Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6650 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6650 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERTUCCIO VITTORIO N. IL 19/05/1976
avverso la sentenza n. 3904/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 20/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO

Data Udienza: 10/12/2013

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dr Fulvio Baldi,
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio, perché il fatto non sussiste,
limitatamente al reato di minaccia, con conseguente esclusione dell’aumento per la
continuazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Bertuccio Vittorio propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza

sentenza del Tribunale di Palermo, ha ridotto il risarcimento del danno in favore della
parte civile, confermando la condanna del ricorrente alla pena di mesi cinque di
reclusione, per il delitto di cui agli artt. 582 e 585 c.p, in relazione all’articolo 577
c.p. n. 4 e 612 c.p., oltre al pagamento delle spese della parte civile costituita e di
quelle processuali.
2. Bertuccio Vittorio era stato tratto a giudizio per avere cagionato un trauma contusivo
facciale a Giannotta Giovanni, avendolo colpito con un pugno in pieno volto e per
averlo minacciato per telefono. Episodio verificatosi in Palermo il 27 marzo 2006.
3. Il Tribunale ha ritenuto che la deposizione della costituita parte civile fosse limpida,
priva di contraddizioni e coerente con altri elementi raccolti, fra i quali la
documentazione medica relativa alle lesioni subite, i tabulati del traffico telefonico
dell’utenza intestata al danneggiato e la ricognizione personale eseguita dalla
persona offesa in udienza.
4. Avverso tale decisione ha proposto appello l’imputato contestando l’elemento
oggettivo del reato poiché la sentenza si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni
rese dalla persona offesa. In secondo luogo ha censurato il riconoscimento
dell’aggravante dei motivi abietti e futili, ha chiesto l’assoluzione dell’imputato dal

del 24 maggio 2013 della Corte d’Appello di Palermo che, in parziale riforma della

reato di minaccia non essendo stata accertata la paternità della voce minacciosa 4
ricondotta al ricorrente e la eccessività della pena.
5. La Corte d’Appello con sentenza del 20 maggio 2013 ha ritenuto le dichiarazioni della
persona offesa connotate da sostanziale linearità e logicità tale da farle ritenere
intrinsecamente attendibili, inoltre la ricognizione personale consente di superare
ogni perplessità circa un possibile scambio di persona. Ha ritenuto corretto il
riconoscimento dell’aggravante dei motivi abietti, trattandosi di un grave episodio
determinato da una banale controversia relativa ad un sinistro stradale, ha ritenuto
congrua la pena, riducendo l’importo del risarcimento del danno in favore della parte
civile alla somma di euro 1500.

6. Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato
lamentando la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’attendibilità
della parte offesa. Ha lamentato la manifesta illogicità della motivazione riguardo
all’accertamento della paternità della voce relativa alla telefonata minacciosa. Infine,
ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della
motivazione riguardo al mancato riconoscimento della prescrizione, intervenuta
prima della decisione di secondo grado.

La sentenza impugnata non merita censura.
1. Con il primo motivo la difesa dell’imputato ha lamentato la manifesta illogicità della
motivazione, con riferimento all’attendibilità della parte offesa. In particolare, in
primo luogo, il giudice di appello non avrebbe valutato adeguatamente la
contrapposizione di interessi esistente tra le parti, in secondo luogo non è stato
valorizzato il fatto che l’individuazione dell’imputato con l’aggressore è stato
determinato dalla circostanza che questi era il coniuge della signora che aveva avuto
un sinistro stradale con il Giannotta, mentre nessun elemento collegava
direttamente il numero di telefono della signora con la persona dell’imputato. In
terzo luogo, non vi sarebbe linearità tra quanto riferito in sede di querela e quanto
dichiarato in udienza dalla parte offesa. A ciò occorre aggiungere che la ricognizione
personale è avvenuta in udienza, dopo che l’imputato aveva già reso il proprio
esame alla presenza della parte civile. Ha lamentato, poi, la manifesta illogicità della
motivazione riguardo all’accertamento della paternità della voce relativa alla
telefonata minacciosa
2.

Infine, ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità
della motivazione riguardo al mancato riconoscimento della prescrizione intervenuta
prima della decisione di secondo grado.

3.

Preliminarmente va rilevato che il termine di prescrizione non è maturato in quanto,
a causa della sospensione per tre mesi in occasione della astensione dalle udienze
degli avvocati, il termine varrà a scadere il 21 dicembre 2013.

4.

Riguardo ai singoli motivi di ricorso occorre premettere che in tema di sentenza
penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione, allorquando i
giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza
dell’indagine svolta in primo grado, nonché della corrispondente motivazione,
seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. E invero, le motivazioni della
sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo
in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento

CONSIDERATO IN DIRITTO

per giudicare della congruità della motivazione (Cassazione penale , sez. II, 15
maggio 2008, n. 19947).
5.

Quanto al primo motivo, la mancata valutazione della contrapposizione di interessi
della parte civile costituisce doglianza assolutamente generica e, quindi,
inammissibile; la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui non motiva il
collegamento tra il numero di telefono della donna coinvolta nel sinistro e la persona
dell’imputato è insussistente, poiché a nella sentenza di primo grado è chiarito che la

marito. Quanto al contrasto tra il contenuto della querela e l’oggetto delle
dichiarazioni, il ricorrente non allega la querela, non trascrive il contenuto e non
indica la collocazione dell’atto nel fascicolo, conseguentemente la doglianza è
inammissibile. Quanto alla valenza probatoria della ricognizione personale la
decisione di primo grado contiene argomentazioni specifiche sul punto,
assolutamente adeguate e pertinenti, sottolineando che, indipendentemente dai
tempi di espletamento della ricognizione personale, il Giannotta non ha dimostrato
alcun tentennamento nell’indicare l’imputato quale soggetto che lo aveva aggredito,
ed il riferimento alla frase “mi sembra”, milita in favore di un più radicato giudizio di
attendibilità.
6.

Quanto al reato di minaccia, vanno richiamate i principi in tema d’integrazione della
motivazione di primo e secondo grado, evidenziati in premessa. Ricorre, infatti, una
motivazione implicita del giudice di secondo grado che, come evidenziato anche dal
Tribunale, inserisce la frase minacciosa in un contesto di pregressa violenza. Infatti,
GIannotta era minacciato verbalmente e colpito improvvisamente al volto, subendo
la deviazione e la frattura del setto nasale, che aveva richiesto in intervento
chirurgico. Dopo circa una settimana dalla violenta aggressione subita e dalle
minacce, la parte offesa, mentre si trovava in ospedale, era stato contattato da un
numero anonimo e l’interlocutore aveva proferito le parole “tempo scaduto”. Il
Giannotta aveva subito riconosciuto la voce “proprio perché scolpita nella sua
memoria per quanto accaduto” in occasione della grave aggressione, percependo
comprensibilmente quella dichiarazione come un’ulteriore pesante minaccia, inserita
nel recente contesto di pregressa violenza. Sotto tale profilo, pertanto, la censura è
infondata.
P.T.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, in Roma il 10 dicembre 2013
Il Consiglier

tensore

Il Pre5it Inte

stessa donna aveva riferito alle forze dell’ordine che il suo cellulare era in uso al

Alfredo Maria Lombardi

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