Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6638 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6638 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Breveglieri Aldo Angelo, nato a Busto Arsizio 1’11.5.1949, avverso la
sentenza pronunciata dalla corte di appello di Bologna 1’8.5.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata 1’8.5.2012 la corte di appello di Bologna, in
parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Bologna, in data
14.6.2010, aveva condannato Breveglieri Aldo Angelo, in relazione ai
reati di cui agli artt. 2 e 7, I. 895/67; 4, I. 110/75; 635, c.p.,
limitatamente al fatto consumato in data 23.3.2007; 612, co. 2, 616,

Data Udienza: 14/11/2013

c.p., alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni
derivanti da reato in favore delle persone offese, costituite parti civili
Montanari Patrizia e Bortolini Andrea, rideterminava il trattamento
sanzionatorio in senso più favorevole per l’imputato, previa esclusione
della circostanza aggravante di cui all’art. 612, co. 2, c.p., confermando

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione personalmente
l’imputato, lamentando violazione di legge, mancanza e manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto, nel
caso in esame, difetta la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto
di minaccia, essendosi il Breveglieri limitato a mere previsioni ovvero ad
auspici di eventi negativi in danno della Montanari, non rappresentati
come eventi il cui verificarsi dipendeva dalla sua volontà; il ricorrente,
inoltre, evidenzia, da un lato la circostanza, non presa in considerazione
dalla corte territoriale, che l’attendibilità del racconto delle persone
offese ed, in particolare, della Montanari, sarebbe viziata dal fatto che,
in pendenza degli eventi criminosi per cui si è proceduto, quest’ultima
aveva continuato ad avere un rapporto con l’imputato, al quale era stata
legata da una relazione sentimentale, prima di allacciarne una nuova
con il Bartolini, non limitato all’ambiente lavorativo (il Breveglieri,
infatti, aveva mantenuto a lungo l’uso della casa della persona offesa),
che li aveva originariamente accomunati, lavorando entrambi
nell’azienda di famiglia della persona offesa; dall’altro, l’inidoneità della
condotta posta in essere ad incutere timore nei confronti delle persone
offese, che, nel corso della loro deposizione dibattimentale, hanno fatto
emergere la sostanziale incredulità da essi manifestata rispetto alle
affermazioni del Breveglieri; infine, con riferimento al reato di
danneggiamento, che la decisione della corte territoriale si fonda
esclusivamente sulle dichiarazioni delle parti civili, le quali, tuttavia, sul
punto, hanno operato una semplice deduzione in ordine alla condotta
dell’imputato, avendo affermato di non averlo mai visto danneggiare le
proprie autovetture oggetto del reato di cui al capo n. 4).

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nel resto l’impugnata sentenza.

3. Il ricorso non può essere accolto, essendo infondati i motivi che lo
sostengono.
4. Al riguardo si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo
individuato, in sede di interpretazione dell’art. 612, c.p., gli elementi
tipizzanti della suddetta fattispecie delittuosa, giungendo a soluzioni

E’ stato così affermato che la minaccia è reato di pericolo, per la cui
integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso
mediante l’effettiva insorgenza di uno stato di intimidazione nella
vittima. È sufficiente, invece, che il male prospettato sia idoneo a
incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la
sfera della libertà morale (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 20/02/2013, n.
29383, D.G.; Cass., sez. V, 26/10/2012, n. 3811, M.A.)
Né la norma incriminatrice di cui all’art. 612 c.p. richiede che il male
minacciato debba essere notevole, dovendosi, anzi, giungere alla
conclusione opposta, considerato che la gravità della minaccia è oggetto
di specifica previsione nel secondo comma che, infatti, le assegna il
valore di circostanza aggravante (cfr. Cass., sez. V, 31/01/2012, n.
18730, M.D.L.)
La gravità della minaccia, inoltre, va accertata avendo riguardo a tutte le
modalità della condotta, ed in particolare al tenore delle eventuali
espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde
verificare se, ed in quale grado, essa abbia ingenerato timore o
turbamento nella persona offesa (cfr. Cass., sez. V, 26/09/2008, n.
43380, D. M., rv. 242188)
La minaccia, pertanto, oltre che essere palese, esplicita, determinata,
può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera
implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario
che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto
passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità
dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni
ambientali, in cui questa opera, essendo irrilevante l’indeterminatezza
del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto

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ormai sedimentate, dalle quali il Collegio non ritiene doversi discostare.

dalla situazione contingente (cfr. Cass., sez. V, 23/01/2012, n. 11621,
G.A.; Cass., sez. V, 12/05/2010, n. 21601, rv. 247762).
A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale,
evidenziando, con motivazione immune da vizi logici ed, in quanto tale,
insindacabile in questa sede di legittimità, come l’imputato, vantando

intimidatorio, rappresentandole, al fine di indurla ad interrompere la
nuova relazione, di avere appreso da non meglio identificati “amici”
notizie preoccupanti in ordine alla caratura criminale del Bortolini e che
se non fosse ritornata dalla madre, “entrambe l’avrebbero pagata,
sarebbe accaduto qualcosa, sarebbero entrati di notte e qualcuno si
sarebbe fatto male”.
In tal modo, rileva correttamente la corte territoriale, il Breveglieri ha
posto in essere una minaccia in forma larvata, in quanto, pur non
collegando mai direttamente gli eventi dannosi alla propria condotta,
faceva chiaramente percepire alla Montanari di essere in grado di far
verificare o impedire, in considerazione dei suoi rapporti con i servizi
segreti, gli eventi prospettati, per cui la circostanza che nessuna delle
persone offese avesse realmente creduto alla contiguità del Breveglieri
agli apparati di sicurezza, lungi dall’escludere la sussistenza del delitto di
cui si discute, rafforza ulteriormente l’assunto accusatorio, avendo la
Montanari avuta piena la consapevolezza che, in realtà, il verificarsi degli
eventi dannosi ed ingiusti dipendeva dalla volontà dell’imputato, come
ulteriormente provato dalla circostanza, riferita dal teste Giacomelli, che
la suddetta persona offesa versava in uno stato di costante ansia e
paura.
Con riferimento, poi, alle censure, invero generiche, prospettate dal
ricorrente in ordine al valore probatorio delle dichiarazioni delle persone
offese, non può che ribadirsi, anche sotto questo profilo, l’esaustività e
la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale,
che appare conforme ai principi affermati al riguardo dalla
giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole.

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un’appartenenza ai servizi segreti, evocava alla Montanari un contesto

Come è noto, infatti, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite del
Supremo Collegio, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si
applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere
legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea

dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte
le dichiarazioni di qualsiasi testimone, potendo risultare opportuno, nel
caso in cui la persona offesa si sia altresì costituita parte civile,
procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (cfr. Cass.,
sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214).
Orbene la verifica della credibilità soggettiva dei dichiaranti e
dell’attendibilità intrinseca del loro racconto, costituisce l’aspetto
centrale della motivazione della corte territoriale, che, al riguardo, si
sofferma anche sulle ragioni che hanno indotto la Montanari a non
interrompere il rapporto professionale con l’imputato, in considerazione
dell’importanza assunta da quest’ultimo nella gestione dell’azienda
familiare, indicando, inoltre, una serie di elementi di riscontro alla
narrazione proveniente dalle persone offese (in primis le dichiarazioni
dei testi Giacomelli e Brillanti), in relazione ai quali nessun rilievo critico
è stato svolto dal ricorrente (cfr. pp. 4-6 dell’impugnata sentenza).
Con riferimento, infine, al delitto di danneggiamento di cui al capo n. 4),
va rilevato che, a fronte di una serie di episodi originariamente
contestati, l’imputato è stato condannato solo per quello del 23.3.2007,
relativo al taglio di tre pneumatici dell’autovettura del Bortolini.
Tale condanna, tuttavia, non si fonda su mere supposizioni delle persone
offese, ma, come rilevato dalla corte territoriale, su di una dato
oggettivo: la Montanari ha riferito di avere informato il Breveglieri che i
pneumatici danneggiati erano due, per averlo appreso dal Bortolini (il
quale, nell’immediatezza del fatto, non si era accorto del
danneggiamento anche di un terzo pneumatico, scoperto in un secondo
momento), venendo corretta dal ricorrente, il quale le aveva rivelato,

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motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e

per averlo appreso a sua volta sempre dai suoi ignoti “amici”, che in
realtà gli pneumatici danneggiati erano tre, circostanza, ignota allo
stesso proprietario del veicolo, che poteva conoscere solo l’autore del
danneggiamento.
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,

c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 14.11.2013.

pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,

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