Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6660 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6660 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Grassano Claudio, nato a Bosco Marengo, il 28/2/1959;

avverso la sentenza del 20/1/2012 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Francesco Petrelli, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 17/01/2014

1.Con sentenza del 20 gennaio 2012 la Corte d’appello di Milano confermava la
condanna alla pena di giustizia di Grassano Claudio per il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale commesso nella sua qualità di amministratore di fatto della
Exi Compounds s.r.l. dichiarata fallita 1’11 ottobre 2006.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi. Con il primo deduce vizi motivazionali del provvedimento impugnato in merito
all’attribuzione al Grassano della qualifica di amministratore di fatto della fallita. Con il

dell’incidenza causale sul dissesto delle contestate distrazioni, mentre con il terzo il
ricorrente lamenta l’omessa giustificazione del diniego delle invocate attenuanti
generiche.
3. Il 23 dicembre 2013 il difensore dell’imputato ha depositato motivi nuovi con i quali
lamenta il difetto di motivazione sull’effettività del contributo concorsuale del Grassano
alla consumazione delle condotte distrattive contestategli e ribadisce le censure relative
al riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto, che sostanzialmente la
Corte

distrettuale

avrebbe

fondato

sulle

dichiarazioni

eteroaccusatorie

dell’amministratore di diritto coimputato del ricorrente senza accertare, ai sensi dell’art.
192 comma 3 c.p.p., l’esistenza dei necessari riscontri alle medesime, non potendosi
considerare tali le dichiarazioni dei testi Sposini e Savarro, in quanto ad oggetto
circostanze neutre e comunque, quanto al primo, inficiate dall’interesse vantato dal
teste nella vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Tutti e tre i motivi avanzati dal ricorrente difettano infatti della dovuta specificità,
limitandosi a riproporre le doglianze già sollevate con il gravame di merito ed
omettendo di correlarsi con la motivata confutazione che delle medesime è stata svolta
nella sentenza impugnata. In particolare la Corte distrettuale ha, coerentemente al
compendio probatorio di riferimento, tratto la prova del coinvolgimento dell’imputato
nella gestione della fallita da una pluralità di indici autonomi, ognuno dei quali sarebbe
stato invero sufficiente a dimostrare come egli abbia di fatto amministrato la stessa nel
periodo oggetto di contestazione, ma la cui convergenza in tal senso è stata
giustamente ritenuta dai giudici d’appello indice inequivocabile della circostanza
contestata dal ricorrente.
Quanto poi all’eccepita assenza di collegamento causale tra le condotte distrattive e il
dissesto della fallita, i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione dei principi
stabiliti da questa Corte per cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non

secondo analoghe doglianze vengono sollevate in merito alla mancata dimostrazione

richiede l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto
dell’impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti
assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche
quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza (ex multis e da ultima
Sez. 5, n. 27993 del 12 febbraio 2013, Di Grandi e altri, Rv. 255567).
Con riguardo infine al diniego delle attenuanti generiche, la sentenza ha motivatamente
e sufficientemente argomentato in relazione alla gravità dei fatti contestati e al

ricorrente sul punto si limitano alla generica quanto per l’appunto infondata denuncia di
un preteso difetto di motivazione.
La genericità dei motivi originari di ricorso si riflette poi su quelli aggiunti depositati dal
ricorrente, giacchè la violazione dell’art. 581 lett. c) c.p.p. che vizia il ricorso principale
costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame, anche se
successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli già dedotti, vengano
depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex art. 585, comma quarto c.p.p. (Sez. 6,
n. 47414 del 30 ottobre 2008, Arruzzoli e altri, Rv. 242129). Non di meno l’inedita
doglianza relativa alla mancata dimostrazione del concorso dell’imputato nelle
distrazioni risulterebbe comunque inammissibile, in quanto attinge un punto della
decisione che non aveva costituito oggetto dell’originario atto di gravame (Sez. Un., n.
4683 del 25 febbraio 1998, Bono ed altri, Rv. 210259). Infine, anche le nuove censure
relative all’attribuzione all’imputato della qualifica di amministratore di fatto si rivelano
in ogni caso inammissibili, atteso che, come già ricordato, la Corte distrettuale ha tratto
i riscontri alle dichiarazioni del coimputato Carta da specifiche circostanze narrate dai
testi sentiti nel corso dell’istruzione dibattimentale, la cui inconferenza è solo
assertivamente affermata dal ricorrente.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17/1/2014

precedente specifico da cui risulta gravato l’imputato, nel mentre le censure del

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