Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6655 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6655 Anno 2016
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti nell’interesse di
FIORE ROSARIO, nato il 3.1.1974 E
DI GLORIA LEONARDO, nato il 20.5.1957
avverso la sentenza n. 5090/2014 pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo il
16.12.2014;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere Stefano Mogini;
udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Mario Pinelli, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito l’Avv. Antonino Graziano, difensore di fiducia del ricorrente Rosario Fiore, che ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Fiore Rosario e Di Gloria Leonardo ricorrono per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia
avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d’Appello di Palermo ha, in parziale
riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Agrigento il 3.5.2011 che aveva ritenuto i

Data Udienza: 19/11/2015

ricorrenti responsabili del delitto di concorso in concussione continuata (artt. 110, 81 capv.,
317 c.p.), qualificato il fatto ascritto ai medesimi ricorrenti quale induzione indebita a dare o
promettere utilità (art. 319-quater c.p.) e ridotto la pena inflitta a ciascuno dei ricorrenti ad
anni due, mesi tre e giorni quindici di reclusione.
Fiore e Di Gloria sono accusati di avere, in qualità di pubblici ufficiali ed in particolare il Di
Gloria in qualità di Presidente dell’Agenzia Empedocle Sviluppo S.p.a., società mista a
prevalente capitale pubblico avente ad oggetto la promozione di attività dirette – tramite
l’erogazione di contributi comunitari agli imprenditori aderenti – al rilancio e allo sviluppo
produttivo e occupazionale dei comuni di Porto Empedocle, Raffadali, Santa Elisabetta e

funzioni anche di vicario del Presidente, nell’esercizio delle loro rispettive funzioni e abusando
dei loro poteri, costretto e indotto gli imprenditori soci dell’Agenzia a promettere e a
consegnare loro indebitamente somme di denaro, minacciandoli che in caso contrario non
avrebbero istruito le loro richieste di finanziamento ed avrebbero così impedito loro di accedere
ai finanziamenti comunitari cui avevano diritto. In particolare costringevano Russo Fiorino
Salvatore a promettere indebitamente la somma di 20.000 Euro, Alfeo Fortunato a promettere
10.000 Euro e a pagarne 5.000, Lorenzano Gerlando a promettere il pagamento di 10.000
Euro, Galvano Giuseppe a promettere il pagamento della somma di 500 Euro e Casà Stefano di
una somma non meglio specificata. Il fatto contestato in danno del Casà era stato qualificato
come tentativo di concussione dal giudice di primo grado e, quindi come tentativo di induzione
indebita dalla Corte territoriale.

2. Fiore Rosario e Di Gloria Leonardo censurano la sentenza impugnata deducendo
entrambi, con motivi comuni ai due ricorsi, violazione di legge penale in riferimento agli artt.
317, 319 – quater, 357 e 358 c.p. e conseguenti vizi di motivazione per avere i giudici di
merito erroneamente ritenuto che i ricorrenti rivestissero la qualifica di pubblici ufficiali o di
incaricati di pubblico servizio, con conseguente integrazione del delitto di induzione indebita a
dare o promettere utilità. In realtà l’Agenzia Empedocle Sviluppo S.p.a – di cui al momento
della commissione dei fatti il Di Gloria era Presidente e il Fiore consulente amministrativo e,
quindi, membro del consiglio di amministrazione con funzioni vicarie del Presidente – è una
società di carattere privatistico, costituita con rogito notarile e a prevalente capitale pubblico,
che non ha mai svolto attività autoritativa o certificativa, né attività c.d. “in house” per conto
dei soci soggetti pubblici, essendo incaricata semplicemente di fornire, in qualità di soggetto
responsabile, consulenza e supporto tecnico in favore degli imprenditori soci del patto
territoriale di Porto Empedocle e dei comuni limitrofi, in assenza di qualsivoglia potere, anche
di carattere istruttorio, nell’esame, nell’approvazione e nell’erogazione dei relativi
finanziamenti, attività queste proprie del Ministero delle Attività Produttive. Inoltre, l’istruttoria
dibattimentale avrebbe fatto emergere che alla fine del 2006 l’Agenzia, per mancanza di fondi,
non era più in grado di assolvere la propria attività, né i soci, pubblici e privati, erano nelle
condizioni di ricapitalizzare la società o di contribuire alle sue spese gestionali. Ciò aveva

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Joppolo Giancaxio, e il Fiore in qualità di consulente amministrativo della suddetta agenzia con

dunque necessariamente indotto i consulenti, dapprima compensati dall’Agenzia, a richiedere il
pagamento delle loro prestazioni professionali agli imprenditori che ancora necessitavano di
assistenza tecnica per la predisposizione delle pratiche relative alle richieste di erogazione delle
ultime rate dei finanziamenti afferenti al patto territoriale. Le richieste del Fiore agli
imprenditori descritte nel capo di imputazione si riferirebbero dunque al pagamento di
corrispettivi per prestazioni professionali, del tutto leciti e, in quanto tali, incassati dal Fiore,
nel caso del compenso dovuto da Aircom S.r.l., sul proprio conto corrente a mezzo versamento
di assegno bancario.
2.1. Il ricorso proposto nell’interesse di Di Gloria Leonardo deduce inoltre:

condotta del ricorrente, di abuso prevaricatore nei confronti di soci imprenditori della AES
S.p.a., tenuti anzi ad una diretta responsabilità economica per il finanziamento delle spese di
funzionamento della società; 2) assenza di contributo causale del ricorrente alle condotte del
Fiore, del resto rientranti in ambito meramente privatistico, con particolare riferimento alle
vicende relative a Russo Fiorino, Aircom S.r.l., Galvano Giuseppe e Casà Stefano.
b) Inosservanza dell’art. 319-quater c.p. e vizi di motivazione, per avere la Corte territoriale
qualificato le condotte contestate quali violazioni dell’art. 319-quater c.p. anziché, a tutto voler
concedere, ai sensi dell’art. 318 c.p. (corruzione per l’esercizio della funzione). Per la
configurabilità del primo reato mancherebbero infatti una situazione di soggezione psicologica
del privato nei confronti del pubblico funzionario, un’idonea attività induttiva del pubblico
ufficiale, un abuso prevaricatore da perte del pubblico agente, il fine determinante di vantaggio
indebito dell’extraneus.

Considerato in diritto

1. Entrambi i ricorsi sono infondati.
1.1. Infondati sono in primo luogo i motivi, comuni ai ricorsi di cui sopra, coi quali si
censura la qualifica soggettiva attribuita dalle sentenze di merito ai due ricorrenti.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che i soggetti inseriti nella struttura
organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali
o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una
normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (Sez.
6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257384; Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta, Rv.
254201).
Non si richiede, quindi, che l’attività svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico,
essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi
privati, realizzi finalità pubbliche.
Il capoverso dell’art. 358 c.p.p. esplicita poi il concetto di servizio pubblico, ritenendolo
formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente art. 357, ma caratterizzato
dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi). Il

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a) Violazione dell’art. 319-quater c.p. e vizi di motivazione in relazione: 1) all’assenza, nella

parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è dunque identico a quello della
pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola
l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità,
con esclusione in ogni caso dall’area pubblicistica delle mansioni di ordine e della prestazione di
opera meramente materiale (tra tante, Sez. 6, n. 39359 del 7.3.2012, Ferrazzoli, Rv. 254337).
Alla luce dei principi esposti, deve ritenersi, avallando sostanzialmente il discorso giustificativo
della sentenza in verifica (p. 16 e ss.), che sia il Di Gloria – nella sua qualità di Presidente e
legale rappresentante dell’Agenzia Empedocle Sviluppo S.p.a. – sia il Fiore – esercente funzioni
di coordinamento degli uffici amministrativi, di segretario verbalizzante e successivamente di

supplenza del Presidente Di Gloria in forza del rapporto fiduciario esistente tra i due rivestano entrambi la qualità di pubblico ufficiale in relazione allo svolgimento di attribuzioni di
natura certificativa, di verifica dell’adempimento degli obblighi dei soggetti beneficiari del
finanziamento pubblico e propulsiva delle pratiche finalizzate all’ottenimento di tali
finanziamenti da parte dei soggetti privati richiedenti.
Tali funzioni si collegano infatti evidentemente all’attuazione degli obiettivi di interesse
pubblico – consistenti nella promozione dello sviluppo dell’area territoriale di riferimento istituzionalmente perseguiti dallo stesso patto territoriale, direttamente partecipato da soggetti
pubblici, con capitali pubblici e secondo modalità e forme determinate da regolamentazione di
natura pubblicistica (L. 241/200; DM 320/2000; Delibere CIPE).
Sicché, al di là della connotazione formale del soggetto responsabile del patto territoriale,
l’attività in concreto svolta dai ricorrenti – di carattere intellettivo e non meramente esecutivo
o d’ordine, essendo da loro svolte funzioni inerenti alla formazione ed alla manifestazione della
volontà dell’ente (Sez. 6, n. 8494 del 13/05/1998, Agnello, Rv. 211312) – risulta dotata di
poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione ed attiene a bisogni di pubblico
interesse non aventi carattere industriale o commerciale.
1.2. La sentenza impugnata giustifica inoltre in modo del tutto adeguato e immune da vizi
logici e giuridici (p. 18-22): a) le ragioni per le quali l’Agenzia, come soggetto responsabile del
Patto, aveva il compito essenziale di interloquire con il Ministero dell’Economia e delle Finanze
per la concessione e l’erogazione dei finanziamenti, essendo a lei attribuita un’esclusiva ed
insostituibile funzione di controllo delle spese sostenute dalle imprese finanziate, nonché di
certificazione della conformità delle opere realizzate rispetto ai progetti approvati, con poteri di
collaudo, di liquidazione delle somme finanziate a fronte di accertamento dello stato di
avanzamento lavori e, quindi, di dazione del saldo; b) la permanenza del Fiore nei propri
pregressi incarichi anche a fronte, a fine 2006, dell’esaurimento del fondo di gestione
dell’Agenzia; c) la consapevole commistione tra il ruolo istituzionale interno all’Agenzia e quello
privato di carattere professionale del Fiore, col pieno accordo e il fattivo, determinante
concorso del Di Gloria; d) la falsità del documento riguardante un asserito incarico
professionale che la ditta Sicilfer avrebbe conferito ai tre consulenti Fiore, Burgio e Barberi; e)
la necessità che gli imprenditori ai quali ancora non era stato erogato il saldo dei loro

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membro del consiglio di amministrazione dell’Agenzia, e comunque, di fatto, funzioni di

finanziamenti si avvalessero dell’Agenzia per il completamento delle relative pratiche, ciò che
aveva determinato una condizione di concreta soggezione degli stessi imprenditori alle
ripetute, illegittime pretese economiche manifestate dal Fiore e sostenute, obliquamente ma in
modo non equivoco, dal Di Gloria con modalità, analoghe in tutti i casi contestati, pienamente
dimostrative del loro previo accordo e della loro complicità. Sicché prive di pregio debbono
ritenersi le censure con le quali i ricorrenti hanno lamentato – con argomenti ampiamente
sconfinanti nel merito – che le richieste del Fiore si riferivano in realtà al pagamento di
corrispettivi per prestazioni professionali poste in essere nell’ambito di rapporti di carattere
privato non coinvolgenti l’Agenzia, nonché l’assenza, nelle condotte del Di Gloria, di abuso

condotte del Fiore.
Quanto precede determina all’evidenza anche l’infondatezza del motivo del ricorso proposto
nell’interesse del Di Gloria col quale si suggerisce la sussunzione delle condotte dei ricorrenti
nel paradigma normativo dell’art. 318 cod. pen. sulla base dell’asserita mancanza: a) di una
situazione di soggezione psicologica delle persone offese nei confronti del pubblico ufficiale,
soggezione che, come già detto, la sentenza impugnata giustifica al contrario ampiamente e
senza incorrere in vizi logici; b) dell’abuso prevaricatore del pubblico agente, reso al contrario
evidente dalle ripetute richieste di denaro del Fiore e dall’assenza per gli imprenditori di
alternative percorribili rispetto al ricorso all’opera dell’Agenzia (e per essa del Fiore) al fine di
ottenere il completamento delle pratiche di finanziamento e l’erogazione del relativo saldo.
1.3. La sentenza impugnata non fa peraltro buon governo dei principi più volte affermati da
questa Corte – nel solco di SU, n. 12228 del 24.10.2013, Maldera – in tema di demarcazione
della fattispecie di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., originariamente contestata ai
ricorrenti e per la quale essi sono stati condannati in primo grado, rispetto a quella di
induzione indebita di cui all’art. 319-bis cod. pen., ritenuta nella decisione d’appello.
Dopo aver correttamente ed ampiamente ricordato che l’intensità della pressione prevaricatrice
non è di per sé idonea a distinguere la condotta induttiva da quella costrittiva, e che le due
fattispecie di differenziano in quanto quella di cui all’art. 317 cod. pen. richiede che il pubblico
agente prospetti al privato un danno ingiusto, mentre l’art. 319-bis cod. pen. prescrive che la
prospettata conseguenza dannosa non sia contraria alla legge e che il privato ricerchi il
conseguimento di un proprio indebito vantaggio, la sentenza in esame ritiene in modo del tutto
contraddittorio che nel caso di specie sussista il fine determinante di vantaggio illecito
perseguito dai privati, avendo i pubblici agenti prospettato che, in assenza delle indebite
dazioni da essi sollecitate, gli imprenditori “non avrebbero potuto ottenere la definizione delle
pratiche di finanziamento o i documenti richiesti, attività che rientravano nei compiti
istituzionali di natura pubblicistica svolti dagli imputati per conto dell’Agenzia che essi
rappresentavano”, sicché l’extraneus avrebbe nel caso di specie cercato di evitare un illecito
danno (“certat de damno vitandog.

In realtà, decidendo per la diversa, e meno grave,

qualificazione giuridica del fatto rispetto all’originaria imputazione, la Corte territoriale ha
smentito le corrette premesse dalle quali era partita, giungendo ad una errata applicazione

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prevaricatore e della impossibilità di configurare un suo effettivo apporto concorsuale alle

della fattispecie dell’induzione indebita a fatti chiaramente rientranti in quella di concussione,
stante l’avvenuta prospettazione ai privati di un danno ingiusto, consistente nel mancato
completamento delle pratiche volte all’erogazione del saldo loro dovuto, che questi ultimi
hanno inteso evitare piegandosi alle ripetute, illecite pretese dei ricorrenti.
Si è prodotto quindi un errore di diritto che ha comportato per i ricorrenti un’ingiustificata
riduzione di pena, peraltro senza che tali punti della sentenza impugnata venissero sottoposti a
censura dal pubblico ministero. Si impone pertanto la correzione del suddetto errore di diritto,
rimanendo fermo il più favorevole trattamento sanzionatorio applicato ai ricorrenti ad esito del
giudizio di appello.

corrisponde a quella originariamente contestata ai ricorrenti e per la quale essi sono stati
condannati in primo grado, sicché nel caso di specie deve ritenersi pienamente rispettato il
diritto dei ricorrenti a essere informati in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa
elevata a loro carico, nonché a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare e
svolgere la loro difesa, anche con specifico riferimento alla definizione giuridica del fatto
contestato.

Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Riqualificata la condotta sotto l’originaria imputazione di violazione dell’art. 317 cod. pen.,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

Il Collegio osserva al riguardo che la qualificazione giuridica del fatto finalmente ritenuta

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