deduce altresì
l’illogicità della motivazione della sentenza sul punto, rilevando come, se effettivamente
il Don avesse ricevuto un assegno di tale ammontare (della cui effettiva esistenza
peraltro non vi sarebbe evidenza), non si comprende perché non l’avrebbe messo

conseguentemente a rimodulare la pena irrogata all’imputato.

all’incasso per conseguire quella parte del profitto della truffa a lui presuntivamente
destinata.
2.3 Con il terzo motivo viene infine lamentato il difetto di riscontri individualizzanti alle
dichiarazioni del Minardi – e dunque l’inidoneità delle stesse a costituire la prova della
responsabilità concorsuale del Don nella truffa ai danni della società di leasing – atteso
che l’unico elemento effettivamente valorizzabile in tal senso sarebbe costituito dalla
dichiarazione dell’imputato sulla consegna dell’assegno del cui travisamento si è già

più idonei a riscontrare l’oggettiva consumazione della frode, ma non anche il
coinvolgimento nella stessa del suddetto Don.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile.
A parte l’intrinseca genericità che lo caratterizza, non avendo il ricorrente precisato
perché quella di cui è stata omessa l’assunzione sarebbe una prova decisiva alla luce
dell’intera evidenza valutata dalla Corte, nonché il fatto che la lamentela riguarda il
rigetto nel dibattimento di primo grado della richiesta di acquisizione di una prova che
non ha costituito oggetto di specifica censura nel gravame di merito, né di richieste ex
art. 603 c.p.p., è sufficiente evidenziare che, come documentato anche dallo stesso
ricorso, la richiesta probatoria non soddisfatta dal Tribunale era stata proposta ai sensi
dell’art. 507 c.p.p. Infatti deve ribadirsi come la mancata assunzione di una prova
decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in
relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495,
secondo comma c.p.p. e non nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla
parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di
integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non
necessario ai fini della decisione

(ex multis Sez. 2, n. 841/13 del 18 dicembre 2012,

Barbero, Rv. 254052).

detto, giacchè quelli ulteriori enucleati dalla sentenza impugnata in realtà sarebbero al

2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente,
giacchè con essi si deducono vizi motivazionali della sentenza in merito alla sussistenza
della prova del consapevole concorso dell’imputato nella truffa ordita ai danni della
società di leasing.
In proposito deve peraltro innanzi tutto evidenziarsi un primo profilo di latente
genericità dei suddetti motivi, giacchè il ricorrente non ha precisato, come invece suo
onere, le ragioni per cui i vizi denunciati refluirebbero anche sulla prova dei reati
fallimentari, gli unici per cui è stata confermata la condanna dell’imputato.

i

Ma anche volendo prescindere da tale aspetto, deve rilevarsi che le doglianze
prospettate sono comunque infondate e per certi versi inammissibili.
Quanto al lamentato travisamento delle dichiarazioni del Don deve infatti rilevarsi che
la Corte territoriale non ha sostenuto che questi abbia dichiarato di aver ricevuto dal
Minardi un assegno dell’ammontare indicato da quest’ultimo, ma ha considerato
riscontro alle dichiarazioni dello stesso Minardi l’ammissione dell’imputato di aver
ricevuto dal medesimo a titolo di garanzia un assegno tout court, spiegando le ragioni

propria affermazione circa il valore – assai inferiore – espresso nel titolo. In altri termini
i giudici d’appello hanno ritenuto riscontro individualizzante la circostanza che il Don
abbia comunque confermato di aver ricevuto un assegno di garanzia dal Minardi, che in
maniera non manifestamente illogica la sentenza ha ritenuto poi essere stato emesso
per l’ammontare dichiarato da quest’ultimo.
Peraltro, anche volendo ritenere che effettivamente i giudici torinesi abbiano
interpretato nel senso indicato nel ricorso le dichiarazioni del Don, deve evidenziarsi
che il riscontro individualizzante a quelle del Minardi è stato tratto dagli stessi giudici
non solo dall’episodio dell’assegno, ma altresì da quanto riferito dai testi che hanno
assistito alla consegna delle casse che avrebbero dovuto contenere anche le macchine
invero mai fornite da F.C.M. In tal senso la Corte distrettuale, in maniera che si rivela
nuovamente non manifestamente illogica e coerente alle risultanze processuali per
come emergenti dal testo della sentenza impugnata, ha dedotto che il Don fosse
consapevole del numero delle macchine effettivamente consegnate e dunque, come
dichiarato dal Minardi, fosse partecipe del disegno criminoso ordito ai danni della
società di leasing. E’ dunque evidente come, anche a prescindere dall’effettivo valore
probatorio dell’episodio dell’assegno, l’affermazione di responsabilità dell’imputato sia
stata fondata su un compendio probatorio autosufficiente e valutato nel rispetto delle
regole fissate dall’art. 192 c.p.p. invocato dal ricorrente, il quale, invece, ha omesso di
confrontarsi in maniera compiuta con l’apparato giustificativo della sentenza, atteso che
la denuncia del presunto difetto di riscontri individualizzanti è, per l’appunto, frutto
della incompleta confutazione delle valutazioni compiute dalla Corte distrettuale a
sostegno della propria decisione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Co gi deciso il 17/1/2014

per cui sarebbero invece non credibili le giustificazioni rese dal Don per avallare la

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