Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 666 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 666 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Di Lino Alberto, nato a Roma il 24/07/1949
2. Di Maio Francesco, nato a Bari il 18/11/1955

avverso la sentenza dell’11/06/2012 della Corte d’Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito per gli imputati l’avv. Federica Poltronieri, che ha concluso per
raccoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano del 07/06/2005, con la
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Data Udienza: 13/11/2013

quale Alberto Di Lino e Francesco Di Maio erano ritenuti responsabili del reato di
cui agli artt. 216 e 223, comma secondo, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso
quali componenti del consiglio di amministrazione della DI DI Service s.r.I.,
dichiarata fallita in Milano il 15/03/2001, sottraendone, al fine di recare
pregiudizio ai creditori, i libri paghe, contributi e beni ammortizzabili, il libro
giornale per gli anni 1992, 1993 e 1994 e i partitari e le fatture per tutti gli anni
escluso il 1998, comunque omettendo di tenere le scritture contabili dopo il 1998
in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari

della società e la somma di E. 300.000.000 mutuata dalla Inabanca ed impiegata
per finanziare i conferimenti del Di Lino e del Di Maio nella LAIN s.p.a., e
cagionando il fallimento della società con operazioni dolose consistite
nell’omettere sistematicamente il versamento delle imposte e dei contributi
previdenziali ed assistenziali e nel disinteressarsi della gestione dopo il 1998; e
veniva altresì confermata la condanna degli imputati alla pena di anni due e mesi
otto di reclusione ciascuno.
Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, i ricorrenti deducono, quanto alla contestata distrazione di somme
dai conti correnti della fallita, illogicità del giudizio di inattendibilità delle
dichiarazioni del teste Mendola, laddove le stesse confermavano la versione
difensiva sull’impiego di disponibilità finanziarie per il pagamento di dipendenti
irregolari, e mancanza di motivazione sulla produzione documentale di schede
personali di dipendenti, attestanti prestazioni orarie di consistenza superiore a
quella risultante dai libri matricola, e sull’effettuazione dei prelievi contestati con
assegni emessi dal Di Maio, come accertato dallo stesso consulente del pubblico
ministero, con cadenza fissa corrispondente ai pagamenti degli stipendi, che
confermavano la predetta versione. Lamentano poi, quanto alla contestata
distrazione della somma ricevuta a titolo di mutuo, contraddittorietà rispetto alla
natura di cooperativa della società LAIN, che imponeva l’integrale versamento
del capitale sociale all’atto della costituzione e quindi in epoca anteriore alla
concessione del mutuo in tesi utilizzato a tal fine, e mancanza di motivazione
sulla conseguente possibilità che la somma sia stata utilizzata per finalità
riconducibili all’oggetto sociale della fallita e, comunque, sull’intervenuta
copertura del debito con l’istituto mutuante da parte di un terzo garante.
Deducono infine contraddittorietà del ritenuto intento criminoso degli imputati
con le richieste di condono previdenziale e la riduzione dell’esposizione debitoria
della fallita verso istituti di credito anche mediante fidejussioni personali dei soci.
, )
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della fallita, distraendo somme per £. 2.756.288.000 prelevate dai conti correnti

2. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta
documentale, i ricorrenti deducono travisamento del contenuto della consulenza
tecnica, dalla quale risultava che gli imputati avevano consegnato non solo la
documentazione bancaria e quella relativa ai condoni previdenziali, ma anche il
libro inventari, il libro soci, il libro matricola, i partitari per gli anni 1997 e 1998,
il libro giornale per gli anni dal 1995 al 1998 e i registri Iva acquisti e vendite per
gli anni dal 1992 al 1994, e mancanza di motivazione sulla sussistenza del dolo
specifico del reato.

riqualificare il reato come bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto
astenendosi da richiedere il fallimento e tenuto in maniera irregolare le scritture
contabili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso relativi all’affermazione di responsabilità degli imputati
per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sono infondati.
Posto che non è in discussione il dato oggettivo del prelievo delle somme
contestate dai conti correnti della fallita, la tesi difensiva della destinazione delle
somme a pagamenti di dipendenti irregolari veniva debitamente valutata dalla
Corte territoriale, che ne rilevava l’assenza di riscontri evidenziando in
particolare la genericità delle dichiarazioni del teste a difesa Mendola.
L’argomento è integrativo delle più ampie considerazioni svolte sul punto nella
sentenza di primo grado, ove si osservava che, a prescindere dall’inattendibilità
intrinseca del racconto del Mendola in ordine all’aver lo stesso personalmente
recapitato gli stipendi presso le abitazioni dei dipendenti, quanto riferito dal teste
e la documentazione dallo stesso prodotta non erano comunque in grado di
provare che le somme specificamente corrispondenti agli assegni tratti sui conti
correnti avessero avuto tale destinazione. Ne veniva fatto seguire che unico dato
certo, non superato dalle allegazioni difensive, era che gli assegni erano stati
incassati personalmente dal Di Maio. Ed a questa coerente conclusione i
ricorrenti oppongono diverse valutazioni sulla significatività probatoria degli
elementi dedotti a difesa, che non fa emergere, nella motivazione della sentenza
impugnata, vizi logici rilevabili in questa sede.
Per ciò che riguarda la destinazione alla LAIN della somma mutuata dalla
Inabanca, la tesi difensiva dell’impossibilità di detta destinazione, per essere
stata l’erogazione del mutuo successiva alla data di costituzione della LAIN, alla
quale era dovuto l’integrale versamento del capitale sociale, veniva anche in
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3. I ricorrenti deducono infine mancanza di motivazione sulla possibilità di

questo caso esaminata dai giudici di merito. I quali osservavano che gli stessi
imputati avevano dichiarato al curatore di aver utilizzato il denaro per la
costituzione della LAIN; e che tali ammissioni, per il loro generico richiamo a
versamenti attinenti alla costituzione della cooperativa, erano attendibili in
quanto non necessariamente riferiti al versamento iniziale del capitale, ma
riconducibili anche ad apporti successivi occorrenti per il mantenimento
dell’operatività di una società. A questa coerente argomentazione, che esclude
anche a questo proposito la sussistenza di vizi motivazionali, la Corte territoriale

Operte di un terzo garante fosse irrilevante in quanto intervenuto
successivamente al fallimento, e comunque non avesse eliminato la necessità di
una spesa di £. 44.344.056 per la copertura del mutuo.
La censura di contraddittorietà della motivazione con le richieste di condono
previdenziale e le fidejussioni personalmente prestate dei soci della fallita
sembra attenere alla diversa imputazione di causazione del fallimento per effetto
di operazioni dolose piuttosto che a quella di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, alla quale è testualmente riferita nel ricorso. Anche in questa
prospettiva, comunque, la lamentata contraddittorietà è insussistente, nel
momento in cui l’elemento psicologico del reato contestato si riduce alla
consapevolezza ed alla volontà delle operazioni che hanno concorso a cagionare
il fallimento, nella specie l’omesso versamento delle imposte e dei contributi
previdenziali ed il disinteresse alla gestione della società del 1998, ma non
estende tali coefficienti psicologici al dissesto, oggetto di mera prevedibilità ed
accettazione del relativo rischio quale possibile conseguenza della condotta (Sez.
5, n. 11945 del 22/09/1999, De Rosa, Rv. 214856; Sez. 5, n. 17690 del
18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a., Rv. 247315); atteggiamento
psicologico, quest’ultimo, che non contrasta con l’interesse del soggetto agente
ad evitare l’esito fallimentare, che il ricorrente desume per il caso in esame dagli
elementi dedotti a difesa (Sez. 1, n. 3942 del 13/12/2007 (24/01/2008),
Muratori, Rv. 238367).

2. Anche i motivi di ricorso relativi all’affermazione di responsabilità degli
imputati per il reato di bancarotta fraudolenta documentale sono infondati.
Insussistente è in particolare il dedotto travisamento del contenuto della
consulenza tecnica, che si lamenta essere stato malamente inteso nel senso del
reperimento della sola documentazione bancaria e di quella relativa ai condoni
previdenziali. Nella sentenza impugnata, in realtà, non si discuteva che l’ulteriore
documentazione contabile indicata dal ricorrente fosse stata consegnata alla
curatela; ma si osservava che detta documentazione non comprendeva diversi
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aggiungeva altrettanto correttamente come il pagamento del debito bancario da

libri contabili, fra i quali in particolare il libro dei beni ammortizzabili, e che tale
carenza aveva reso impossibile al consulente la ricostruzione del movimento
degli affari della società dal 1995 al 1997. Ed il riferimento alla documentazione
bancaria e previdenziale, in questo contesto argomentativo, era finalizzato
unicamente a rilevare come la stessa non avesse potuto sopperire alla lacune di
cui sopra.
Infondata è poi la censura di mancanza di motivazione sul dolo specifico del
reato, laddove quest’ultimo è contestato anche nella fattispecie della tenuta delle

fallita, l’elemento psicologico della quale consiste nel dolo generico dato dalla
consapevolezza che un determinato regime contabile possa raggiungere tale
risultato negativo (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez.
5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709).

3. Le considerazioni che precedono implicano evidentemente l’infondatezza
dei motivi di ricorso relativi alla riqualificazione del reato come bancarotta
semplice.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati, seguendone la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13/11/2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

, 2(cm.

contabilità in modo da impedire la ricostruzione del movimento degli affari della

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