Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6635 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6635 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– CAVATORTA MARIO, n. 9/04/1933 a ROMA

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di ROMA in data 10/06/2013;
visti g li atti, il provvedimento denunziato e il ricorso ;
udita la relazione svolta dal consi g liere Alessio Scarcella ;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. Nicola Lettieri che ha concluso per l’annullamento con
rinvio dell’impu g nata ordinanza ;
udite le conclusioni dell’Avv. A. Staniscia del Foro di Roma, che ha chiesto
l’acco g limento del ricorso ;

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Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 10/06/2013, depositata in data 18/06/2013, il tribunale del
riesame di ROMA rigettava la richiesta di riesame presentata dall’indagato
avverso il provvedimento 26/06/2013 con cui il GIP presso il Tribunale di ROMA
aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente, fino a concorrenza della
somma di C 613.906,00 (ricavata dalla somma dell’IVA omessa per le annualità

d’imposta contestate), in via prioritaria dei saldi attivi eventualmente rinvenibili
sui rapporti finanziari riconducibili all’indagato presso i conti correnti esistenti
presso MPS e UNICREDIT, presso il conto deposito titoli ed obbligazioni esistente
presso la Banca Popolare di Sondrio nonché dei valori, titoli e preziosi
eventualmente contenuti nella cassetta di sicurezza riconducibile all’indagato
esistente presso UNICREDIT e, in subordine, in caso di incapienza, con
trascrizione del vincolo reale imposto sui registri immobiliari dell’Ufficio
Provinciale del Territorio dell’Agenzia delle Entrate competente; la misura
cautelare è stata disposta in quanto il ricorrente è indagato del reato di cui
all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74/00, perché, in tempi diversi e con più azioni ed
omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale legale
rappresentante pro-tempore, nonché firmatario della dichiarazione, della
CAVATORTA & FIGLI s.r.l. con sede legale in Roma, via G. Penta n. 51, ometteva
di versare VIVA dovuta in base alle dichiarazioni in forma unificata dei redditi e
dell’IVA, mod. Unico soc. di capitali, per le annualità 2007, 2008, 2009 e 2010,
entro i termini previsti per i versamenti degli acconti relativi ai periodi di imposta
successivi, per un ammontare superiore, a ciascuna annualità, alla soglia annua
di C 50.000,00 prevista dall’art.

10-bis,

d. Igs. n. 74/00; il successivo

22/05/2013, la GDF eseguiva il sequestro di quanto contenuto nella cassetta di
sicurezza presso la UNICREDIT s.p.a. di gioielli e valori pari ad C 21.447,00
nonché di un immobile situato in Roma, via Homs n. 22, per un valore di C
591.999,00.

2.

Ha proposto tempestivo ricorso il difensore – procuratore speciale

cassazionista dell’indagato, impugnando l’ordinanza predetta, deducendo due
motivi di ricorso che, attesa la loro intima connessione, possono essere di
seguito enunciati unitariamente, nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tali motivi, l’erronea applicazione della legge penale ex art.
606, lett. b), c.p.p. ed il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta
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illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p.; in sintesi, sì duole il
ricorrente per non aver ritenuto il tribunale idonea al fine di escludere la
sussistenza del

fumus commissi delicti

e del

periculum in mora

la

documentazione allegata all’istanza di riesame (per l’anno 2007, documentazione
attestante accordi di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate e quietanze di
versamento dei relativi ratei trascorsi; per l’anno 2008, pignoramento presso

estinzione del debito relativo a tale annualità; per l’anno 2009, quietanza di
pagamento rilasciata dall’Agenzia delle Entrate; per l’anno d’imposta 2010,
accordi di rateizzazione con piano di ammortamento) in quanto, con riferimento
alle richieste di rateizzazione del debito tributario e alla relativa ammissione alla
procedura rateizzata, le stesse non costituirebbero prova dell’adempimento da
parte del contribuente dell’imposta evasa, mentre, da un lato, quanto alla copia
informe del ruolo, dalla stessa potrebbe unicamente dedursi che VIVA non è
stata versata bensì compensata con il credito d’imposta e, dall’altro, il
pagamento della somma dovuta all’Erario da parte dell’ATAC s.p.a. non
eliminerebbe l’indebito vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa,
che potrebbe considerarsi eliminato solo per effetto del pagamento del debito
tributario da parte dell’obbligato principale, sicchè il mantenimento del
sequestro risulta giustificato sino a quando continua a permanere in capo
all’indagato, debitore verso l’Erario, il vantaggio economico (indebito
arricchimento) conseguito dall’azione delittuosa; si deduce, in particolare, che
tale motivazione si appalesa illogica e illegittima, non attribuendo la doverosa
valutazione alla documentazione attestante il fatto che la somma non versata
all’Erario risulti nettamente inferiore rispetto a quella originariamente
prospettata; inoltre, con riferimento all’anno d’imposta 2010, difetterebbe
qualsiasi motivazione nell’ordinanza impugnata circa le ragioni per cui la
documentazione prodotta, volta a dimostrare l’esistenza di una rateizzazione del
debito tributario oltre che i versamenti già effettuati dall’obbligato, non sia
idonea a dare prova del pagamento; in definitiva, dunque, alla luce di quanto già
versato dal ricorrente all’Erario, residuerebbe un debito tributario per i predetti
periodi d’imposta pari a C 227.822,68 sicché, tenuto conto dei principi più volte
affermati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’espropriazione
definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato, il disposto
sequestro non potrebbe estendersi fino a ricomprendere some eccedenti rispetto
a quanto lo Stato potrà nel prosieguo sottoporre a confisca, poiché,
diversamente, si avrebbe un ingiustificato arricchimento da parte dell’Erario;
infine, con ultima censura, si duole il ricorrente dell’erronea interpretazione del
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terzi eseguito dall’Agenzia delle Entrate presso ATAC s.p.a. con conseguente

tribunale nel ritenere non necessario un nesso di pertinenzialità tra i beni
sequestrati ed i benefici che il ricorrente avrebbe avuto nel commettere il reato,
in sostanza eccependo la mancanza, nell’ordinanza impugnata, di un
fondamentale passaggio motivazionale, costituito dalla verifica dell’effettiva
utilità ottenuta dal ricorrente a seguito della condotta illecita, verifica il cui
onere dimostrativo spetterebbe al PM e che, nel caso in esame, sarebbe

ed adeguata motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere accolto per le ragioni di seguito esposte.

4.

Deve, preliminarmente ricordarsi, che in sede di ricorso per cassazione

proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.
ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di
legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e)
dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep.
13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003 – dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

5. Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, ritiene il Collegio che
la valutazione di fondatezza dei proposti motivi di ricorso renda necessari alcuni
approfondimenti sul punto, atteso che è ravvisabile, nel caso in esame, l’ipotesi
di violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. nei limiti di cui si dirà
appresso.
Come sinteticamente anticipato nell’illustrazione dei motivi di doglianza, il
ricorrente ha censurato la motivazione del giudice del riesame che, nel valutare
la documentazione difensiva prodotta all’udienza camerale, non avrebbe
adeguatamente valutato quanto dedotto in relazione all’effetto solutorio (come si
vedrà, parzialmente) del debito tributario in relazione alla contestazione di
omesso versamento dell’IVA per i periodi d’imposta indicati.

4

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mancante con conseguente nullità dell’ordinanza del tribunale per insufficiente

6. Quanto al periodo d’imposta 2007, la difesa aveva prodotto davanti al
tribunale documentazione attestante accordi di rateizzazione con l’Agenzia delle
Entrate e quietanze di versamento dei relativi ratei trascorsi, ma il collegio della
cautela ne aveva negato la rilevanza, ritenendo che tale documentazione non
costituisse prova dell’adempimento da parte del contribuente dell’imposta evasa.
Per pervenire a tale soluzione, i giudici romani richiamano l’orientamento

12/07/2012 – dep. 03/12/2012, Lanzalone, Rv. 253851; conf.: Sez. 3, n. 10120
del 01/12/2010 – dep. 11/03/2011, Provenzale, Rv. 249752) secondo cui il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del
reato, corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, può essere
legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito arricchimento
derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione
tributaria; secondo i giudici del riesame, dunque, la ratio legis contenuta nelle
norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati
tributari, impone di ritenere che solo l’adempimento dell’obbligazione tributaria
fa venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria, non rilevando
quindi in ambito penale la mera rateizzazione del pagamento (che rileverebbe
esclusivamente sul piano amministrativo – tributario determinando la
sospensione della procedura esecutiva di recupero), non essendo questa
un’ipotesi equiparata all’adempimento.
Tale affermazione è solo parzialmente condivisibile a giudizio di questa Corte. Ed
infatti, quanto affermato dalla giurisprudenza richiamata dev’essere
correttamente letto, nel senso che se è ben vero che il mantenimento della
misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle
imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria con corrispondente
deminutio del patrimonio personale del contribuente (momento superato il quale
non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo), è
altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione
del debito tributario con l’Amministrazione finanziaria non può ritenersi esplicare
i suoi effetti nel limitato campo amministrativo, estendendo infatti la sua portata
anche nel campo penale e, segnatamente, incidere sul quantum della somma
sequestrata per equivalente in relazione al profitto derivato dal mancato
pagamento dell’imposta evasa. L’avvenuto pagamento di ratei (documentato
mediante la produzione delle quietanze di versamento rilasciate da Equitalia e
dei modelli di pagamento F24) per un ammontare indicato pari a C 23.978,58 sul
complessivo profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta pari ad C
168.376,00, determina una riduzione del debito tributario per una somma di C
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m

espresso da questa Corte con una recente decisione (Sez. 3, n. 46726 del

144.397,42, donde la necessità di una corrispondente riduzione del sequestro
per equivalente per l’importo sinora versato a seguito della rateizzazione, in
quanto il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo
quantum inziale, nonostante il pagamento – sebbene parziale – del debito
erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in
contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai

Sezione: Sez. 3, n. 3260 del 04/04/2012 – dep. 22/01/2013, P.M. in proc. Currò,
Rv. 254679).

7. Ad analoga soluzione deve pervenirsi, con riferimento alle somme già versate
per l’anno d’imposta 2010, risultanti dagli accordi di rateizzazione con piano di
ammortamento. Sul punto, deve, infatti, ritenersi che l’argomento utilizzato dai
giudici del riesame con riferimento al diniego di effetto solutorio alla richiesta di
rateizzazione del debito tributario ed all’ammissione alla procedura rateizzata
riguardano non solo l’anno 2007, ma anche l’anno 2010, non versandosi quindi
nel vizio di omessa motivazione ipotizzato dal ricorrente. Valgono, tuttavia, le
medesime considerazioni dianzi espresse da questa Corte a proposito dell’effetto
solutorio “parziale” che l’ammissione alla procedura di rateizzazione esplica con
riferimento alla somma sequestrata per equivalente. L’avvenuto pagamento di
ratei (documentato mediante la produzione delle quietanze di pagamento F24)
per un ammontare indicato pari a C 26.447,74 sul complessivo profitto derivante
dal mancato pagamento dell’imposta pari ad C 109.873,00, determina una
riduzione del debito tributario per una somma di C 83.425,26, donde la necessità
di una corrispondente riduzione del sequestro per equivalente per l’importo
sinora versato a seguito della rateizzazione, in quanto, come già
precedentemente espresso, il mantenimento del sequestro preventivo in vista
della confisca nel suo quantum inziale, nonostante il pagamento – sebbene
parziale – del debito erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione
sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene
non può mai essere superiore al profitto derivato (v., da ultimo, nella
giurisprudenza di questa Sezione: Sez. 3, n. 3260 del 04/04/2012 – dep.
22/01/2013, P.M. in proc. Currò, Rv. 254679).

8. Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi, a giudizio di questo Collegio, con
riferimento al periodo d’imposta 2008, relativamente al quale la difesa ha
documentato dinanzi al tribunale del riesame l’avvenuto pignoramento presso
terzi eseguito dall’Agenzia delle Entrate presso ATAC S.p.A. con conseguente
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essere superiore al profitto derivato (v., da ultimo, nella giurisprudenza di questa

estinzione del debito relativo a tale annualità. Sul punto, i giudici capitolini hanno
affermato nell’ordinanza impugnata che il pagamento della somma dovuta
all’Erario da parte dell’ATAC S.p.A. non eliminerebbe l’indebito vantaggio
economico conseguito dall’azione delittuosa, che potrebbe considerarsi eliminato
solo per effetto del pagamento del debito tributario da parte dell’obbligato
principale, sicché il mantenimento del sequestro risulterebbe giustificato sino a

vantaggio economico (indebito arricchimento) conseguito dall’azione delittuosa.
Tali affermazioni, a giudizio di questa Corte, non possono essere condivise
in quanto errate in diritto. Ed invero, riservata ai giudici del riesame in sede di
rinvio ogni ulteriore valutazione in ordine alla corretta osservanza delle formalità
documentali ritenute non formalmente corrette (in particolare, ben potendo
fornire il ricorrente elementi documentali che escludano i dubbi sollevati dal
tribunale del riesame sull’intelligibilità di quanto prodotto a sostegno
dell’avvenuto pagamento integrale del debito IVA 2008 mediante l’eseguito
pignoramento presso terzi), la soluzione offerta dai giudici del riesame si fonda
sulla esegesi, ancora una volta non corretta, di quanto già affermato da questa
Corte (Sez. 6, n. 25166 del 09/04/2010 – dep. 02/07/2010, Dipietromaria, Rv.
247770) in una fattispecie nella quale era stata affermata la legittimità del
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del
reato di corruzione e rappresentato dall’indebito conseguimento di rimborsi Iva,
anche qualora l’Erario abbia recuperato il debito tributario attraverso l’escussione
delle fideiussioni costitute da terzi garanti e fino a quando questi ultimi non
abbiano recuperato, esercitando l’azione di rivalsa, le somme corrisposte al
danneggiato. Tale sentenza afferma effettivamente che la sanatoria della
posizione tributaria non determina il venir meno dei presupposti della confisca
per equivalente (e del prodomico sequestro), ma il principio enunciato trova
giustificazione in presupposti che ineriscono all’ipotesi, del tutto diversa, del
versamento all’Erario dell’imposta evasa non da parte dall’obbligato principale,
bensì da parte terzi garanti, ragione per cui permarrebbe in capo al primo
l’indebito vantaggio economico conseguito dall’azione criminosa che giustifica il
mantenimento del sequestro, proprio perché ad effettuare il pagamento sono
terzi e non il reo, che continua a fruire di tali vantaggi. E comunque la sentenza
pone un termine finale alla permanenza del sequestro preventivo, coincidente col
venir meno della situazione di vantaggio economico per il colpevole a seguito
dell’esercizio nei suoi confronti, da parte del fideiussore, dell’azione di rivalsa per
il recupero della somma pagata all’amministrazione finanziaria; pertanto, il
mantenimento della misura è giustificato sino a tale momento, in cui, con
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quando continua a permanere in capo all’indagato, debitore verso l’Erario, il

l’esborso da parte del reo della somma dovuta al garante in sede di rivalsa, viene
definitivamente a cessare l’indebito arricchimento ottenuto dalla sua illecita
condotta.
In definitiva la citata sentenza, lungi dal condividere l’indirizzo sostenuto
dai giudici gravati, recepisce il principio secondo cui il sequestro preventivo in
funzione della possibile confisca può essere legittimamente mantenuto fino a

illecita posta in essere; quando questo cessa col pagamento delle imposte evase
all’erario o col pagamento in favore del terzo garante che agisce in rivalsa per il
recupero delle somme versate all’Erario al posto dell’obbligato principale, il
vincolo non ha più ragione di essere mantenuto.
Nel caso in esame, invece, è errato richiamare il principio secondo cui il
pagamento da parte del terzo non avrebbe effetto solutorio, peraltro integrale,
del debito tributario, in quanto non eliminerebbe l’indebito vantaggio economico
conseguito dall’azione delittuosa. Mentre nel caso esaminato in precedenza da
questa Corte il versamento all’Erario dell’imposta evasa era avvenuto non da
parte dall’obbligato principale, bensì da parte terzi garanti (ragione per cui
permarrebbe in capo al primo l’indebito vantaggio economico conseguito
dall’azione criminosa che giustifica il mantenimento del sequestro, proprio perché
ad effettuare il pagamento sono terzi e non il reo, che continua a fruire di tali
vantaggi), nella vicenda qui esaminata, il pagamento è stato eseguito dall’ATAC
S.p.A. in quanto destinataria di un pignoramento presso terzi.
Com’è noto, l’agente della riscossione può richiedere al terzo di pagare le
somme di cui il contribuente è creditore entro i limiti dell’importo dovuto.
Orbene, con il pagamento, il terzo, debitore verso l’indagato, non ha versato la
somma al creditore, ma ha saldato il debito che quest’ultimo aveva nei confronti
dell’Erario. Il pagamento, in altri termini, è stato sì eseguito dal terzo, ma
all’indagato non è residuato alcun illecito vantaggio economico, in quanto questi
avrebbe dovuto percepire quella somma dal “suo” debitore (l’ATAC S.p.A.), ma a
seguito del pignoramento eseguito e del conseguente pagamento da quest’ultimo
all’Erario ha definito il debito nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, senza
che si sia verificato alcun ingiustificato arricchimento. Trattasi di procedura di
riscossione del tutto legittima (v., in particolare, l’art.

72-bis del d.P.R. 29

settembre 1973, n. 602, recante “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul
reddito”, che individua una procedura coattiva, alternativa a quella disciplinata
dal Codice di Procedura Civile, attivabile sul presupposto dell’inadempimento del
debitore ingiunto, onde ne consegue l’intimazione di pagamento rivolta
direttamente al terzo presso cui quest’ultimo vanti, invece, un credito; qualora il
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h

quando permane in capo al reo l’indebito arricchimento derivante dall’azione

terzo non ottemperi all’ordine di versamento notificatogli, l’ente concessionario
della riscossione procede all’esecuzione secondo le forme ordinarie del codice di
rito civile).
Ed allora, può convenirsi con quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente
che, sul punto, evidenzia come l’intera somma relativa al debito d’imposta 2008
(pari ad C 143.789,00), deve intendersi interamente versata a seguito del

debito IVA per tale annualità, donde la necessità di una corrispondente riduzione
del sequestro per equivalente per tale importo in base ai principi indicati nel
precedente paragrafo.

9. A diversa soluzione deve, invece, pervenirsi con riferimento alla residua
questione giuridica inerente l’effetto solutorio del debito IVA 2009 per effetto
della procedura di compensazione, dovendosi per tale parte rigettare il ricorso.
Sul punto, si evidenzia in ricorso come per l’anno 2009, il ricorrente abbia
fornito prova dell’avvenuto pagamento integrale dell’imposta dovuta tramite la
quietanza di pagamento rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, da cui risulterebbe
la compensazione integrale del debito IVA 2010 con corrispondenti crediti
d’imposta che l’indagato vantava nei confronti dell’Erario. I giudici del riesame,
diversamente, hanno ritenuto che anche in questo caso la documentazione
prodotta non fosse idonea a provare l’avvenuto pagamento, in quanto
emergerebbe dalla copia informe del ruolo che VIVA 2010 non risulta essere
stata versata bensì compensata con un credito d’imposta; ciò, a giudizio del
tribunale, potrebbe rilevare non solo sul piano amministrativo, ma anche penale
“sempreché emerga la prova certa che l’Amministrazione finanziaria abbia
accettato la compensazione quale modalità di estinzione del debito da parte del
contribuente”, prova mancante nel caso di specie.
Tali osservazioni, a giudizio di questo Collegio, devono essere integrate con
l’attuale disciplina normativa in tema di compensazione tributaria, ostativa al
riconoscimento dell’effetto solutorio invocato dal ricorrente. Ed infatti, tale
effetto e la correlativa legittimità del meccanismo della compensazione tra crediti
d’imposta del privato e debiti del medesimo verso l’Erario emergono dalla
disposizione di cui all’art. 17, D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di
semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei
redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema
di gestione delle dichiarazioni), norma che ha ampliato le ipotesi di
compensazione già previste dalle norme tributarie, estendendo la facoltà di
compensazione anche a crediti e debiti di natura diversa nonché alle somme
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pagamento eseguito da ATAC S.p.A., cui consegue l’effetto solutorio integrale del

dovute agli enti previdenziali, sicché nessun rilievo avrebbe quanto affermato
incidentalmente dai giudici del riesame circa la mancata prova della natura
orizzontale o verticale della compensazione, essendo infatti ammissibile la
compensazione “tributaria” sia nel caso di compensazione verticale (ossia
riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta), sia in caso di
compensazione orizzontale (ossia riguardante crediti e debiti di imposta di natura

Piuttosto, ostativa al riconoscimento di tale effetto solutorio (oltre la già
rilevata mancata prova dell’accettazione da parte dell’Ufficio finanziario, atteso
che l’effetto si perfeziona con l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, del
provvedimento di accettazione – esplicita o implicita – della domanda del
debitore, che è produttivo dell’effetto giuridico di compensazione ex artt. 1241
ss. cod. civ.), è la previsione introdotta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78,
convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, che ha disposto
(con l’art. 31, comma 1) che «A decorrere dal 1° gennaio 2011, la
compensazione dei crediti di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, relativi alle imposte erariali,

è vietata fino a

concorrenza dell’importo dei debiti, di ammontare superiore a millecinquecento
euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è
scaduto il termine di pagamento». Come evidenziato dalla relazione di
accompagnamento al D.L. n. 78/2010, la disciplina in esame intende impedire “la

compensazione immediata nel modello F24 (e dunque il mancato versamento
delle imposte dovute) a chi è nel contempo debitore di altri importi iscritti a
ruolo, anche di considerevole ammontare e risalenti nel tempo, e che si ostina a
non pagare, costringendo gli organi della riscossione a defatiganti attività
esecutive, spesso vanificate da deliberate spoliazioni preventive del patrimonio”.
Con il successivo D.M. 10 febbraio 2011 (recante

“Modalità di

compensazione delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali mediante i
crediti relativi alle stesse imposte ai sensi de/I’ articolo 31, comma 1, secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
dalla legge del 30 luglio 2010, n. 122”, pubblicato sulla G.U. 18 febbraio 2011, n.
40), il Direttore Generale delle Finanze ha emanato il provvedimento attuativo
che consente il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per
imposte erariali e relativi accessori, mediante la compensazione dei crediti
relativi alle stesse imposte. In particolare, si chiarisce che la nuova disciplina si
applica a condizione che l’importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e
relativi accessori sia di ammontare superiore a 1.500,00 euro, donde non
sarebbe applicabile al debito 2010 del ricorrente, pari ad € 191.868,00; infatti, il
10

diversa).

divieto di compensazione in esame non sussiste solo qualora gli importi iscritti a
ruolo e non pagati siano pari o inferiori a 1.500,00 euro.
In caso di inosservanza del divieto di compensazione di cui all’art. 31 del
D.L. n. 78/2010, si applica una sanzione pari al 50% dell’importo dei debiti
iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, per i quali è scaduto il
termine di pagamento.

compensazione non poteva operare alcun effetto estintivo del debito tributario.

10.

Quanto, infine, alla censura difensiva inerente la presunta erronea

interpretazione del tribunale nel ritenere non necessario un nesso di
pertinenzialità tra i beni sequestrati ed i benefici che il ricorrente avrebbe avuto
nel commettere il reato, è sufficiente per dimostrarne l’infondatezza richiamare
quanto più volte già affermato da questa Corte, nel senso che il sequestro
disposto “ex” art. 322 – ter cod. pen., a differenza del sequestro preventivo di
cui all’art. 321, comma secondo, cod. proc. pen., ha ad oggetto l’equivalente del
profitto del reato, e quindi anche cose che non hanno rapporti con la pericolosità
individuale del soggetto, e non sono collegate con il singolo reato; in tal caso, il
“periculum” coincide con la confiscabilità del bene (Sez. 2, n. 1454 del
11/12/2007 – dep. 11/01/2008, Battaglia, Rv. 239433).
Anche per tale parte il ricorso dev’essere rigettato.

11. L’ordinanza impugnata dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale
del riesame di Roma che, nel rideterminare l’entità della somma sequestrabile
per equivalente, si atterrà a quanto affermato da questa Corte.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, limitatamente
alla rideterminazione dell’entità della somma sequestrabile.
Rigetta il ricorso, nel resto.
Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2014

Il

nsigli e est.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Il Presidente

Ostandovi, dunque, la previsione di cui al d.l. n. 70/2010, la

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