Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6656 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6656 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIOFFREDI ANTONIO N. IL 13/09/1940
CASERTA ANTONELLA N. IL 11/08/1945
avverso la sentenza n. 84/2011 CORTE APPELLO di POTENZA, del
15/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
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curatore General – • i .

Data Udienza: 08/01/2014

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott.. Fraticelli che ha concluso chiedendo
annullamento senza rinvio per Caserta e rigetto per Gioffredi,
uditi i difensori avv.ti S. Cola (per entrambi i ricorrenti) e A. De Sanctis in proprio per Caserta
e, in sost.ne avv. F. Picca per Gioffredi, che hanno illustrato i ricorsi e ne hanno chiesto
raccoglimento.

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Potenza, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di De
Asmundis Guido e Imparato Alessandro con riferimento ai reati loro ascritti per morte dei
predetti.
1.1. Nei confronti di Gioffredi Antonio e di Caserta Antonella, ha invece confermato
la declaratoria di estinzione per prescrizione in relazione al delitto di truffa pluriaggravata di cui
al capo E).
1.2. Nei confronti del predetto Gioffredi ha confermato l’affermazione di responsabilità
in relazione ai delitti di cui ai capi C) ed F) (bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale in
relazione al fallimento della società di fatto dei De Asmundis, dichiarato con sentenza in 15
maggio 1996 e 10 luglio 1996).
2. Ricorrono per cassazione, attraverso i rispettivi difensori, la Caserta e il Gioffredi.
3. Ricorso Caserta: si deduce violazione del divieto di reformatio in pejus, mancanza di
motivazione in ordine alla ricerca delle circostanze che avrebbero dovuto determinare la
assoluzione nel merito, mancanza di motivazione anche con riferimento all’allegata sentenza
della sezione settima del tribunale civile di Napoli del 13 dicembre 2002.
3.1. Si sostiene nel ricorso che il tribunale ha assolto la Caserta dei delitti dei capi B) e
C) (associazione per delinquere e bancarotta fraudolenta) e ha semplicemente dimenticato il
delitto di cui al capo E), che tuttavia è reato strumentale rispetto a quello di cui al capo C).
Tutta la motivazione della sentenza di primo grado è nel senso della dimostrazione della
estraneità della Caserta alla attività criminosa, atteso che la stessa è stata individuata come
una mera prestanome del marito. Il tribunale aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale
che consente di emettere, all’esito del dibattimento, sentenza ai sensi del secondo comma
dell’articolo 530 cpp, anche in caso di reato prescritto; inoltre le ragioni che hanno condotto
alla assoluzione dell’imputata dai delitti di cui ai capi B) e C), si vorrebbero a trovare in
insanabile contrasto con un’eventuale volontà del tribunale di affermare la responsabilità della
Caserta con riferimento al delitto di cui al capo E); infine, dalle modalità di stesura della
sentenza, si evince che il tribunale, nel trattare la posizione dell’imputata, ha omesso di
menzionare che le era mossa anche la contestazione sub E). Ne consegue che -come
anticipato- la corte d’appello, nel dichiarare la prescrizione, opera ad una vera e propria
reformatio in pejus. Poiché la prescrizione è stata dichiarata all’esito dell’istruzione
dibattimentale, era dovere del giudice verificare se erano già presenti ed erano stati acquisiti
elementi validi per il proscioglimento nel merito. Ad ogni buon conto, manca qualsiasi
motivazione sul punto, poiché quella che esibisce la corte è puramente apparente. Essa ripete
invero la formula dell’articolo 129 del codice di rito e non tiene conto del fatto che De
Asmundis Antonio ha completamente scagionato la ricorrente. Anche i vari testi ascoltati in
corso del dibattimento hanno escluso che la Caserta fosse responsabile di alcunché. Come si
anticipava, poi, è sopraggiunta la sentenza della settima sezione civile del tribunale di Napoli,
divenuta definitiva, la quale ha revocato la dichiarazione di fallimento della Caserta in relazione
alla società di fatto De Asmundis. Ne consegue che questa ricorrente non ha mai fatto parte
della predetta società.
4. Ricorso Gioffredi: dopo aver riportato, da pagina 2 a pagina 17, il testo integrale
dell’atto d’appello, il difensore di questo imputato sostiene che il giudice di secondo grado non
ha dato alcuna risposta alle censure avanzate e relative: a) al ruolo di De Asmundis Antonio
nell’ambito dello studio di agenti di cambio omonimo nel periodo dal 1981 1987, b)
all’esistenza di una società di fatto tra il predetto studio di agenti di cambio e il ricorrente e

RILEVATO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono fondati e vanno accolti. Conseguentemente la sentenza
impugnata va annullata; l’annullamento va disposto senza rinvio per la Caserta e con rinvio per
nuovo esame alla corte di appello di Salerno per il Gioffredi.

l’Imparato, c) alla circostanza che lo studio di agenti di cambio del ricorrente di Milano e lo
studio agenti di cambio di Imparato di Bologna e di Milano avessero piena autonomia rispetto
allo studio De Asmundis di Napoli, d) alla circostanza che lo studio del Gioffredi di Milano fosse
effettivamente la longa manus sul dello studio De Asmundis di Napoli, e) all’esistenza di una
filiale a Roma dello studio del ricorrente, f) all’esistenza di una situazione debitoria di Gioffredi
nei confronti di De Asmundis, g) all’esistenza di una affectio societatis tra De Asmundis Guido e
Antonio, da un lato, e Gioffredi e Imparato, all’altro, h) alle ragioni che determinarono la
costituzione della SIM Professione e Finanza, secondo la ricostruzione di De Asmundis Antonio,
i) alla presunta commistione strutturale, organizzativa e operativa tra la predetta SIM e lo
studio De Asmundis Guido, I) al provvedimento di autosospensione della SIM, nonché in ordine
alle riunioni svoltesi tra De Asmundis Antonio, Gioffredi e Imparato tra il 19 aprile 1996 e
l’adozione del provvedimento di autosospensione predetto. In merito a tali punti vengono
elencati i testi che avrebbero smentito l’assunto di De Asmundis Antonio, separatamente
giudicato e chiamante in correità, tra gli altri, del ricorrente.
4.1. A tale dettagliata elencazione, tuttavia, il difensore del Gioffredi premette che
devono ritenersi inutilizzabili, come già fatto presente ai giudici di merito, le dichiarazioni
rilasciate da vari soggetti al curatore, nonché il contenuto dell’informativa della Guardia di
Finanza; documenti entrambi erroneamente utilizzati in primo e secondo grado. Si osserva inoltre- che le dichiarazioni rilasciate al curatore sono state comunque smentite dagli stessi
dichiaranti in dibattimento; essi infatti hanno escluso che esistesse una società di fatto tra
Gioffredi e i De Asmundis.
4.2. Ebbene, a tutto ciò la corte d’appello non oppone alcuna argomentazione, ma si
limita a ripetere l’assunto del tribunale, dichiarando utilizzabili le dichiarazioni rese al curatore
e l’informativa della Guardia di Finanza. Secondo la corte potentina, sarebbe rilevante e
decisivo il fatto che Gioffredi ebbe a partecipare, insieme agli imputati deceduti e a De
Asmundis Antonio, all’operazione di organizzazione della società FIM in Svizzera. Ciò
costituirebbe riscontro alle accuse di De Asmundis Antonio e darebbe prova della coscienza e
volontà del ricorrente di partecipare alla perpetrazione del delitto di bancarotta.
Si tratta in realtà di una motivazione meramente apparente, più che illogica, in quanto
mancano i passaggi argomentativi intermedi, che conducano dalla premessa alla conclusione.
Ciò in quanto è del tutto ignorato, come premesso, il contenuto dell’atto di appello. Viene poi
data per certa la credibilità di De Asmundis Antonio e ciò sulla base della sentenza che lo ha
condannato per i reati dei quali lo stesso si è autoaccusato. Dunque la confessione del predetto
finirebbe per riscontrare se stessa, in una sorta di corto circuito probatorio e in piena
violazione del dettato dell’articolo 192 del codice di rito. A ben vedere, unico riscontro è fornito
dall’unico episodio della costituzione della FIM, della quale si è appena detto, ma la corte
territoriale non chiarisce per quali ragioni e in che termini l’intervenuta costituzione in Svizzera
della società predetta rappresenterebbe, non solo riscontro alle dichiarazioni di De Asmundis
Antonio, ma anche la riprova del dolo dei delitti a lui contestato sub C) ed F).

2. Per quanto riguarda il ricorso Caserta, premesso che non ricorre alcuna ipotesi di
reformatio in pejus, in quanto il dispositivo della sentenza di primo grado, con riferimento al

capo E), è esattamente lo stesso della sentenza di appello, va rilevato che manca
completamente una giustificazione motivazionale che, sia pure per sommi capi, dia ragione del
fatto che non sussistevano elementi in base ai quali si dovesse pronunziare assoluzione nel
merito.
2.1. Come giustamente si afferma nel ricorso, poiché in primo grado fu compiuta
istruzione dibattimentale, il giudice di merito, nel pronunciare sentenza di improcedibilità per
estinzione del reato per prescrizione, avrebbe dovuto, quantomeno, dare atto che le
emergenze probatorie eventualmente raccolte non consentivano un più favorevole epilogo
decisorio. Se dunque non è corretto affermare che il tribunale, prima, e la corte, poi, dovessero
“ricercare”, come letteralmente si scrive nel ricorso, gli elementi a discarico della Caserta,

15,

3. Per quanto riguarda il ricorso Gioffredi, va innanzitutto chiarito che costituisce ormai
jus recptum (es. ASN 200439001-RV 229330) il principio in base al quale le relazioni e gli
inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni
caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà
contabile, atteso che gli accertamenti documentali, ma anche le dichiarazioni ricevute dal
curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende
amministrative della società. Ne consegue che ne è certamente corretto l’inserimento della
relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di
separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti
rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da
accertare.
4. Nondimeno, si deve riconoscere che la motivazione della sentenza di secondo grado
si distingue per la sua apoditticità e inconferenza, che sfocia, a volte, in una forma espositiva
criptica e autoreferenziale. Effettivamente il giudice di secondo grado non fornisce alcuna
articolata risposta (e a volte alcuna risposta) alle argomentazioni proposte con l’atto d’appello,
argomentazioni che il ricorrente è stato costretto a riprodurre (e questa corte a leggere)
integralmente, allo scopo di dimostrare che non una delle osservazioni ha trovato riscontro
nella trama argomentativa della sentenza di secondo grado.
5. In diritto, poi, è certamente fondata l’osservazioni in base al quale le dichiarazioni del
coimputato De Asmundis Antonio, ai sensi del terzo comma dell’articolo 192 cpp,
necessitavano di validi elementi di prova che ne confermassero l’attendibilità. È certamente
errato, per non dire paradossale, affermare che la conferma delle dichiarazioni del De
Asmundis deriva dal fatto che nei suoi confronti, e sulla base delle sue stesse dichiarazioni, egli
è stato condannato. È evidente infatti che, quando l’imputato dichiara contra se, la regola di
valutazione appena illustrata (articolo 192 comma terzo) non trova applicazione, ma essa
ritorna operativa nel momento in cui le stesse dichiarazioni devono essere utilizzate contra
alios. Diversamente ragionando, si giungerebbe alla conclusione che, se il dichiarante è stato
giudicato separatamente e quindi condannato con sentenza definitiva, le sue dichiarazioni
eteroaccusatorie non avrebbero mai bisogno di essere corroborate ai sensi del ricordato terzo
comma dell’articolo 192. L’erroneità dell’assunto è talmente evidente che non vale la pena di
insistere nella sua dimostrazione.
5.1. Poiché l’ipotesi d’accusa è stata sintetizzata (sia pure con alcune improprietà
grammaticali) nei capi di imputazione residui, vale a dire quelli sub C) ed F), era obbligo del
giudice di secondo grado, a fronte della precisa e dettagliata articolazione delle censure
proposte dall’appellante, non solo confrontarsi con tali censure e non arroccarsi
tautologicamente dietro il dicutum del primo giudice, ma anche e principalmente chiarire quali

nondimeno sui giudicanti gravava un compito di mera ricognizione delle acquisizioni
processuali, allo scopo di valutare se, sulla base delle stesse, emergesse ictu °cui/ l’estraneità
della ricorrente, anche con riferimento al delitto di cui al capo E).
2.2. Ebbene, di tale attività ricognitiva la sentenza di secondo grado non dà
minimamente atto.
2.3. La sentenza di primo grado, viceversa, dà atto (cfr. foll. 35 e 53) che gli elementi a
carico di questa imputata -con riferimento ai reati a lei contestati e, dunque, anche al reato
sub E)- non hanno quei caratteri di univocità e concludenza che ne giustifichino la affermazione
di responsabilità. Da tale presupposto, il tribunale lucano trae la conclusione della necessità di
assolvere Caserta Antonella dai reati sub B) e C) per non aver commesso il fatto, ma,
singolarmente, non anche per il reato di cui al capo E), reato la cui condotta, per quel che si
legge nel capo di imputazione, si sarebbe sostanziata (in gran parte) nella consumazione del
reato sub C).
2.4. È dunque di tutta evidenza, da un lato, la mancanza (anche grafica: cfr. fol. 54
della sentenza di primo grado) di motivazione sul punto, dall’altro, l’incongruenza della
pronunzia di prescrizione in presenza, pur a seguito di espletata istruttoria dibattimentale, di
quelle condizioni che, ex art. 129 cpp, avrebbero imposto -per tempo- proscioglimento per
estraneità al fatto delittuoso contestato al capo E).

PQM
annulla la sentenza impugnata, senza rinvio nei confronti di Caserta Antonella per non aver
commesso il fatto sub E); annulla detta sentenza nei confronti di Gioffredi Antonio,
limitatamente ai reati sub C) ed F), con rinvio per nuovo esame alla corte di appello di Salerno.
Così deciso in Roma, in data 8 gennaio 2014.-

fossero gli altri elementi di prova atti a corroborare la chiamata in correità proveniente dal De
Asmundis Antonio.
5.2. Unico riscontro, di fatto, indicato dalla corte lucana è quello in base al quale il
Gioffredi non sarebbe stato estraneo alla costituzione della società svizzera, ma, come
correttamente si osserva nel ricorso, si tratta di un mero accenno a un dato di fatto, che, se
non interpretato dal giudice di merito e reso intelligibile per i “fruitori” della sentenza (tra i
quali, in primis, questa corte di legittimità), rimane circostanza che, di per sé, poco aggiunge
alla descrizione della figura del ricorrente e al suo ipotizzato contributo, quale concorrente,
all’azione di criminosa spoliazione addebitata ai De Asmundis. In particolare, la motivazione
della sentenza (sul punto, particolarmente manchevole e approssimativa) non chiarisce per
qual motivo tale condotta fornirebbe riprova della consapevolezza e della volontà del Gioffredi
di concorrere nel delitto di bancarotta.

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