Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6619 del 27/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6619 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ESPOSITO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
GRAVINA ROBERTO N. IL 19/11/1960
BOMBARDIERE SALVATORE N. IL 04/11/1960
BERTOLINO ANTONINO GIOVANNI N. IL 09/12/1964
avverso l’ordinanza n. 317/2012 GUP PRESSO TRIB.MILITARE di
NAPOLI, del 12/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;
lette/sentite le conclusioni del PG Eneett. 11-11-A-R DR. LUI&I l4 Pr91ALpryiko eRE

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Data Udienza: 27/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 12/11/2014 il G.U.P. presso il Tribunale Militare di Napoli dichiarava la
nullità della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Gravina Roberto, Bombardiere Salvatore e Bertolino Antonio Giovanni in ordine al reato di cui all’art. 234 cod. pen. mil . pace loro ascritto.
Il G.U.P., infatti, riscontrava la diversità tra la contestazione di cui all’avviso di conclusione

scopo della condotta truffaldina descritta ed evidenziava che il contenuto del primo di tali atti
aveva indotto la difesa a non esercitare i diritti ammessi in detta fase.
Avverso la presente decisione la Procura della Repubblica Militare della Repubblica di Napoli
proponeva ricorso per Cassazione, deducendo che il requisito della “sommaria enunciazione del
fatto per cui si procede” risultava soddisfatto anche nel caso in cui la successiva richiesta di
rinvio a giudizio contenga un’indicazione di reato in parte diversa.
Ad avviso della Procura ricorrente, la funzione della norma di cui all’art. 415 bis cod. proc.
pen. doveva ritenersi soddisfatta non dal contenuto dell’imputazione, bensì dal deposito di tutta l’attività compiuta, in ordine alla quale l’imputato è chiamato ad interloquire.
Nel caso in esame, era operata esclusivamente una precisazione terminologica della descrizione del fatto, mentre il senso della contestazione era rimasto inalterato.
Già dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari si comprendeva l’accusa formulata nei
confronti degli imputati e, cioè, la corresponsione alla ditta I.T.O. s.r.l. di una consistente
somma di danaro, nonostante la mancata esecuzione della prestazione dovuta a titolo di corrispettivo da parte di tale società.
In proposito, la Procura ricorrente rilevava l’abnormità del provvedimento del G.I.P., che dichiarava la nullità del decreto di rinvio a giudizio e la restituzione degli atti al P.M., per essere
stato il fatto enunciato in termini parzialmente diversi rispetto a quelli contenuti nell’avviso di
cui all’art. 415 bis cod. proc. pen., in quanto il differente tenore testuale tra tale disposizione e
l’art. 417 cod. proc. pen. rendeva evidente la non sovrapponibilità del contenuto dei due atti,
in ragione della loro diversa funzione e specifica finalità.
Conseguentemente, chiedeva l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza con trasmissione degli atti allo stesso giudice.
Il Sostituto Procuratore Generale Militare presso la Corte di Cassazione dr. Luigi Maria Flamini, mediante requisitoria scritta, concludeva per l’accoglimento del ricorso.
Al riguardo evidenziava che l’art. 415 bis cod. proc. pen. prevede la sola sommaria enunciazione del fatto per cui si procede, mentre l’art. 417, lett. b), cod. proc. pen. richiede
“l’enunciazione chiara e precisa del fatto”.
Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., la difesa del Gravina evidenziava la diversità dei fatti descritti nei due atti processuali: secondo la tesi difensiva, nell’avviso
ai sensi dell’art. 415 bis cod. proc. pen. gli ufficiali risultavano indagati per aver ottenuto, in

ai

delle indagini preliminari e l’imputazione di cui al decreto di rinvio a giudizio, in riferimento allo

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modo fraudolento, dall’Amministrazione della Difesa, il “finanziamento” della somma di C.
98.489,59, traendola in inganno attraverso la redazione di una serie di atti amministrativi, per
poi destinare il danaro alla I.T.O. s.r.I., seppur in assenza di prestazione da parte di
quest’ultima, mentre, nella richiesta di rinvio a giudizio, l’accusa nei confronti degli ufficiali
concerneva l’aver tratto in inganno l’Amministrazione Militare attraverso gli atti amministrativi
sopra descritti, allo scopo di liquidare alla I.T.O. s.r.l. una somma già disponibile, a fronte di un
corso di lingua non effettuato, procurando in tal modo un ingiusto profitto a tale società.

indagini della nuova imputazione, gli avrebbe consentito l’esercizio di una strategia difensiva
diversa, e di richiedere in detta fase un ulteriore interrogatorio, al fine di chiarire la propria posizione.
La difesa del Gravina, conseguentemente, concludeva per la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio.
Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., la difesa del Bombardiere evidenziava che, contrariamente a quanto dedotto dalla Procura ricorrente, l’ordinanza non creava una stasi processuale non altrimenti risolvibile, poiché il provvedimento mediante il quale il
G.U.P. dichiara la nullità del decreto di rinvio a giudizio, lungi dall’essere avulso dal sistema,
costituisce espressione dei poteri riconosciuti dall’ordinamento e che non determina la stasi del
procedimento, potendo il P.M. disporre la rinnovazione degli atti. Inoltre, nel caso in esame la
difesa non riscontrava un’identità tra le imputazioni di cui all’avviso di conclusione delle indagini preliminari e quella contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio.
La difesa del Bombardiere, pertanto, concludeva per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto dal P.M. per manifesta infondatezza dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che nella fattispecie il provvedimento impugnato era emesso dal G.U.P. presso
il Tribunale Militare di Napoli e consisteva nella dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a
giudizio nei confronti di Gravina Roberto, Bombardiere Salvatore e Bertolino Antonio Giovanni
in ordine al reato di cui all’art. 234 cod. pen. mil . pace loro ascritto, avendo riscontrato la diversità tra la contestazione di cui all’avviso di conclusione delle indagini preliminari e
l’imputazione di cui al decreto di rinvio a giudizio.
Peraltro, nei due atti coincidono tutti gli aspetti, concernenti il nucleo essenziale della vicenda: il titolo di reato; i nominativi dei soggetti coinvolti; la natura degli atti perpetrati per realizzare l’ingiusto vantaggio; la società beneficiaria del danaro sottratto alla pubblica amministrazione.
Nel caso in esame, l’organo giudicante ometteva di valutare la funzione svolta dall’avviso
previsto dall’art. 415 bis cod. proc. pen., consistente nell’assicurare il contraddittorio prima

Ad avviso della difesa del predetto imputato, la conoscenza sin dall’epoca di chiusura delle

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dell’eventuale esercizio dell’azione penale da parte del P.M.; tale funzione risulta adempiuta
laddove l’indagato sia posto a conoscenza dei fatti penalmente rilevanti che potrebbero essere
posti a suo carico dal P.M. medesimo.
I fatti stessi, quindi, debbono essere enunciati in maniera da non rendere dubbio l’oggetto
del contraddittorio in parola ma senza la necessità della precisione dei dati temporali e spaziali
nonché delle attribuzioni di responsabilità, posto che l’avviso in questione è finalizzato proprio
a ciò, ossia all’eventuale precisazione di tali elementi mediante l’apporto consapevole dell’inda-

La declaratoria di nullità della citazione a giudizio (o della richiesta di rinvio a giudizio per i
reati per i quali è prevista l’udienza preliminare) è prevista soltanto nell’ipotesi di mancanza
della notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., e non di insufficiente enunciazione del
fatto, considerata la diversa funzione assolta dal citato art. 415-bis cod. proc. pen., rispetto a
quella di cui all’art. 552 o 417 cod. proc. pen..
Mentre l’art. 415-bis cod. proc. pen. richiede la sommaria enunciazione del fatto, l’art. 552 o
417 cod. proc. pen. prevede l’enunciazione del fatto informa chiara e precisa; dal diverso tenore letterale di tali disposizioni discende anche la non sovrapponibilità del contenuto dei due atti.
La differenza si giustifica appunto per la diversa finalità dei due atti, dal momento che col
decreto di citazione a giudizio (o con la richiesta di rinvio a giudizio) si cita per il dibattimento
(o per l’udienza preliminare) una persona per rispondere ad un’accusa specifica; il documento,
cioè, serve anche per formalmente contestare l’accusa che perciò deve contenere una enunciazione chiara e precisa del fatto, mentre l’avviso di conclusione delle indagini non svolge la funzione di contestare il fatto reato, ma riveste uno scopo eminentemente informativo, nel senso
che il P.M. avvisa l’indagato, con riferimento ad una determinata vicenda, della conclusione
delle indagini e della messa a sua disposizione degli esiti delle stesse.
Lo scopo dell’avviso consiste nel porre l’indagato in condizioni di apprestare la sua difesa e di
evitare, mediante l’immediata esposizione delle sue ragioni, un inutile processo. Tali finalità
sono conseguite con una sommaria enunciazione del fatto proprio in quanto lo scopo dell’istituto non consiste nella contestazione del reato, che avverrà in un momento successivo, ma
l’individuazione del procedimento e del fatto sul quale si sono sviluppate le indagini. Nel caso di
specie, poi, non sussiste nessun dubbio in ordine alla riferibilità dell’avviso di conclusione delle
indagini proprio al procedimento concernente il fatto, per il quale era poi emessa la richiesta di
rinvio a giudizio erroneamente dichiarata nulla.
Del resto, la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione
a giudizio ai sensi dell’articolo 416 cod. proc. pen., è consentita soltanto in caso di mancanza
(o di nullità) della previa notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis cod. proc. pen., e non anche
di insufficiente enunciazione del fatto; l’insufficienza, comunque, non era ravvisabile nel caso di
specie, alla luce dell’idoneità delle indicazioni fornite dal P.M. a consentire il raggiungimento
delle finalità tipiche del provvedimento in discussione.

gato.

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Ne deriva che la semplice difformità tra i due atti, avviso e decreto di citazione a giudizio (o
richiesta di rinvio a giudizio), con riguardo ai fatti contestati non è rilevante quando sia certo,
come nel caso in esame, il fatto storico oggetto del procedimento.
La dedotta difformità tra il contenuto dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari di cui
all’art. 415 bis cod. proc. pen. e la richiesta di rinvio a giudizio di cui all’art. 417 cod. proc.
pen. riguarda un unico aspetto, rappresentato dalla finalità della condotta truffaldina, nel primo
caso rappresentata come diretta ad ottenere un indebito finanziamento e, nel secondo,

L’unica differenza ravvisata non incide sui profili fondamentali della contestazione, peraltro,
suscettibile di modifiche anche nel corso del dibattimento, nei limiti e nei modi previsti dagli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen..
Alla luce della predetta ricostruzione in fatto, occorre verificare la natura dell’invalidità del
provvedimento del G.U.P. e, cioè, se essa integri un’ipotesi di nullità o di abnormità.
Sul punto, si ritiene di aderire ai principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in ordine all’individuazione del così detto provvedimento abnorme, per tale sua qualità, ricorribile in Cassazione anche al di fuori del principio di tassatività delle impugnazioni di cui
all’art. 568 cod. proc. pen. (v. Cass., Sez. Un., 26/03/2009 n. 25957, Toni, Rv. 243590; la giurisprudenza prevalente aderiva a tale indirizzo: cfr. Cass., Sez. 2, 13/01/2015 n. 3738, Besio,
Rv. 262374; Sez. 6, 08/05/2014 n. 25810, D.M., Rv. 260069; Sez. 4, 06/02/2014 n. 7377,
Bello, Rv. 259290; Sez. 6, 14/01/2014 n. 5159, Morra, Rv. 258569; Sez. 4,
18/01/2013 n. 10664, Cocco, Rv. 255286 –

contra:

Sez. 1, 14/03/2014 n. 39234, Afrah,

Rv. 260512; Sez. 6, 27/11/2013/28/01/2014 n. 3742, Bonanno, Rv. 258771; Sez. 3,
09/07/2013 n. 42161, Lindegg, Rv. 256974).
Le Sezioni Unite ribadivano la distinzione tra abnormità strutturale o per motivi di funzione,
da un verso, e abnormità così detta funzionale, dall’altro, rappresentando che, nel primo caso,
sì configura l’ipotesi di esercizio di un potere da parte del giudice non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto: abnormità strutturale in senso stretto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale stabilito dalla
norma (carenza di potere in concreto: abnormità di funzione); mentre nella seconda ipotesi
(abnormità funzionale), si verifica una stasi nel processo con impossibilità di proseguirlo.
Uno dei casi di “paralisi” del processo è configurabile nel regresso ingiustificato del procedimento che, altresì, comporti per il P.M. l’esecuzione di un adempimento, che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento. In altre parole, la regressione del procedimento, in fattispecie non stabilite dalla norma, non costituisce di per sé indice non equivoco
dell’abnormità dell’atto; in particolare, l’atto non è qualificabile come abnorme se assunto
nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento, pur se i presupposti che ne legittimano l’emanazione erano ritenuti sussistenti in modo errato, e se il P.M. possa sempre rinnovare l’atto senza incorrere in alcuna nullità: in tal caso, si avrebbe, infatti, un atto eventualmente illegittimo ma non abnorme.

un’illecita liquidazione.

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Ebbene, nel caso di specie, il G.U.P. del Tribunale Militare di Napoli sicuramente emetteva il
provvedimento contestato nell’esercizio del potere a lui spettante di verificare la ritualità del
decreto di citazione a giudizio, e ancorché il suo atto fosse erroneo, si sarebbe verificata una
regressione del procedimento che però non determina abnormità, in quanto l’incombente richiesto al pubblico ministero con la restituzione degli atti, è sicuramente eseguibile senza che
ricorra alcun impedimento e senza incorrere in alcun atto nullo.
Ne consegue che il detto provvedimento del Tribunale non presenta profili di abnormità, poi-

tale da pregiudicare in concreto lo sviluppo successivo del processo, che potrà proseguire con
un eventuale nuovo decreto di citazione a giudizio.
Pertanto, trattandosi di atto abnorme e non nullo, deve escludersi in radice la possibilità di
impugnazione, con la conseguenza che il ricorso va dichiarato inammissibile.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma il 27 novembre 2015.

ché il contenuto dell’atto non è avulso dal sistema e la portata dei suoi effetti non è di entità

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