Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6625 del 05/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6625 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) PATRONE NICOLA N. IL 22/05/1973
avverso la sentenza n. 7001/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
20/09/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 05/12/2012

Motivi della decisione
Patrone Nicola ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte di Appello di Napoli del 20 settembre 2011, con la quale – in riforma della
sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Torre Annunziata in data 8 febbraio
2011, in ordine alla violazione dell’art. 73, D.P.R. n. 309/1990 – esclusa
l’attenuante di cui al V comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e valutata la
recidiva, è stata rideterminata la pena originariamente inflitta.
penale. La parte rileva che il Procuratore Generale territoriale aveva proposto
appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata ed osserva che il
Procuratore generale all’udienza del 20.09.2011 concludeva per la conferma della
sentenza di primo grado. L’esponente ritiene, pertanto, che si sia verificata una
rinuncia alla impugnazione.
Con il secondo motivo il deducente lamenta il vizio motivazionale e la
violazione di legge, con riguardo alla intervenuta esclusione dell’ipotesi attenuata di
cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della entità della pena inflitta.
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Con riguardo alla
rinuncia all’appello proposto dalla parte pubblica, che sarebbe intervenuta per
effetto del tenore della richiesta formulata dal Procuratore generale all’udienza del
20.09.2011, avendo la parte chiesto la “conferma della sentenza”, si osserva che
questa Suprema Corte ha chiarito che la rinuncia all’impugnazione è un atto
formale che non ammette equipollenti, di talché non danno luogo a rinuncia “le
conclusioni di udienza con cui il pubblico ministero chieda la conferma della
sentenza di condanna di primo grado, gravata da un appello del suo ufficio, in
relazione alla quantificazione della pena” (Cass. Sez. 1, sentenza n. 4512 del
21.01.2011, dep. 8.02.2011, Rv. 249496). E, si rileva che la Corte regolatrice ha
pure affermato che neppure la dichiarazione effettuata dal Procuratore generale in
sede di discussione, di non volere coltivare l’appello costituisce valida rinuncia
all’impugnazione, atteso che la rinunzia al gravame costituisce atto abdicativo di
carattere formale che non ammette equipollenti (Cass. Sez. 1, sentenza n. 42157
del 4.10.2006, dep. 21.12.2006, Rv. 235567). Pertanto, le conclusioni rassegnate
dal Procuratore generale in sede di discussione avanti alla Corte di Appello di
Napoli, all’udienza del 20.09.2011, sopra richiamate, non costituiscono altrimenti
rinuncia al gravame, con il quale l’ufficio requirente aveva chiesto l’esclusione
dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, riconosciuta
dal primo giudice.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge

Introdotta in tali termini la disamina del secondo motivo di ricorso, si
osserva che la Corte di Appello ha ritenuto insussistenti le condizioni per
riconoscere l’ipotesi attenuata di cui al V comma, dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990,
in considerazione del dato ponderale relativo allo stupefacente detenuto ed alla
diversa natura delle sostanze in oggetto.
Si tratta di un apprezzamento che si colloca nell’alveo tracciato dalla
giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che in tema di sostanze
fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli
elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e
circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato
(quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):
dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando
anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene
giuridico protetto sia di “lieve entità” (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del
22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).
Del pari inammissibile risulta il terzo motivo di ricorso.
Ed invero, la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato
argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto
concerne la dosimetria della pena. E’ appena il caso di considerare che in tema di
valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero
in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena
ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa
Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22
settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche
che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento
illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di
evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte territoriale ha,
infatti, rilevato, nel rigettare l’appello che era stato proposto dall’imputato, che
l’ammissione dei fatti da parte del prevenuto risultava imposta dalle accertate
circostanze; ed ha, quindi, contenuto la pena base in anni sei di reclusione, pari al
minimo edittale.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2012.

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