Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6633 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6633 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GENTILI ANDREA

GENERALE n. 43646
SENTENZA

del 2013

sul ricorso proposto da:

PODDA Fabio, nato a Cagliari il 23 aprile 1978

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Cagliari, Sezione prima penale, il 15
luglio 2013;

letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro GAETA, il
quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

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Data Udienza: 07/01/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Cagliari – adito in sede di appello avverso il provvedimento col
quale il locale Gip aveva rigettato l’istanza di modifica, con concessione degli arresti
domiciliari, della ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere in danno
di Podda Fabio – con provvedimento del 15 luglio 2013, depositato in data 17 luglio
2013, pur diversamente articolando la motivazione dell’atto, confermava, nella
sostanza il provvedimento di fronte a lui impugnato.

due pregiudizi penali per il reato di evasione, divenuti definitivi rispettivamente in
data 25 novembre 2009 e in data 23 novembre 2010, ostava alla modificazione
della misura cautelare a lui applicata il dettato dell’art. 284, comma

5-bis, cod.

proc. pen., in base al quale “Non possono essere, comunque, concessi gli arresti
domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni
precedenti al fatto per il quale si procede”.
Sulla base di tale argomento testuale, ritenuti assorbiti gli altri motivi di
impugnazione, rigettava l’appello cautelare.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione, tramite proprio
difensore, il Podda deducendo due motivi.
Col primo di essi era dedotta l’erronea applicazione dell’art. 284, comma 5-

bis, cod. proc. pen. sulla base dell’assunto che, diversamente da quanto ritenuto
dal Tribunale di Cagliari, ai fine dell’applicazione della norma in questione la
decorrenza del quinquennio ostativo alla concessione degli arresti domiciliari doveva
essere computata non a partire dalla data della sentenza di condanna per il reato di
evasione ma dalla data in cui si era verificato il fatto di evasione.
Una diversa interpretazione, ad avviso del ricorrente, si presterebbe ad essere
considerata violativa dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di
uguaglianza in quanto sottoporrebbe a trattamenti diversificati situazioni invece
identiche, nonché dell’art. 27 della Costituzione, in quanto non è possibile trattare
una misura cautelare alla stregua di un’anticipazione della pena.
Laddove la Corte non ritenesse di adottare la descritta interpretazione delle
norma citata, il ricorrente ne eccepisce la illegittimità costituzionale.
Col secondo motivo di ricorso è dedotta la carenza di motivazione del
provvedimento impugnato, non avendo il Tribunale di Cagliari motivato sui residui
motivi di appello avverso il provvedimento del Gip.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Il nucleo della censura svolta dal Podda attiene alla individuazione del

dies a quo rilevante ai fini della applicazione del divieto di concessione degli
arresti donniciliari, previsto dall’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. a chi “sia
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In particolare il Giudice dell’appello rilevava che, essendo il Podda gravato da

stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per
il quale si procede”.
Posto, infatti, che non vi è dubbio sul fatto che dies ad quem ai fini del
computo del quinquennio debba essere quello in cui, in ipotesi, è stato
commesso il reato in relazione al quale è stata disposta la misura cautelare di
cui si discute, ritiene il Podda che alla interpretazione fatta propria dal Tribunale
di Cagliari, secondo la quale il predetto termine deve iniziare a decorrere a

reato di evasione, se ne debba contrapporre un’altra, da lui ritenuta più
conforme ai principi della Costituzione (in particolare al principio di eguaglianza
e a quello espressivo della finalità rieducativa della pena che risulterebbe
violato ove la misura cautelare fosse trattata come un’anticipazione della pena)
in base alla quale il quinquennio andrebbe computato a decorrere dalla data del
commesso reato di evasione.
Osserva questa Corte che, a fronte di un dettato legislativo che appare
inequivocamente suscettibile di essere interpretato nel senso condiviso sia dal
Tribunale di Cagliari che da questa stessa Corte, la quale si è espressa al
riguardo nei seguenti termini: “Il divieto di concessione degli arresti domiciliari
previsto dall’art. 284, comma quinto-bis, cod. proc. pen., per colui che sia stato
condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il
quale si procede, deve applicarsi con riferimento al momento della condanna e
non a quello del fatto di evasione da cui la condanna medesima è scaturita”
(Corte di cassazione, Sezione VI, 28 settembre 2009, n. 38148), rimangono
esclusivamente da esaminare i dubbi evidenziati dalla difesa del ricorrente in
ordine alla legittimità costituzionale della detta disposizione così come
generalmente interpretata.
Non ignora questa Corte il fatto che la disposizione contenuta nell’art.
284, comma 5-bis, cod. proc. pen. sia stata di recente sottoposta al vaglio della
Corte costituzionale; questa, però, rilevato che nella fattispecie da cui era
originata la questione di legittimità costituzionale di fronte a lei sollevata il
termine intercorrente fra la commissione del reato di evasione e la
commissione del reato in relazione al quale era stata disposta la nuova misura
cautelare era comunque inferiore al quinquennio, ritenuta, pertanto, la
questione irrilevante nel giudizio

a quo,

nel quale, anche in ipotesi di

accoglimento del dubbio di legittimità costituzionale, non sarebbe stato
comunque possibile concedere gli arresti domiciliari, ha dichiarato inammissibile
la questione (ord. n. 326 del 2013).
Nel presente caso, essendo i reati di evasione accertati a carico del Podda
risalenti al 2004, mentre la misura in atto è stata confermata con ordinanza del
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partire dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna per il

giugno 2013, è legittimo ritenere, pur in assenza di dati certi in ordine al

tempus commissi delicti del reato in relazione al quale ora si procede, che, in
linea astratta, la questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante nel
presente giudizio.
Tanto osservato, ritiene tuttavia il Collegio che il dubbio di legittimità
costituzionale sollevato dalla difesa del Podda sia manifestamente infondato.
Premesso, infatti, che la ratio della disposizione in questione è legata alla

attraverso una valutazione discrezionale del legislatore, realistica e non
arbitraria, dalla precedente insofferenza manifestata dall’indagato a misure
custodiali, rileva il Collegio che farne decorrere gli effetti dalla data della
commessa evasione, in assenza di una pronunzia giurisdizionale definitiva sulla
illecietà penale della condotta posta in essere realizzerebbe certamente
in’ipotesi di illegittimità costituzionale in quanto, in violazione dell’art. 27 della
Costituzione che prevede che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla
condanna definitiva”, si farebbero derivare degli effetti sanzionatori, sia pure
indiretti, da una imputazione penale anteriormente alla definitività della
pronunzia giurisdizionale che abbia provveduto su tale imputazione.
Né pare ammissibile, sempre sotto il profilo della coerenza coi principi
costituzionali, ipotizzare che, sebbene il termine quinquennale del divieto
sancito dall’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. inizia decorrere dalla data
della commissione del reato di evasione, il divieto stesso rimanga sospeso sino
alla definitività della sentenza che accerti l’evasione stessa, posto che sarebbe
del tutto irragionevole prevedere un termine avente astrattamente la durata di
cinque anni, ma che nel concreto, essendone sospesa non la decorrenza ma
l’efficacia, avrebbe in realtà una durata di gran lunga inferiore e, peraltro, del
tutto incerta e variabile da caso a caso in funzione della più o meno ampia
durata del processo avente ad oggetto l’accertamento della evasione.
Deve, viceversa, ritenersi che i dubbi adombrati da parte ricorrente in
ordine alla congruità costituzionale della norma in discorso siano del tutto
infondati.
Quanto a quello argomentato in relazione dall’art. 27 della Costituzione, al
di là di una certa fumosità della tesi esposta dal ricorrente, già si è illustrato
come il rischio di incostituzionalità sarebbe ben più evidente laddove si
facessero decorrere i termini del divieto sic et simpliciter dal giorno della
avvenuta evasione (ipotesi interpretativa questa, peraltro, già espressamente
scartata dalla giurisprudenza di questa stessa Sezione: Corte di cassazione,
Sezione III penale, 2 marzo 2012, n. 8148).

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inidoneità cautelare della misura autocustodiale, inidoneità desumibile,

Anche per ciò che attiene all’asserita violazione del principio di
eguaglianza, questa viene ad essere esclusa proprio fissando la decorrenza del
ricordato termine quinquennale dalla definitività della sentenza di condanna per
il reato di evasione, in quanto solo in questo modo il termine, nella piena sua
durata fissata dal legislatore, inizia a decorrere da una data certa per ciascuno
dei soggetti cui la norma deve applicarsi.
Ciò rilevato, poiché per quanto concerne il Podda la definitività della

2010 è evidente che egli, sino al 23 novembre 2015, così come affermato nel
provvedimento impugnato del Tribunale di Cagliari, non potrà essere ammesso,
ove ricorrano le condizioni per la applicazione di una misura cautelare
custodiale, agli arresti domiciliari.
Riguardo al secondo motivo di ricorso, legato al preteso difetto di
motivazione sui residui motivi di appello formulati dal Podda di fronte al
Tribunale di Cagliari, rileva questa Corte che correttamente il giudice del
riesame, visto che l’istanza del Podda era volta esclusivamente, alla modifica
della misura in atto della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari,
ha ritenuto che, per effetto del divieto di cui all’art. 284, comma

5-bis, cod.

proc. pen. il loro esame era inutile in quanto l’accoglimento della istanza era,
per altro motivo, già precluso.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente a norma dell’art.
94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2014

ultima condanna da lui subita per il reato di evasione è datata 23 novembre

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