Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6636 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6636 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 14/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Catalini Leonildo, nato a Rapagnano il 22.12.1940, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Ancona il 26.4.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

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udito per il ricorrente, il difensore di fiduciarche ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 26. 4 2012 la corte di appello di Ancona
confermava la sentenza con cui il tribunale di Macerata, in data

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14.4.2002, aveva condannato Catalini Leonildo quale amministratore di
fatto della società “Robians sas di Marinai M. & c.”, in relazione ai delitti
di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale di cui al capo
d’imputazione, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) la manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, prima afferma
di condividere le conclusioni del prof. Fantini, consulente del pubblico
ministero in altro procedimento penale, relativo al fallimento della
società cooperativa “Celi. Pr, di cui il Catalini era amministratore di fatto,
sulla circostanza che le fatture emesse dalla “Robians” nei confronti della
suddetta società cooperativa corrispondevano ad operazioni mai
effettuate, per poi illogicamente ritenere che le somme di denaro
distratte in danno dei creditori della “Robians” provengono da pagamenti
effettuati dalla “Cell. Pro” alla società fallita, che non era titolare di
nessun credito nei confronti della suddetta “Celi. Pro”, in quanto le
fatture emesse dalla “Robians” sono state utilizzate per distrarre il
denaro della “Celi. Pro”; 2) la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di
bancarotta fraudolenta documentalejdnon essendosi verificata nel caso
in esame la contest4distruzione della documentazione contabile, in
quanto, da un lato, la teste Plini ha riferito di avere avuto conoscenza
della regolare tenuta della suddetta documentazione, di cui si era
occupata personalmente, dall’altro una parte della documentazione in
questione è stata rinvenuta dalla polizia giudiziaria dopo la denunca di
furto presentata dall’amministratore di diritto, coimputato del ricorrente,
Sommer Edgar; inoltre, rileva il ricorrente, l’obbligo di consegnare al
curatore fallimentare la documetazione contabile, previsto dall’art. 220,
I. fall., la cui violazione costituisce l’unico reato astratamente ipotizzabile
nel caso in esame, è posto a carico del fallito, per cui le conseguenze
penali di tale violazione devono ricadere sulla sola Mariani Magda, socio
accomandatario, su cui gravava ai sensi della sentenza dichiarativa di

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l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo

fallimento del 23.9.1998, laddove non poteva essere imposto dalla
successiva sentenza del 20.7.1999, con cui il fallimento era stato esteso
ai due amministratori, di fatto e di diritto; 3) violazione del principio del
ne bis in idem, in quanto, in ordine alle somme di cui si assume la
distrazione è intervenuta a carico del ricorrente sentenza di applicazione

il fallimento della società “Ceel. Pro”
3. Il ricorso non può essere accolto, essendo inammissibili, sotto diversi
profili, i motivi che ne costituiscono il fondamento.
Con esso, infatti, il ricorrente si limita ad esporre censure che si
risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali
da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione
valutazione, quindi, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di
cassazione (cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv.
235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510;
Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della I. n.
46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni
connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi
di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che
attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica
del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di
legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di

della pena, passata in giudicato, in relazione alla bancarotta riguardante

ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n.
22256, Bosco, rv. 234148).
E’ inammissibile, altresì, ai sensi del combinato disposto degli artt. 581,
co. 1 , lett. c), e 591, co. 1, lett. c), il ricorso per Cassazione fondato,
come nel caso in esame, su motivi che ripropongono acriticamente
stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai giudici del gravame,

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Ì)–

dovendosi gli stessi considerare non specifici, ed anzi, meramente
apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale
avverso la sentenza oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata
non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la

impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non
potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel
vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,
lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 – 25.3.2005, n.
11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc.
Tizzani e altri, rv. 207389).
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,
pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché
in favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione
pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della
evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile dal difensore
del ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte
Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 14.11.2013.

mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione

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