Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6620 del 05/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6620 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) PASTORE VITO N. IL 26/01/1970
avverso la sentenza n. 2299/2011 TRIBUNALE di BARI, del
29/08/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 05/12/2012

Osserva
Ricorre per cessazione Pastore Vito avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444
c.p.p. in data 29.8.2011 dal Giudice monocratico del Tribunale di Bari che applicava al
predetto la pena concordata e condizionalmente sospesa di anni uno di reclusione ed C
7.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73 comma V dPR 309/1990.
Deduce la violazione di legge in relazione alla concessione delle attenuanti generiche solo
con criterio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva ed il vizio motivazionale in
relazione alla verifica della corretta qualificazione giuridica del fatto estla comparazione
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate ed
aspecifiche.
Invero, va rilevato che le circostanze attenuanti generiche non risultano né concordate né
concesse, nemmeno con criterio di equivalenza.
Orbene, come affermato ripetutamente da questa Corte (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez.
Un., n. 10372 del 27.9.1995, Rv. 202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della
sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente,
di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza
dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di
eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la
concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad
essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).
Non può, invece, l’imputato che abbia consentito all’applicazione della pena, rimettere in
discussione gli altri profili oggettivi o soggettivi della responsabilità e non può, in
particolare, proporre in sede di legittimità eccezioni o censure attinenti al merito nè
recriminare sulla qualificazione giuridica del fatto e la ricorrenza delle circostanze o la
congruità della pena a meno che si tratti di statuizioni palesemente illegittime: evenienza
questa che, nel caso di specie, è senz’altro da escludere.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma
che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del
2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Cosi deciso in Roma, il 5.12.2012

delle circostanze prospettate.

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