Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6637 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6637 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Hu Shaobei, nato a Zheijang (Repubblica Popolare Cinese), avverso la
sentenza pronunciata dalla corte di appello di Genova il 30.5.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 30.5.2012 la corte di appello di Genova
confermava la sentenza con cui il tribunale di Genova, in data
14.10.2009, aveva condannato Hu Shaobei, nella sua qualità di titolare
della ditta individuale “Euro Moda Ingrosso di Hu Shaobei.”, alla pena
ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui agli artt. 81, 474, c.p.,

Data Udienza: 14/11/2013

per avere introdotto nel territorio nazionale, al fine di farne commercio,
prodotti di abbigliamento recanti il marchio ovvero i segni distintivi del
produttore “Gucci” contraffatti.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione

violazione di legge in relazione all’art. 474, c.p. ed all’art. 38, d.lgs. n.
30 del 2005, in quanto, con riferimento ai marchi oggetto di
registrazione apposti sui beni introdotti dall’imputato nel territorio
nazionale, era stata presentata ed ottenuta regolare registrazione presso
l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi in data 11.6.2008, per cui l’esistenza
di un marchio registrato esclude la configurabilità del delitto di cui
all’art. 474, c.p., anche in considerazione della circostanza che gli effetti
della registrazione di un marchio decorrono, ai sensi del menzionato art.
38, d.lgs. n. 30 del 2005, dalla data di pubblicazione della domanda di
registrazione del marchio medesimo, intervenuta, nel caso in esame, il 5
maggio 2006, prima delle operazioni di importazione della merce poi
sequestrata; 2) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata, per non avere la corte
territoriale effettuato alcuna reale motivazione in ordine alla sussistenza
degli elementi costitutivi, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, del reato
per cui il ricorrente ha riportato condanna.
3. Il ricorso è fondato e va accolto.
4. Ed invero l’apparato motivazionale della sentenza di secondo grado
non appare idoneo a fondare una pronuncia di responsabilità del
ricorrente in ordine al delitto contestatogli, essendo caratterizzato da
alcune incontestabili lacune.
Al riguardo si osserva che, come affermato da un condivisibile
orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di
contraffazione di segni distintivi e di commercio di prodotti con segni
falsi, alla luce delle modifiche apportate agli art. 473 e 474 c.p. dalla I.
n. 99 del 2009, non è sufficiente per la configurabilità del reato che
prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad

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l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1)

ottenere il titolo di privativa, ma è invece necessario che questo sia stato
effettivamente conseguito (cfr. Cass., sez. V, 12/12/2012, n. 9340
G. e altro, rv. 255088).
La giurisprudenza antecedente all’intervento riformatore del 2009
riteneva, invece, condizione sufficiente per attivare la tutela penale, la

presentazione della domanda tesa ad ottenere la registrazione del segno
distintivo di cui si assumeva la falsificazione (cfr. Cass., sez. V,
7.10.2011, n. 48534, l, rv. 251538), perché da quel momento il
marchio era suscettibile di contraffazione, essendo stato portato a
conoscenza dei terzi, mentre, con l’attuale disciplina, ciò avviene solo
con il completamento della procedura di registrazione, i cui effetti, come
sancito, dall’art. 38, co. 4, d.lgs. 10/02/2005 n. 30, “decorrono dalla
data in cui la domanda con la relativa documentazione è resa accessibile
al pubblico”.
Se, dunque, come affermato dalla corte territoriale sulla base dei dati
risultanti dal sito ufficiale dello UAMI, effettivamente nel momento in cui
è stata presentata la domanda di registrazione del marchio “Giustia”
apposto sui beni poi sequestrati (il 19.6.2006) la procedura di
registrazione non si era ancora perfezionata, essendosi conclusa solo il
18.6.2008, data della registrazione, e, quindi, il suddetto marchio non
poteva ancora considerarsi oggetto di quella protezione giuridica da
parte dell’ordinamento statale evidentemente incompatibile con la
configurabilità del delitto di cui all’art. 474, c.p., è altrettanto vero che la
presentazione della suddetta domanda e la intervenuta registrazione non
possono considerarsi eventi del tutto irrilevanti, in particolare sotto il
profilo della esistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui si
discute.
Nel reato di cui all’art. 474 c.p., infatti, l’elemento soggettivo è costituito
dal dolo generico, consistente nella consapevolezza della contraffazione
(Cass., sez. V, 24/03/2011, n. 17677, Z., rv. 250189), che nel caso in
esame non può dirsi dimostrata con assoluta certezza: la richiesta di
registrazione, infatti, può essere letta, non inverosimilmente, anche
come sintomo del convincimento dell’imputato in ordine alla assoluta

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(

originalità del marchio, circostanza, quest’ultima, che ha trovato
conferma nell’intervenuta registrazione.
Sul punto la motivazione della corte territoriale, che si è limitata ad
evidenziare l’evidente coscienza e volontà del ricorrente di importare gli
articoli sequestrati con un marchio non registrato “in regime di

confondibilità con il marchio Gucci, si risolve in una affermazione
meramente tautologica, che non tiene conto delle implicazioni derivanti
dalle evidenziate risultanze processuali.
Peraltro l’intervenuta registrazione del marchio “Giustia” pone un
problema anche sotto il profilo della sussistenza dell’elemento oggettivo
del reato di cui si discute, che risulta integrato solo qualora la
falsificazione, anche imperfetta e parziale, sia idonea a trarre in inganno
i terzi, ingenerando confusione tra contrassegno e prodotto originali e
quelli non autentici e quindi errore circa l’origine e la provenienza del
prodotto (cfr., ex plurimis, Cass., sez. H, 12/06/2012, n. 25684, A.G.L.).
Anche questo profilo non è stato preso in considerazione dalla corte
territoriale, chiamata, con i motivi di appello, a pronunciarsi proprio sulla
sussistenza di macroscopiche differenze tra i marchi registrati della
“Guccio Gucci s.p.a” e quello “Giustia”, non idoneo, pertanto, nella
prospettiva difensiva, a ledere la fede pubblica, che l’intervenuta
registrazione non sembra smentire, a fronte, peraltro, di un’affermazione
apodittica quale quella con cui il giudice di secondo grado ha ritenuto
sussistente “il requisito di una facile confondibilità ad un approccio
approfondito da parte del consumatore medio”, desumibile dalla
comparazione tra i modelli importati dall’imputato e gli originali della
“Gucci”.
5. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata
va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Genova,
la quale dovrà procedere ad un nuovo esame finalizzato a colmare le
evidenziate lacune motivazionali.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di
appello di Genova.

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t

Così deciso in Roma il 14.11.2013.

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