Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6640 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6640 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vadalà Francesco, nato a Roma il 101.10.1961, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Campobasso 1’11.4.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del
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ricorso;

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udito per il ricorrente, il sostituto processualWdel difensore di fiducia,
che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata 1’11.4.2013 la corte di appello di
Campobasso, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di

Data Udienza: 14/11/2013

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Campobasso, in data 20.9.2010, aveva condannato Vadalà Francesco, in
relazione ai reati di cui agli artt. 614, ultimo comma, c.p. (capo C); 56,
614, ultimo comma (capo F); 612, co. 2, c.p. (capo E), commessi in
danno della moglie Migliozzi Antonia, alla pena ritenuta di giustizia,
rideterminava in senso più favorevole all’imputato il trattamento

2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato ed il
suo difensore di fiducia, lamentando: 1) violazione di legge in relazione
alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 614, co. 4, c.p., per
non avere la corte territoriale adeguatamente motivato sulla sussistenza
del necessario nesso eziologico tra la rottura del vetro della portafinestra dell’abitazione della persona offesa e l’ingresso dell’imputato
nell’appartamento in questione, elemento indispensabile, quello della
violenza sulle cose, per la perseguibilità d’ufficio del reato di cui all’art.
614, c.p., laddove il ricorrente aveva evidenziato che la rottura del vetro
si era verificata in un punto della porta-finestra che non consentiva di
raggiungerne la serratura e che, in ogni caso, il Vadalà era in possesso
delle chiavi dell’appartamento, per cui il suddetto evento è da addebitare
ad una motivazione diversa da quella di entrare nell’abitazione della
Migliozzi; 2) violazione di legge in relazione all’art. 612, c.p., di cui non
ricorrono gli elementi costitutivi, posto che le espressioni rivolte
dall’imputato alla moglie vanno lette come un tentativo, per nulla
aggressivo, ma anzi conciliante, avendo egli cercato di rassicurarla,
chiedendole perdono, di evitare la rottura definitiva di una lunga
relazione; 3) violazione di legge, mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della impugnata sentenza, in
relazione all’elemento soggettivo del delitto di cui al capo F), in quanto
la persona offesa ha chiaramente affermato che l’imputato non voleva
entrare nell’appartamento, ma solo che la moglie vi uscisse per discutere
con lui, che si tratteneva sulla soglia d’ingresso.
3. Il ricorso non può essere accolto, perché inammissibile.

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sanzionatorio.

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4. Ed invero è inammissibile il ricorso con cui, come nel caso di specie,

vengono esposte censure che si risolvono in una mera rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla
base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di

precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006,
n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546,
Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv.
235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della I. n.
46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni
connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi
di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che
attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica
del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di
legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n.
22256, Bosco, rv. 234148).
Peraltro nel caso in esame la corte territoriale, con motivazione
approfondita ed immune da vizi logici, ha fornito adeguata risposta a
tutte le censure difensive, evidenziando, sulla base delle risultanze
processuali non contestate dal ricorrente: 1) come la rottura della portafinestra dell’appartamento della Migliozzi sia stata funzionale a
consentire all’imputato di raggiungere la moglie all’interno
dell’abitazione, dove la persona offesa si era rifugiata per sottrarsi al
marito, che, una volta penetrato nell’appartamento, l’aveva aggredita
con calci e schiaffi; 2) come la minaccia di morte rivolta dal Vadalà alla
moglie, pur considerando il particolare contesto di litigiosità familiare in
cui va inserita, ha un’oggettiva valenza intimidatoria, anche in
considerazione del comportamento violento dell’imputato, per cui la

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ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi, in quanto tali,

”lettura alternativa” proposta dalla difesa non può trovare spazio alcuno;
3) che, con riferimento al reato di cui al capo F), la tesi difensiva è
destituita di fondamento in quanto le modalità dell’azione (che
costituiscono un elemento di valutazione indispensabile ai fini della
prova dell’elemento psicologico del reato), come descritte dal teste

nell’appartamento spingendo la persona offesa che vi si opponeva,
delineano chiaramente la volontà dell’imputato di entrare con la forza
nell’appartamento della Migliozzi, contro la volontà di quest’ultima,
titolare dello ius exdudendi.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,
pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché
in favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione
pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della
evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile dal ricorrente e
dal suo difensore, che, quindi, non possono ritenersi immuni da colpa
nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 14.11.2013.

Palumbo Anna, che ha riferito di avere visto il Vadalà tentare di entrare

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