Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6614 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6614 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LUCIDI FRANCESCO MAGIAR N. IL 28/05/1983
avverso l’ordinanza n. 108/2014 TRIBUNALE di ROMA, del
01/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 24/11/2015

Sulle conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del dott. P. Fimiani, Sostituto
procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso,
come da requisitoria depositata il 26 marzo 2015, chiedendo annullarsi con rinvio il
provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza 13-2-2007 il Tribunale di Roma applicava a Lucidi Francesco

attenuanti generiche e della diminuente del rito, la pena di anni tre mesi quattro,
giorni dieci di reclusione ed C 40.000,00 di multa, per il delitto di cui all’art. 73 d.p.r.
9 ottobre 1990, n. 30. La condotta era relativa alla detenzione di 23 panetti di
hashish, pari a Kg 2,218. Il Tribunale di Roma con ordinanza dell’1.12.2014, in
funzione di giudice dell’esecuzione, per effetto della sentenza della Corte
costituzionale n. 32/2014, rideterminava la pena in quella di anni due mesi otto di
reclusione ed euro 20.000 di multa. Erano applicati i criteri di cui all’ad 133 cod.
pen. e la sanzione era commisurata alla quantità di sostanza ed alle modalità del
fatto. L’intervenuta nuova determinazione induceva il rigetto della richiesta di
sospensione condizionale della pena, per il superamento del limite edittale di pena,
che avrebbe permesso il riconoscimento di quel beneficio.
Si è, infine, respinta la richiesta di imputare la pena pecuniaria a quella detentiva già
sofferta.

2. Ricorre per cassazione Lucidi Francesco Magiar, a mezzo del suo difensore e
premette che:
– l’imputato aveva sofferto un periodo di custodia cautelare in detenzione domiciliare
dal 12-2-2007 al 25-6-2007 per un totale di mesi quattro e giorni tredici;
– aveva beneficiato dell’affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell’art. 54
0.P.;
– il tribunale di sorveglianza aveva dichiarato estinta la pena detentiva inflitta con la
sentenza indicata ed aveva respinto la richiesta di estinzione per la pena pecuniaria
di euro 40.000 anche inflitta all’istante.
– al giudice dell’esecuzione erano state poste due questioni distinte all’esito della
declaratoria di incostituzionalità operata con sentenza n. 32/2014. La prima era
relativa alla pena detentiva dichiarata estinta e la seconda alla pena pecuniaria
ancora non posta in esecuzione.
Ciò posto osserva che si sarebbe dovuta operare la rideterminazione della pena
applicando criteri di imputazione aritmetica,

secondo

il

meccanismo di

determinazione della fase di cognizione e senza entrare nel merito. Diversamente si

2

(ii

Magiar, ex art. 444 cod. proc. pen., previo riconoscimento delle circostanze

sarebbe violata la regola di intangibilità del giudicato.

In questa direzione ed

applicando detti criteri si è ritenuto che la pena dovesse essere pari a mesi otto
giorni 24 di reclusione ed euro 11.184,00 di multa.
Ciò, si è ribadito, avrebbe permesso il riconoscimento del beneficio invocato della
sospensione condizionale.
Ancora l’istante aveva richiesto di convertire la pena pecuniaria della multa di euro
11.184 (o quella ritenuta di giustizia) e di dichiararla estinta per aver il Lucidi
stesso scontato un periodo di carcerazione superiore ai parametri legali. In subordine

Tutto ciò premesso, deduce:
-Inosservanza ed erronea applicazione della legge con riferimento agli artt. 649, 666
e 673 cod. proc. pen., art. 25 Cost e art. 2 cod. pen. Aveva errato il giudice di
merito nella rivalutazione dei criteri di determinazione della pena, poiché si era in
definitiva addentrato in un campo che era stato già scrutinato dal giudice di
merito. Avrebbe piuttosto dovuto, in fase di nuova determinazione del trattamento
esecutivo, individuare una metodica che traslasse la scelta di allora e la rendesse
coerente con la cornice normativa subentrata. L’accoglimento della richiesta avrebbe
permesso di far rientrare la pena nei limiti della sospensione condizionale della
pena.
-Inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento agli artt. 666,
657 cod. proc. pen. e 135 cod. pen. , per non aver operato la conversione della
pena detentiva in eccesso in pena pecuniaria omologa e con successiva estinzione
della stessa ai sensi dell’ad 657 cod. proc. pen. e per non aver richiesto ai sensi
dell’ad 666 comma 5 cod. proc. pen. le informazioni relative allo stato detentivo del
ricorrente. La richiesta era stata respinta dal giudice dell’esecuzione con la
motivazione che non vi era prova che anche la pena determinata in esecuzione fosse
superiore a quella effettivamente scontata. Il ricorrente aveva svolto affidamento in
prova dal 15.4.2008 al 26.11.2010, per mesi 31 e 22 giorni. Sarebbe bastato
richiedere approfondimenti per ottenere riscontro. Ciò dimostrava che il
presofferto era di entità superiore a quanto scontato. Lamenta il ricorrente sul
punto di aver posto anche il quesito sul se l’affidamento in prova potesse essere
considerato alla strega del criterio di cui all’art 135 cod. pen., secondo cui un giorno
di detenzione equivale ad euro 250,00. In questa prospettiva v’era obbligo di
dichiarare estinta la pena pecuniaria.

3. Il P.G ha chiesto annullamento con rinvio della decisione essendo intervenuta la
sentenza delle SS UU di questa Corte in data 26.2.2015 e dovendo solo all’esito
della decisione stessa, secondo il criterio individuato dalla sentenza indicata,
valutarsi le ulteriori questioni.

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aveva chiesto di applicare la pena pecuniaria sopra indicata.

4. Il ricorrente ha prodotto nuova memoria, depositata in data 9.11.2015. Ha
ribadito che la determinazione in sede esecutiva va operata secondo un tracciato
che limiti ogni valutazione discrezionale e, se ciò non sia possibile, riaprendo il
giudizio ed inserendo elementi di valutazione soggettiva. Si è, poi, osservato che la
pena detentiva era stata scontata con la conseguenza che questa Corte si sarebbe
dovuta pronunciare necessariamente sul principio affermato e, cioè, sulla possibilità
di imputare la detenzione presofferta, anche in regime di affidamento in prova, alla

OSSERVA IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
Due sono essenzialmente le questioni su cui si appuntano i motivi di ricorso.
La prima riguarda la determinazione della pena

in executivis ed i criteri adottati

per la sua quantificazione da parte del giudice dell’esecuzione.
La seconda concerne la richiesta di imputare la pena espiata “in eccesso” ed in
regime di affidamento in prova al servizio sociale, alla multa applicata al Magiar,
seguendo il criterio di ragguaglio di cui all’ad 135 cod. pen..

1.1.1 motivi di doglianza relativi alla prima

questione sono manifestamente

infondati.
Questa Corte ha affrontato la questione della rideterminazione della pena illegale, in
fase esecutiva, per effetto della declaratoria di incostituzionalità a seguito della
sentenza costituzionale n. 32 del 2014. Tra i diversi nodi problematici è stato
scrutinato anche quello relativo al quomodo della determinazione sanzionatoria nei
procedimenti definiti con rito ex art. 444 cod. proc. pen. La pena, applicata a
seguito di patteggiamento, deve essere rideterminata anche là dove formalmente
rientri nella cornice edittale, della norma “ripristinata” (S.U. 26-2-2015, 3azuli).
Sulle modalità di intervento in fase esecutiva, nonostante un primo indirizzo avesse
sostenuto un criterio oggettivo di tipo matematico-proporzionale (Sez. 1, n. 51844
del 25/11/2014, Riva, rv. 261331; Sez. 1, n. 52980 del 18/11/2014, Cassia), le S.U.
di questa Corte hanno individuato l’alternativa che presuppone, anche in sede di
esecuzione, l’accordo delle parti, con determinati limiti e condizioni. In assenza di
norme specifiche è stato individuato l’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. come
modello processuale per rivedere la pena, oggetto della sentenza di patteggiamento
irrevocabile. Le parti possono sottoporre al giudice dell’esecuzione un nuovo accordo;
in caso di fallimento, per dissenso del pubblico ministero, l’art. 188 cit. prevede che il
giudice dell’esecuzione possa comunque accogliere la richiesta, qualora ritenga il
4

pena pecuniaria residua e oggetto di determinazione.

dissenso ingiustificato; allo stesso modo, se il pubblico ministero resta inerte, deve
ritenersi che il giudice possa accogliere la proposta del condannato, potendo valutarsi
l’inerzia del primo come un implicito dissenso. In caso di pena ritenuta incongrua, il
giudice dell’esecuzione può rideterminarla autonomamente, in quanto vi è l’obiettiva
esigenza di eliminare una sanzione divenuta illegale.
Nell’esercizio del potere di “riqualificazione sanzionatoria” deve escludersi che il
giudice dell’esecuzione possa operare in base al criterio matematico-proporzionale,
realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione nel tentativo

parti. Il giudice dovrà, invece, procedere alla rideterminazione della pena utilizzando
i criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., secondo i canoni dell’adeguatezza e della
proporzionalità che tengano conto della nuova cornice edittale. Sulla scorta di
quanto premesso le S.U. di questa Corte hanno affermato i seguenti principi di
diritto:

“La pena applicata con la sentenza di patteggiamento avente ad oggetto uno

o più delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c. d. leggere,
divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale,
può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale”; – “La
rideterminazione avviene ad iniziativa della parti, con le modalità di cui al
procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo al giudice
dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo”; – “In caso di
mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell’esecuzione
provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e
133 cod. peri.” ( S. U. n. 37107 del 26-2-2015 Cc. (dep. 15/09/2015) rv. 264859,
Marcon).

1.1.2. Nel caso di specie, dunque, la procedura seguita in rito, per determinare la
nuova sanzione può ritenersi sostanzialmente corretta ed in linea con il modello
tracciato dagli arresti giurisprudenziali sopra enucleati e più recenti di questa Corte.
Risulta, invero, che sulla richiesta di determinazione della pena avanzata
nell’interesse del Lucidi sia stata fissata l’udienza in camera di consiglio. E’ stato,
pertanto, assicurato il contraddittorio e sentito il P.M.
Il giudice ha espresso un giudizio di non congruità sulla pena proposta, ha
considerato non corretto il criterio di calcolo aritmetico-proporzionale ed ha
determinato ex officio la sanzione conforme alla nuova cornice edittale. I particolari
enucleati, e nella specie, la fissazione dell’udienza in camera di consiglio inducono a
ritenere, a fronte della pena espressamente proposta dal Lucidi, che in via
sostanziale si sia svolto un tentativo di nuovo accordo e che esso sia appunto
fallito, non avendo le parti trovato convergenza, essendo stata la perià indicata
determinata,. secondo un criterio aritmetico-proporzionale.
5

di replicare le medesime scelte operate nell’originario accordo intervenuto tra le

Ciò, pertanto, legittimava secondo il modello astratto il giudice dell’esecuzione
all’esercizio dei poteri officiosi, che si sono, appunto, concretizzati nella rinnovazione
del giudizio di proporzione tra cornice edittale ripristinata e lesività concreta del
fatto, secondo i parametri indicati dall’art 133 cod. pen..
La questione rilevante, tuttavia, nel caso di specie sarebbe altra.
La giurisprudenza di questa Corte nel tracciare le condizioni per il nuovo esercizio del
potere di determinazione sanzionatoria ha indicato limiti strutturali d’ordine, tra i
quali, appunto, ai fini che qui rilevano, quello del rispetto dei cd. rapporti esauriti.

della pena la circostanza che il soggetto abbia, appunto, scontato interamente la
sanzione di cui si chiede nuova determinazione.
In particolare, le Sezioni Unite hanno così individuato il limite di rilevanza della
pronunzia di incostituzionalità rispetto al giudicato: … l’aspetto decisivo, che segna
invece il limite non discutibile di impermeabilità e insensibilità del giudicato anche
alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
applicata è costituito dalla non reversibilità degli effetti, giacché il citato art. 30
impone di rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel
frattempo irreversibili perché già consumati, come nel caso di condannato che abbia
già scontato la pena …: l’esecuzione della pena implica infatti l’esistenza di un
rapporto esecutivo che nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la
consumazione o l’estinzione della pena. Sino a quando l’esecuzione della pena è in
atto il rapporto esecutivo non può dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata
costituzionalmente illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono
essere rimossi (Sez. U, Sentenza, n. 42858 del 29/05/2014 Cc. (dep. 14/10/2014),
Gatto, Rv. 260696).
Di converso, nel caso di specie, nonostante si fosse verificata detta condizione e il
Lucidi avesse interamente scontato la pena detentiva – il Tribunale di sorveglianza di
Roma aveva dichiarato estinta la pena detentiva in data 8-5-2012, in misura
alternativa (affidamento in prova) – il giudice dell’esecuzione ha provveduto a
rideterminare anche quella sanzione. Ciò è avvenuto in difetto d’un presupposto la
cui ricorrenza, di converso, sarebbe stata condizione necessaria per il legittimo
esercizio di quella potestà.
La mancata impugnazione sul punto ha, tuttavia, prodotto il consolidarsi degli effetti
legati al provvedimento ed è, dunque, preclusa ogni ulteriore valutazione.
Quanto premesso impone la declaratoria di inammissibilità sul motivo di ricorso
articolato nella parte relativa.
Il Lucidi non aveva diritto alla nuova determinazione della pena detentiva, perché già
scontata; in ogni caso la sanzione rideterminata è stata quantificata correttamente,
in ossequio ai principi indicati da questa Corte. E’ stato correttamente rinnovato il
6

In ambito siffatto si è osservato che risulterebbe ostativo alla nuova determinazione

giudizio di proporzione tra lesività del fatto e cornice edittale con autonoma e distinta
verifica sui parametri di cui all’ad 133 cod. pen. La pena originaria di anni tre mesi
quattro giorni dieci di reclusione ed euro 40.000 di multa, originariamente
concordata è stata ridotta a quella di anni due mesi otto di reclusione ed euro
20.000 di multa. Non sussistono i vizi lamentati.

2. Il secondo tema prospettato con i motivi di ricorso è relativo alla imputazione del
periodo detentivo scontato in misura alternativa (affidamento in prova) ed “in

sanzione della multa ancora non riscossa.
La questione è manifestamente infondata.
Il Tribunale di sorveglianza di Roma in data 8-5-2012 ha invero dichiarato estinta
la pena detentiva per esito positivo dell’affidamento ed ha respinto la richiesta di
estinzione avanzata anche in relazione alla pena pecuniaria.
Non sussistono le condizioni per operare un’interpretazione che induca ad
imputare alla pena pecuniaria della multa il periodo espiato in affidamento in prova
al servizio sociale.
Non vale all’uopo richiamare il criterio di ragguaglio di cui all’alt 135 cod. pen.
Infatti, i casi in cui è possibile operare, attraverso l’impiego del criterio in questione,
sono predeterminati ex lege. Tra questi non è prevista la fungibilità tra affidamento
in prova e pena pecuniaria.
L’affidamento è misura alternativa alla detenzione, che ha struttura e carattere
diverso da uno status custodiale in senso stretto.
Ai sensi dell’ad 657 comma 3 cod. proc. pen., affinché si possa imputare alla pena
pecuniaria quella espiata sine titulo deve trattarsi di pene espiate in regime detentivo
in senso stretto.
L’art 657 cod. proc. pen. non è suscettibile di interpretazione allargata proprio per il
tenore lessicale della disposizione ed in ragione dello scopo di limitare, appunto, i
criteri di fungibilità tra pene ai soli casi previsti dalla legge.
Nel caso di specie, a prescindere dall’assenza di un presupposto materiale che
legittimava la nuova determinazione della pena, pur operata dal giudice
dell’esecuzione, non sussistono le condizioni per procedere all’invocata imputazione
secondo il modello di conversione di cui all’art 135 cod. pen.
Il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna al pagamento delle spese
processuali. Giusti motivi inducono a non imporre il versamento di somme aggiuntive
a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

7

b

eccesso”, rispetto alla pena rideterminata con il provvedimento impugnato, alla

(Riservala deLsh5iie all’udienza de

A scioglimento della riserva adottata

ic ‘ara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
*Ne kutZ.
Così deciso in Roma, il 24-26=33 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

GQ

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