Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6621 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6621 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
SICCARDI GIOVANNI, nato a Mondovì il 16/09/1955
avverso la sentenza del 07/01/2013 del Tribunale di Mondovì

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata limitatamente ai concessi benefici; rigetta nel resto.
udito per l’imputato l’avv.

DEPOSITI-A IN CANCELLERAI
791’$
LLIERE

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 7 gennaio 2013, il Tribunale di Mondovì
ha condannato Siccardi Giovanni alla pena, condizionalmente sospesa, di
5.000,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per
il reato di cui agli artt. 5 lett. d) e 6, comma 3, legge 30 aprile 1962, n. 283
per avere, nella qualità di legale rappresentante del caseificio “Cooperativa

invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive (partita di
formaggio Raschera di alpeggio nel quale era rilevata la presenza di
ente rotossina stafilococcica).
Il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità
dell’imputato sulla base della documentazione amministrativa in atti e
dell’esame dei testi, essendo risultato che, nel corso di un controllo ordinario
eseguito in via amministrativa dal personale della A.S.L. presso il caseificio
della “cooperativa Frabosa Soprana” venne trovata una partita di formaggio
Raschera di alpeggio (una forma di formaggio, dalla quale vennero prelevate
cinque unità campionarie) risultata a seguito delle analisi effettuate
dall’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, contaminata
da enterotossine stafilococciche.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il difensore dell’imputato, affidando le doglianze a sette specifici
motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione degli
articoli 42 e 43 cod. peri. (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.)
nonché mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione (art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).
Si sostiene che l’imputato svolgesse, all’epoca del controllo effettuato
dai vigili sanitari dell’ASL, esclusivamente le funzioni di presidente della
cooperativa, occupandosi delle sole attività di rappresentanza e delle attività
amministrative senza alcuna ingerenza, come emerso dalla testimonianza
resa dalla dipendente Almini, nelle attività di produzione, affidate ad una
persona specificamente preposta allo svolgimento di tali mansioni, ed a nulla
rilevando dunque la circostanza, pure valorizzata dalla sentenza impugnata,
per la quale, in mancanza di prova del conferimento della delega a terze
persone e in mancanza di prova circa la complessità della struttura
aziendale, dovesse comunque ritenersi provata la responsabilità penale del
ricorrente.
2

Frabosa soprana”, detenuto per la vendita sostanze alimentari insudiciate,

A tale proposito, deduce come nei reati a soggettività ristretta, quale
quello contestato all’imputato, la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito
che il compito del pubblico ministero, prima, e del giudice, poi, sia quello di
identificare colui che abbia effettivamente svolto l’attività incriminata, in
ossequio al principio di effettività, in base al quale si riconosce la
responsabilità penale di colui che nell’ambito dell’azienda svolga realmente
ed in piena autonomia (decisionale e finanziaria) le funzioni che possono
mettere in pericolo i beni tutelati dal legislatore, gravando pertanto su dette

2.2. Con il secondo motivo di gravame il ricorrente, denunciando
violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., lamenta
l’erronea applicazione del Reg. U.E. 2073/05 nonché mancanza e/o
manifesta illogicità della motivazione.
Assume come erroneamente il Giudice di prime cure abbia riconosciuto
la penale responsabilità dell’imputato, ritenendo che il prodotto fosse già
pronto per la commercializzazione, laddove la normativa europea in ambito
di controlli microbiologici prescrive che la ricerca delle enterotossine
stafilococciche sul formaggio debba essere fatta sui prodotti immessi sul
mercato nel loro periodo di conservabilità.
Precisa come il requisito della “immissione sul mercato”, o immissione in
commercio, sia integrato, come da un consolidato indirizzo giurisprudenziale,
anche di merito, soltanto nel momento in cui il prodotto sia uscito dalla sfera
di disponibilità del produttore e sia disponibile sul mercato, al di fuori del suo
diretto controllo, con la conseguenza che, nel caso di specie, il Raschera
sottoposto alle analisi, trovandosi ancora all’interno dello stabilimento di
produzione e sotto il diretto controllo dell’operatore, non poteva qualificarsi
come prodotto “immesso sul commercio durante il suo periodo di
conservabilità” così come richiesto dal Reg. U.E. 2073/05 e pertanto non
poteva essere sottoposto alle analisi volte alla ricerca di enterotossine
stafilococciche.
In ogni caso, si osserva che, non essendo all’epoca del campionamento
terminata la stagionatura, ben poteva il prodotto essere ancora sottoposto a
verifiche da parte della cooperativa in sede di autocontrollo.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia il vizio di mancanza di motivazione
(art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), avendo il primo giudice
inspiegabilmente ritenuto irrilevante il fatto che le cinque aliquote
campionarie fossero state prelevate da un’unica forma di formaggio e non da
più forme diverse, come invece implicitamente richiederebbe il regolamento
U.E. 2073/05 il quale postula che il campione, rappresentato da cinque
unità, sia rappresentativo, cioè sia in grado di rispecchiare adeguatamente
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persone gli obblighi imposti dalla norma incriminatrice.

tutta la partita del prodotto, tant’è che l’art. 2 lett. k) del citato regolamento,
in consonanza con altre fonti normative – citate nel ricorso, che regolano la
materia degli alimenti – definisce il campione rappresentativo come “un
campione nel quale sono mantenute le caratteristiche della partita dalla
quale è prelevato, in particolare nel caso di un campionamento casuale
semplice, dove ciascun componente o aliquota della partita ha la stessa
probabilità di figurare nel campione”, con la conseguenza che non sarebbe
dato comprendere sulla base di quali evidenze il Giudice abbia ritenuto

formaggio.
2.4. Con il quarto motivo di gravame il ricorrente lamenta mancanza e/o
manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen.) in ordine alla attendibilità del rapporto di prova, con particolare
riguardo alla fondatezza scientifica e tecnica del giudizio espresso in primo
grado, essendo il Giudice partito, ad avviso del ricorrente, dal discutibile
presupposto secondo cui eventuali irregolarità in tema di prelevamento e
analisi non determinerebbero alcuna nullità e neppure incertezza in relazione
all’approdo conseguito.
Rileva il ricorrente come le evidenze dibattimentali abbiano invece fatto
emergere la circostanza che il laboratorio avesse utilizzato per la sua analisi
la “revisione 3”, laddove già era operativa la “revisione 5”, ossia una
metodologia analitica migliorativa delle tecniche volte a rendere più precisi e
completi i risultati delle analisi.
A fronte di una tale evenienza, deduce il ricorrente come il giudice abbia
ritenuto di superare l’incertezza e la non univocità sui metodi di laboratorio
utilizzati attraverso l’esame testimoniale, cui aveva dato ingresso ex art. 507
cod. proc. pen., pervenendo alla conclusione che il rapporto di prova fosse
fondato sull’utilizzazione della metodologia più avanzata di revisione
(“revisione 5”), attribuendo ad un errore del sistema informatico, secondo
quanto dichiarato in dibattimento dalla teste Adriano, la circostanza che il
rapporto delle analisi recasse invece l’indicazione della “revisione 3”,
omettendo tuttavia di motivare perché, pur in presenza di un tale errore, il
rapporto di prova fosse attendibile o privo di altre eventuali irregolarità.
2.5. Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione della legge
penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 5,
lett. d), legge n. 283 del 1962) e mancanza di motivazione (art. 606, comma
1, lett. e), cod. proc. pen.).
Sostiene il

ricorrente, anche alla

luce di ampi

riferimenti

giurisprudenziali indicati nel ricorso, come il primo giudice, avendo
condannato l’imputato per il titolo di reato relativo alla detenzione di
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irrilevante la provenienza delle unità campionarie da una unica forma di

sostanze alimentari nocive, abbia ritenuto integrata la fattispecie
incriminatrice sul rilievo che la presenza non consentita di enterotossine
stafilococciche negli alimenti fosse da reputarsi potenzialmente nociva, con
ciò incorrendo nel vizio denunciato di erronea interpretazione della norma
penale, in quanto la nocività di un alimento non può essere valutata, ad
avviso del ricorrente, solo astrattamente o potenzialmente, essendo invece
necessario, per l’integrazione della fattispecie, che l’alimento abbia una reale
e concreta idoneità a porre in pericolo la salute pubblica.

della motivazione dell’impugnata sentenza in ordine al requisito della
nocività dell’alimento, essendosi proceduto ad effettuare solo analisi di tipo
qualitativo con la conseguenza che, in totale assenza di analisi di tipo
quantitativo, non è dato sapere di quale portata fosse l’eventuale presenza
del batterio.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia mancanza e/o manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo (art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).
Deduce il ricorrente come la sentenza impugnata, senza individuare gli
elementi fattuali integranti il comportamento colposo asseritamente tenuto
dall’imputato, abbia fatto discendere il giudizio di colpevolezza sulla base
della mera verificazione dell’evento, laddove il giudizio di rimproverabilità
avrebbe richiesto un aggancio a comportamenti colposi specificamente
individuati, tenuto anche conto del fatto che, qualora il soggetto agente
avesse posto in essere tutti gli accorgimenti necessari, senza che fossero
state individuate eventuali manchevolezze, e ciò nonostante si fosse
verificato l’evento, non avrebbe potuto che applicarsi l’esimente della buona
fede.
Nel caso di specie, la cooperativa era dotata di un idoneo sistema di
autocontrollo e dunque era fornita di misure precauzionali volte a prevenire
e ad evitare il rischio di contaminazione, con la conseguenza che la sentenza
impugnata sarebbe carente di motivazione, anche per illogicità, laddove non
individua i comportamenti ulteriori che l’imputato avrebbe dovuto tenere per
andare esente da colpa.
2.7. Con il settimo ed ultimo motivo di gravame, sviluppato sotto
plurimi profili, il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale
(art. 163 cod. pen. e art. 6, comma 5, legge n. 283 del 1962, art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) nonché mancanza e/o manifesta
illogicità della motivazione (art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).
Rileva il ricorrente come, con la sentenza impugnata, sia stato concesso
il beneficio della sospensione condizionale della pena che, nel caso di specie,
5

Sotto altro profilo, rileva il ricorrente come sussista assoluta carenza

non avrebbe potuto trovare riconoscimento stante l’espresso divieto posto
dall’art. 6, comma 5 (ora comma 4) della legge n. 283 del 1986 ove viene
stabilito che in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla
salute non si applicano le disposizioni degli artt. 163 e 175 cod. pen.,
rientrando nella nozione di “frode tossica” qualsiasi fatto contravvenzionale
previsto negli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, insidioso per se stesso
o produttivo di effetti insidiosi, da cui derivi un’attitudine della sostanza a
produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute

Oltre che per i suddetti motivi, il ricorrente comunque chiede la revoca
della sospensione condizionale della pena, in considerazione della lesione
degli interessi e dei diritti che dalla concessione a lui deriverebbero, tanto sul
rilievo che, essendo intervenuta condanna alla sola pena pecuniaria della
ammenda, la concessione del beneficio costituisce per l’imputato motivo
ostativo o comunque di significativo ritardo nell’ottenere l’eliminazione della
condanna dal casellario giudiziale.
Infine, in evidente connessione con il precedente profilo, si invoca la
revoca del citato beneficio anche sul presupposto che l’imputato non
potrebbe partecipare a gare di appalto in forza dell’art. 38, co. 1, lett. c), del
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato sulla base del settimo motivo di impugnazione e
va rigettato nel resto per le ragioni di seguito indicate.

2. Quanto al primo motivo di gravame, la giurisprudenza di questa Corte
ha recentemente chiarito che la delega di funzioni nell’esercizio di un’attività
di impresa esonera il titolare dalla responsabilità penale connessa alla
posizione di garanzia se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidonea
l’attribuzione in forma orale (Sez. 3, n. 16452 del 17/10/2012,dep.
11/04/2013, Rv. 255394; Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011,dep. 23/02/2011,
Rv. 249536).
Il Collegio non ignora l’esistenza di un diverso orientamento, pure
richiamato nel ricorso, secondo cui la delega può anche essere conferita
oralmente dal titolare dell’impresa, non essendo richiesta per la sua validità
la forma scritta né “ad substantiam” né “ad probationem”,

posto che

l’efficacia devolutiva dell’atto di delega è subordinata all’esistenza di un atto
traslativo delle funzioni delegate connotato unicamente dal requisito della
certezza che prescinde dalla forma impiegata, salvo che per il settore
6

del consumatore da accertarsi in concreto.

pubblico in cui è invece richiesto l’atto scritto di delega (Sez. 3, n. 32014 del
06/06/2007, Cavallo, Rv. 237141).
Nondimeno il primo orientamento esclude l’idoneità di una delega orale
nella misura in cui difetti adeguata prova, il cui onere rigorosamente
incombe a chi ne alleghi l’esistenza, circa il trasferimento dal delegante al
delegato delle funzioni di garanzia da esercitare all’interno delle strutture
aziendali.
Il secondo orientamento, pur scartando la possibilità del conferimento di

volta, che il titolare della posizione di garanzia possa ritenersi esonerato da
responsabilità per il semplice fatto di aver conferito ad altri una delega orale
delle funzioni.
Altro indirizzo di questa Corte, che coniuga i due orientamenti, è nel
senso che gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività
imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e
subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di
delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire
persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e
dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico
incarico, fermo restando l’obbligo per il delegante di vigilare e controllare
che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge
prescrive (Sez. 4, n. 9343 del 22/06/2000, Archetti, Rv. 216727).
La delega quindi è in linea generale ed astratta consentita, a
prescindere dalla forma con la quale, nel settore privato, sia corredata, ma
per essere rilevante ai fini dell’esonero da responsabilità del delegante, deve
possedere specifici requisiti ( Sez. 3, n. 26122 del 12/04/2005, Capone, Rv.
231956). Sul punto, la dottrina più attenta ha segnalato come in questa
materia occorra trovare il necessario bilanciamento tra il principio di legalità,
fissato dall’art. 25 Cost., in modo da vanificare il tentativo di spostare la
responsabilità penale verso altri soggetti, spesso verso i dipendenti
dell’imprenditore, ed il principio di personalità della responsabilità penale, di
cui all’art. 27 Cost., rifuggendo da concezioni arcaiche del diritto penale
fondate su ipotesi di responsabilità oggettiva o, peggio, per fatto altrui.
Si tratta, da un lato, di rendere effettiva la posizione di garanzia come
rafforzamento della tutela dei diritti e, dall’altro, di dare corpo al principio di
effettività, nel senso di attribuire la responsabilità penale a colui che
realmente svolga le funzioni di garanzia e sul quale gravino gli obblighi la cui
inosservanza è presidiata dalla leva penale attraverso le specifiche
fattispecie incriminatrici predisposte per la tutela degli interessi penalmente
rilevanti.
7

una delega necessariamente scritta anche nel settore privato, esclude, a sua

:

La giurisprudenza di legittimità ha fornito, a più riprese, precise
indicazioni al fine di individuare i requisiti necessari per operare il
bilanciamento tra il principio di legalità e quello di effettività, in modo che la
delega possa ritenersi validamente conferita, richiedendo:
a) che la delega debba essere puntuale ed espressa (requisito della
certezza e della precisione), senza che siano trattenuti in capo al delegante
poteri residuali di tipo discrezionale (Sez. 3, n. 32014 del 2007 cit.; Sez. 3,
n. 6420 del 07/11/2007, (dep. 11/02/2008), Girolimetto, Rv. 238980);

12413 del 08/10/1999, Massarenti, Rv. 215009), trattandosi di atto
recettizio del quale occorre fornire la prova (requisito del consenso);
c)

che il conferimento debba avvenire a favore di soggetto

professionalmente idoneo e qualificato (requisito della idoneità) per lo
svolgimento del compito affidatogli (Sez. 4, Sentenza n. 5780 del
28/02/1997, Angelucci, Rv. 208701; Sez. 3, Sentenza n. 6420 del
07/11/2007 cit., nonché Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011, cit.);
d) che il delegato goda di poteri decisionali e di organizzazione autonomi
(requisito dell’autonomia), possa cioè esercitare non solo le funzioni ma, se
del caso, anche i correlativi poteri decisionali e di spesa, dovendo la
effettività dei poteri riverberare anche sotto il profilo economico (Sez. 3, n.
9160 del 01/07/1998, Botarelli, Rv. 211814; Sez. 3, Sentenza n. 6420 del
07/11/2007, cit.; nonché Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011, cit.) ;
e) che il trasferimento delle funzioni debba essere giustificato (requisito
della giusta causa della delega) in base alle esigenze organizzative
dell’impresa (Sez. 3, Sentenza n. 6420 del 07/11/2007 cit., nonché Sez. 3,
n. 6872 del 19/01/2011, cit.);
f) la specificità dei compiti delegati (requisito della specificità della
delega), in quanto se la delega non si riferisce alla esecuzione di atti
specifici, rispetto ai quali viene al delegato trasferita non la competenza, ma
la legittimazione al compimento dei singoli atti rientranti nella competenza
del delegante, riemergono i poteri – doveri di intervento dello stesso
delegante, senza la necessità di una previa revoca delle attribuzioni del
delegato (Sez. 3, n. 4003 del 19/02/1999, Tilocca, Rv. 213271), con
l’ulteriore conseguenza, quale aspetto simmetrico a quello illustrato al punto
d), che il delegato non deve essere utilizzato per compiti diversi da quelli
commessi e che da questi lo distolgano;
g) che l’esistenza della delega (e dei suoi contenuti) debba essere
(requisito dell’onere della prova) giudizialmente provata in modo certo (Sez.
3, Sentenza n. 6420 del 07/11/2007 cit., nonché Sez. 3, n. 6872 del
19/01/2011, cit.)/.

b) che vi sia l’accettazione della delega da parte del delegato (Sez. 4, n.

Il Tribunale ha dunque correttamente ritenuto che non vi fosse prova di
una delega delle funzioni, deducendo ciò sia dalla mancanza di una struttura
aziendale particolarmente complessa, che ne giustificasse il conferimento, e
sia dal fatto che non vi fosse traccia dell’esistenza di una tale delega.
Difatti, tenuto conto dei requisiti, sopra enunciati, di validità di un atto
traslativo del genere, va osservato come la stessa natura delle doglianze non
dia conto del vizio denunciato, non essendo sufficiente per provare
l’esistenza di una valida delega delle funzioni né che l’imputato non avesse

occupasse delle fasi di autocontrollo e di gestione del prodotto, né che
all’interno della cooperativa vi fosse una suddivisione specifica delle funzioni.
Infatti non è emerso in modo certo e preciso quali specifici atti siano
stati in concreto delegati; non è emerso che il delegato abbia prestato il
consenso all’assolvimento di specifici compiti; non è emerso che il delegato
fosse idoneo all’assolvimento di detti compiti e che fosse autonomo
nell’esecuzione di essi; né che vi fosse una giusta causa nel conferimento
della delega, con la conseguenza che l’onere della prova circa l’esistenza di
un valido atto traslativo delle funzioni di garanzia deve ritenersi non assolto,
derivando da ciò l’infondatezza della censura.

3. Quanto al secondo motivo di gravame, con il quale viene in sostanza
denunciata la violazione delle prescrizioni contenute nel regolamento
2073/2005 U.E., va premesso come il ricorrente offra una interpretazione
della normativa comunitaria del tutto non condivisibile.
Portando alle estreme conseguenze il suo assunto, la normativa
nazionale, che punisce chi detiene per la vendita sostanze alimentari con la
presenza non consentita di enterotossine stafilococciche e quindi nocive per
la salute (tale è il rimprovero che viene, tra l’altro, mosso al Siccardi),
apprestando gli strumenti ed i controlli per prevenire il commercio illecito di
alimenti dannosi, sarebbe in contrasto con il diritto comunitario che invece
imporrebbe determinati controlli se ed in quanto il prodotto sia messo in
vendita, ossia in commercio o nel mercato, e nel periodo della sua
conservabilità.
Tuttavia il regolamento 2073/2005 U.E., come peraltro modificato dal
regolamento 1441/2007 U.E., espressamente richiede (par.5 del preambolo)
che la sicurezza dei prodotti alimentari sia «garantita principalmente da
misure di prevenzione, quali la messa in atto di pratiche corrette in materia
di igiene e di procedure basate sui principi dell’analisi dei rischi e dei punti
critici di controllo …» e (par.7 del preambolo) che a norma del regolamento
(CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile
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mansioni specifiche sulla produzione, né che un ragazzo dell’azienda si

2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla
normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali, «gli Stati membri provvedono a che siano eseguiti
periodicamente controlli ufficiali, in base ad una valutazione dei rischi e con
frequenza appropriata; tali controlli devono essere eseguiti in fasi opportune
della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti,
per garantire che gli operatori del settore rispettino i criteri stabiliti dal
presente regolamento».

di applicazione di esso, stabilisce, tra l’altro, che «l’autorità competente
verifica il rispetto delle norme e dei criteri di cui al presente regolamento
conformemente al regolamento (CE) n. 882/2004, senza pregiudizio del suo
diritto di procedere a ulteriori campionamenti ed analisi per la rilevazione e
la misura della presenza di altri microrganismi, delle loro tossine o dei loro
metaboliti, o come verifica dei processi, per i prodotti alimentari sospetti, o
nel contesto dell’analisi del rischio».
Ne consegue come siano imposte agli Stati membri misure di
prevenzione adottabili anche nella fase di produzione e di trasformazione del
prodotto, oltre naturalmente che nella fase della distribuzione, per una
maggiore ed anticipata tutela della salute del consumatore, con la
conseguenza che gli Stati membri possono predisporre controlli ulteriori
senza che le verifiche previste dal regolamento esauriscano i possibili modelli
di tutela, derivando da ciò l’infondatezza anche della seconda censura.
La cui inconsistenza deve essere ribadita anche esaminando la
conclusiva circostanza, pure articolata come motivo del ricorso, secondo cui,
non essendo all’epoca del campionamento terminata la stagionatura, ben
poteva il prodotto essere ancora sottoposto a verifiche da parte della
cooperativa in sede di autocontrollo. Sul punto va ricordato come il Tribunale
abbia esaurientemente motivato nel senso di ritenere come non si potesse
validamente affermare che il prodotto campionato fosse ancora in fase di
stagionatura e che il decorso del tempo (neppure desunto in modo certo
all’esito dell’istruttoria dibattimentale) avrebbe determinato l’abbattimento
delle tossine riscontrate; tanto sul fondamentale rilievo della totale
mancanza di prova circa il fatto che la forma di Raschera fosse all’inizio della
stagionatura e non già pronta, come è stato correttamente considerato, per
la commercializzazione, sul presupposto che, in concreto, il formaggio era
stato già trattato e prodotto.

4. Con il terzo ed il quarto motivo di gravame, che possono essere
congiuntamente esaminati, il ricorrente, denunciando mancanza e/o illogicità
10

Tant’è che l’art. 1 del regolamento, che disciplina l’oggetto ed il campo

della motivazione, sottopone alla cognizione della Corte di cassazione
censure non consentite, sollevando questioni relative alla valutazione del
materiale probatorio, il cui apprezzamento rientra nella esclusiva
competenza del giudice di merito, cercando, in tal modo, di ottenere una
interpretazione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base
del provvedimento impugnato.
Quanto infatti al prelievo delle aliquote campionarie, il Tribunale, con
adeguata e logica motivazione, ha stimato irrilevante la circostanza che le

formaggio, e non da più forme diverse, sul condivisibile rilievo che una
forma di Raschera, per peso e dimensioni, può considerarsi certamente
rappresentativa di una partita.
Quanto poi all’attendibilità del rapporto di prova, il Tribunale, con
motivazione completa ed immune da vizi logici, a fronte di un errore
materiale nella stesura dei referti, ha chiarito, anche all’esito del
supplemento istruttorio cui ha dato ingresso ex art. 507 cod. proc. pen. e
dunque in conseguenza di uno scrupoloso accertamento, come le analisi sui
campioni repertati fossero state eseguite con il ricorso alla metodologia più
avanzata, conseguendo da ciò l’attendibilità degli esiti delle analisi ed
attribuendo ad un mancato aggiornamento del sistema informatico, che
stampava in automatico i referti, l’errore che era comparso sul rapporto di
prova, aggiungendo che i risultati delle ulteriori analisi effettuate a Parigi
presso il laboratorio “ANSES” avevano convalidato i precedenti risultati
comprovando ulteriormente la contaminazione del formaggio.

5. Il quinto motivo è parimenti infondato.
Con esso si rimprovera al Tribunale di avere erroneamente interpretato
l’art. 5, lett. d), legge n. 283 del 1962 per aver ritenuto integrato il reato
sulla base della potenziale ed astratta nocività dell’alimento e non invece
sulla base della presenza di una reale e concreta idoneità di esso a porre in
pericolo la salute pubblica.
Il Tribunale invece ha, sul presupposto della riscontrata presenza di
enterotossine stafilococciche, osservato puntualmente il criterio che il
ricorrente invece denuncia e che avrebbe potuto trovare corpo e sostanza
solo qualora l’agente patogeno non fosse stato rilevato nel campione e se ne
fosse pronosticata una futura e probabile comparsa.
In presenza della riscontrata contaminazione dell’alimento, invece, il
Tribunale si è correttamente attenuto al principio di diritto secondo il quale la
detenzione a scopo di vendita di sostanze alimentari «comunque nocive»,
costituisce un reato di pericolo concreto, con la conseguenza che, affinché
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cinque unità campionarie fossero state prelevate da un’unica forma di

una sostanza alimentare possa qualificarsi nociva, è sufficiente la riscontrata
presenza di agenti patogeni, come nella specie le enterotossine
stafilococciche, che abbiano l’attitudine a cagionare danni o porre a rischio la
salute umana.
Va peraltro evidenziato che se i delitti di cui agli artt. 439 ss. cod. pen.
mirano a proteggere il bene «salute» da attacchi diretti e concreti,
viceversa la legge 30 aprile 1962, n. 283 appresta una tutela «anticipata» di
quel medesimo bene (Corte cost. sent. n. 1 del 1982).

censura con il quale è stato denunciato il vizio di motivazione per l’assenza
di analisi di tipo qualitativo che avrebbero dovuto indicare, secondo il
ricorrente, quale fosse la reale portata del batterio per ritenere configurabile
l’addebito.
Va osservato che all’imputato è stata contestata, e ritenuta in sentenza,
la detenzione per la vendita di formaggio contaminato dalla presenza di
enterotossine stafilococciche, quindi di alimento comunque nocivo per la
salute, fattispecie che rientra nella previsione di cui all’art.5 lett. d) della
legge n.283 del 1962 – e non in quella di cui alla lettera c) della stessa
norma che vieta la vendita di sostanze alimentari con cariche microbiotiche
superiori «ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da
ordinanze ministeriali».
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la previsione
di cui all’art.5 lett. d) della legge n.283 del 1962 rappresenta una norma di
chiusura con la quale il legislatore ricomprende le sostanze “comunque”
nocive, non inquadrabili nelle ipotesi specifiche contemplate nella stessa
lettera nonché in quelle precedenti, nell’ambito di operatività dell’art.5
succitato. Ne consegue che l’eventuale osservanza dei limiti di cui all’art.5
lett. c) ed a maggior ragione l’omessa previsione degli stessi non equivale ad
un giudizio di assoluta innocuità del prodotto alimentare che, invece, può
rivelarsi “comunque” nocivo in virtù di un accertamento in fatto, non
censurabile in sede di legittimità e, quindi, rientrare nella previsione di cui
all’art.5 lett. d) della legge n.283 del 1962 (Sez. 3, n. 15998 del
12/02/2003, Scovenna, Rv. 224248).
Il Tribunale, rilevando la presenza non consentita di enterotossine
stafilococciche, ha adeguatamente motivato, per ciò solo, circa la nocività
dell’alimento, la cui ricerca, ai fini della tutela della salute dei consumatori, è
specificamente prescritta, proprio per la sua nocività, dal regolamento
comunitario 2073/2005 U.E. e succ. mod., avendo la concreta attitudine a
cagionare danni o porre a rischio la salute umana.
L’enterotossina non è altro che una proteina tossica prodotta da alcuni
12

Un siffatto approdo spiega l’infondatezza anche dell’ulteriore profilo della

particolari ceppi batterici, tra cui gli stafilococchi, ed è perciò molto dannosa,
in concreto, per la salute degli uomini.

6. Con il sesto motivo il ricorrente, contraddicendo peraltro la sostanza
del primo aspetto del successivo motivo di censura, si duole del fatto che il
Tribunale abbia ritenuto l’elemento soggettivo del reato sulla sola base della
verificazione dell’evento senza individuare i comportamenti colposi
specificamente addebitabili all’imputato, avendo peraltro la cooperativa
i rischi di

contaminazione del prodotto.
Anche tale motivo è infondato.
Il Tribunale, nella valutazione dell’elemento soggettivo, ha spiegato
come al produttore incomba l’onere di eseguire tutti i controlli che possano
condurre a verificare ed eliminare eventuali pericoli per la salute del
consumatore senza che, in mancanza, possa invocare a sua discolpa il
semplice affidamento sui controlli effettuati a monte o eseguiti dall’autorità.
Si tratta di un accertamento immune da censure, quanto alla ritenuta
sussistenza dell’elemento psicologico del reato, giacché, trattandosi di
contravvenzione, è sufficiente la mera colpa ai sensi dell’art. 43 cod. pen.
che può consistere anche in mera negligenza nelle dovute verifiche sulla
conformità alla normativa del prodotto alimentare preparato o detenuto per
la vendita (Sez. 3, n. 14285 del 12/01/2010, Montella, Rv. 246810),
dovendosi al tempo stesso sottolineare come, con il successivo motivo, si
prospetti da parte dello stesso ricorrente la commissione del fatto per frode
e con ciò depotenziando e rendendo ulteriormente infondata la presente
doglianza.

7. E’ invece fondato, sotto il primo profilo della censura, il settimo ed
ultimo motivo di gravame con il quale il ricorrente lamenta che siano stati
concessi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non
menzione (pag. 24 del ricorso).
Si assume che, nel caso di specie, i benefici della sospensione
condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato
penale richiesto da privati non avrebbero potuto trovare riconoscimento
stante l’espresso divieto posto dall’art. 6, quinto comma (ora quarto comma)
della L. 283 del 1962 ove viene stabilito che in caso di condanna per frode
tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano le disposizioni degli
artt. 163 e 175 c.p.
Questa Corte, come lo stesso ricorrente sottolinea, ha precisato che, in
tema di tutela penale degli alimenti, per “frode tossica o comunque dannosa
13

previsto una serie di accorgimenti necessari per evitare

alla salute” deve intendersi qualsiasi fatto contravvenzionale previsto negli
artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, insidioso per se stesso o produttivo di
effetti insidiosi, da cui derivi un’attitudine della sostanza a produrre effetti
intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore
da accertarsi in concreto (Sez. 3, n. 13535 del 05/02/2009, Mascagni, Rv.
243388). La dottrina ha chiarito che la nozione di «frode tossica o comunque
dannosa» si compone di due profili, uno soggettivo (normalmente riportato
alla nozione di frode che racchiude anche la messa in commercio, come nella

comportamento

strictu sensu

fraudolento, rimanendo estranea alla

configurazione della fattispecie il requisito dell’inganno) l’altro oggettivo
(tendenzialmente coincidente con la dannosità), profili che peraltro sono
strettamente collegati. Né occorre, ai fini della esclusione dei benefici di
legge (artt. 163, 175 cod. pen.) prevista dall’art. 6, quinto comma, legge 30
aprile 1962, n. 283, una previa contestazione della “frode dannosa alla
salute”( Sez. 3, n. 10801 del 23/09/1994,Ballarino, Rv. 200385).
Come lo stesso ricorrente prospetta nel motivo di ricorso, gli elementi
della frode (nel senso innanzi chiarito) e del pericolo di danno sono infatti
immanenti nella fattispecie contestata «tanto che è lo stesso Giudice di
prime cure che ha considerato l’alimento tossico e pericoloso per il
consumatore (a pag. 5 della Sentenza si afferma che: “non vi sia prova che
un congruo periodo di tempo… avrebbe portato ad un abbattimento della
carica tossica”; “la presenza non consentita di enterotossine stafilococciche
negli alimenti è potenzialmente nociva”; “addossando al produttore (come al
commerciante) l’onere di eseguire tutti i controlli che possano condurre a
verificare ed eliminare eventuali pericoli per la salute del consumatore)”
(pag. 25 del ricorso)». Pertanto, assorbiti gli altri profili della doglianza, il
ricorso va accolto, limitatamente al primo aspetto, e quindi la sentenza
impugnata va, in tale parte, annullata senza rinvio con eliminazione dei
benefici di legge concessi.
Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai concessi benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna,
benefici che elimina.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 04/12/2013

specie, di un aliud pro alio senza che sia necessariamente richiesto un

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