Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6613 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6613 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli nel
procedimento nei confronti di Gionta Aldo nato a Torre Annunziata (NA) il
18/2/1972 avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, sezione del riesame in
data 25/7/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore generale,

dott.ssa Elisabetta Cesqui, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
della sentenza impugnata;
uditi per il ricorrente gli avvocati Giovanni Tortora e Domenico Nicola Balzano che
hanno concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 15/5/2013 la Corte d’Appello di Napoli rigettava
l’istanza volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare
della custodia in carcere applicata nei confronti di Gionta Aldo per
1

Data Udienza: 09/01/2014

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)

decorrenza dei termini di fase di custodia cautelare ai sensi dell’art. 304
comma 6 cod. proc. pen. relativi al giudizio di appello.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva appello l’imputato sostenendo
che il termine massimo di fase, decorrente dalla pronuncia della sentenza di
primo grado, fosse pari a due anni (anni uno ex art. 303 comma 1 lett. c) n.
2 raddoppiato ex art. 304 comma 6 cod. proc. pen.) e non a tre anni, in
quanto il parametro di riferimento sarebbe quello della pena inflitta ritenuta

1.2. Il Tribunale di Napoli, sezione del riesame, accoglieva l’appello proposto
dall’imputato, dichiarando la perdita di efficacia della misura cautelare della
custodia in carcere applicata nei confronti di Gionta Aldo e disponendo la
liberazione dello stesso, se non detenuto per altra causa.

2.

Ricorreva per Cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di

Napoli, sollevando il seguente motivo di gravame: violazione e falsa
applicazione dell’art. 304, comma 6 cod. proc. pen. Ci si duole, in
particolare, che si sia fatto riferimento alla pena irrogata in concreto e non
a quella edittale prevista per il reato ritenuto in sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei termini che seguono

con conseguente annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
3.1. Deve premettersi che l’attuale ricorrente Gionta Aldo è stato
sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere in relazione al
reato di cui all’art. 416 bis commi 1, 2, 3, 4, 5 cod. pen. con ordinanza
emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del
17/10/2008. Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Napoli, in data 20/12/2010, lo stesso Gionta, all’esito del
giudizio abbreviato, è stato riconosciuto colpevole del reato ascrittogli e
condannato alla pena di anni quattordici di reclusione; nell’occasione il
giudice di prime cure, ritenuta la continuazione con i reati di cui alla
sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 3/5/2004 irrevocabile il
20/9/2005 con la quale Gionta Aldo era stato condannato alla pena di anni
ventisei e mesi undici di reclusione, ha rideterminato, ai sensi dell’art. 187
disp. att. cod. proc. pen., la pena complessiva in anni trenta di reclusione.
La suddetta decisione di primo grado è stata confermata con sentenza della

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k-

la continuazione, pena pari ad anni tre e mesi uno di reclusione.

Corte d’Appello di Napoli emessa il 11/3/2013.
Nel corso del giudizio di secondo grado e segnatamente all’udienza
del 7/5/2012 la Corte d’Appello disponeva, ai sensi dell’art. 304 comma 2
cod. proc. pen., la sospensione dei termini di custodia cautelare, stante la
complessità del dibattimento. Detti termini venivano ulteriormente sospesi
per il periodo di novanta giorni decorrente dal 11/3/2013, fissato per il
deposito dei motivi.

dal Gionta era stata presentata nella fase che va dall’emissione della
sentenza di primo grado alla pronuncia della sentenza di appello, le cui
scansioni temporali sono fissate nell’art. 303 comma 1 lett. c), sulla base
del parametro della pena irrogata con la sentenza di primo grado, in nove
mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre
anni; un anno, se vi è stata condanna alla reclusione non superiore a dieci
anni ed un anno e sei mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o
della reclusione superiore a dieci anni.
3.2. Ricostruite nei termini che precedono le fasi processuali nelle quali è
intervenuto il provvedimento impugnato ed il contesto normativo
nell’ambito del quale esso deve essere valutato, rileva il Collegio che la
questioni poste all’esame del giudice di legittimità attraverso il ricorso
proposto dal RM. presso il Tribunale di Napoli attengono ad un duplice
profilo: in primo luogo si tratta di stabilire se per determinare i termini
massimi di fase della custodia cautelare, nelle previste ipotesi di
sospensione degli stessi tassativamente indicate nell’art. 304 commi 1 e 2
cod. proc. pen., occorra fare riferimento, come sostiene il RM. ricorrente,
alla pena edittale prevista per il reato contestato o per il quale vi è stata
condanna, dovendosi prescindere dalla pena inflitta in concreto; oppure se,
ai medesimi fini, il parametro di riferimento non possa che essere la pena
complessivamente inflitta. In secondo luogo, verificato, sulla base delle
considerazioni che seguono, che, nel caso di specie, il parametro di
riferimento non può essere che quello della pena irrogata, occorrerà
stabilire con quali modalità di calcolo, alla luce delle norme contenute nel
codice penale, detta pena debba essere determinata ai fini indicati della
determinazione della durata del termine massimo di fase.
3.3. L’art. 304 cod. proc. pen. prevede, nei primi due commi, le ipotesi in
cui i termini previsti dall’art. 303 cod. proc. pen. possono essere sospesi;
nel caso di specie, nella ricorrenza della fattispecie prevista nel comma 2

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L’istanza di cessazione di efficacia della misura cautelare avanzata

del citato art. 304 cod. proc. pen., la Corte d’Appello di Napoli, con
ordinanza del 7/5/2012, aveva disposto la sospensione della decorrenza dei
termini di custodia cautelare per tutta la durata del giudizio di secondo
grado. Ora il dettato normativo, nei commi successivi dell’art. 304 cod.
proc. pen., oltre a disciplinare la procedura attraverso la quale la
decorrenza dei termini di custodia cautelare può essere sospesa (commi 3,
4 e 5), prevede delle precise limitazioni temporali, sia pure, come si dirà,

sia pure in presenza di una disposta sospensione dei termini, il legislatore,
come si evince dal tenore letterale della disposizione in esame (art. 304
comma 6 cod. proc. pen.), ha individuato un duplice un duplice criterio,
ove l’utilizzo dell’uno vale ad escludere il ricorso all’altro: in primo luogo si
prevede che la durata della custodia cautelare, in caso di sospensioni della
decorrenza dei relativi termini, non possa mai superare il doppio dei termini
previsti per le varie fasi dall’art. 303 cod. proc. pen., con la precisazione
che in detto calcolo non si tiene conto dell’ulteriore aumento previsto per la
fase che precede la sentenza di primo grado per i reati di cui all’art. 407
comma 2 lett. a) cod. proc. pen. (art. 303 comma 1 lett. b) n. 3 bis cod.
proc. pen. ); in secondo luogo, ove il calcolo si riveli più favorevole per la
persona sottoposta alla privazione della libertà personale, il limite
invalicabile è determinato facendosi riferimento ai due terzi del massimo
della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in
sentenza, prevedendosi che la pena dell’ergastolo sia equiparata alla pena
massima temporanea. Quindi, si ribadisce, per precisa disposizione
normativa, il ricorso a questa seconda e diversa modalità di calcolo della
durata massima della custodia cautelare, in caso di sospensione della
decorrenza dei termini, è imposta solo, ove la stessa determini un risultato
più favorevole per il soggetto indagato o imputato; ove ciò non sia, il
criterio da applicare non potrà che essere quello sopra enunciato che fa
riferimento ai termini fissati nell’art. 303 comma 1 cod. proc. pen.
Si prevede, infine, che nel computo del suddetto termine massimo,
calcolato con le indicate modalità, non si debba tener conto del periodo di
sospensione determinato da un rinvio o da una sospensione del
dibattimento per mancata presentazione o allontanamento o mancata
partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o
più imputati (art. 304 comma 1 lett. b) cod. proc. pen.); ciò però solo al
limitato fine di stabilire la durata massima dei termini di fase e non anche

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non assolute, alla richiamata facoltà. Per determinare tali limiti invalicabili,

per determinare la durata complessiva della custodia cautelare.
3.4. Ed è certamente pacifico ed indiscusso, come più volte affermato da
questa Corte di legittimità (sez. 6 n. 8734 del 12/12/2007, Rv. 239419;
sez. 1 n. 3638 del 17/12/2009, Rv. 246313), che, ove si ricorra alla ora
citata seconda modalità di calcolo del termine massimo, debba farsi
riferimento, come argomenta correttamente il RM. ricorrente,
esclusivamente alla pena edittale prevista dalla legge per il reato

inflitta in concreto. Difatti se il legislatore ha parlato di «reato ritenuto in
sentenza>> ha inteso necessariamente riferirsi al reato per il quale il
soggetto sottoposto alla misura cautelare è stato riconosciuto colpevole dal
giudice di merito, cioè alla qualificazione giuridica del fatto in relazione al
quale è intervenuta la condanna e, segnatamente al criterio fisso della
pena edittale prevista per lo stesso, non potendosi, nell’ipotesi in esame,
fare ricorso alla misura variabile, in relazione a ciascun caso concreto, della
pena inflitta. Ciò in quanto detta modalità di calcolo dei termini massimi ha
natura residuale, essendo applicabile soltanto se più favorevole per il
soggetto in vinculis; non a caso, proprio sulla base di tale constatazione, la
Corte Costituzionale ha ritenuto conforme alla Costituzione il calcolo del
termine rapportato alla pena edittale massima del reato per il quale è
intervenuta la condanna (Corte Cost. ord. n. 397 del 2000).
Ma il Pubblico Ministero ricorrente omette di raccordare la
correttezza della premessa giuridica da cui è partito con la specificità del
caso concreto affrontato nel provvedimento impugnato. Qui, difatti, dalla
lettura dello stesso, si evince chiaramente che i giudici del riesame di
Napoli hanno inteso correttamente riferirsi al primo dei criteri sopra
enunciati, cioè a quello che prende come parametro di riferimento per la
fissazione dei termini massimi di durata della custodia cautelare, in caso di
sospensione della decorrenza degli stessi, il doppio dei termini fissati
nell’art. 303 comma 1 cod. proc. pen. Ed in questa fattispecie astratta il
riferimento non potrà che essere quello concreto della pena irrogata con la
sentenza non ancora definitiva, facendosi riferimento alla pena edittale
soltanto nelle ipotesi previste nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art.
303, nelle quali una sentenza di condanna non è ancora intervenuta e di
conseguenza unico parametro di riferimento possibile è quello della pena
prevista per il reato per il quale si procede.
3.5. Altrettanto corrette, sia pure, come si vedrà,

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solo in astratto,

contestato o ritenuto in sentenza, a nulla rilevando la misura della pena

appaiono le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, che
si rifanno all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (sez. U n.
23381 del 31/5/2007, Rv. 236393; sez. F n. 35012 del 4/9/2012, Rv.
253399), in base alla quale si è ritenuto che, in tema di durata della
custodia cautelare, ai fini dell’individuazione del termine di fase allorché vi
sia stata sentenza di condanna, in primo o in secondo grado, occorre avere
riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti i reati per i quali è in

seguito dell’applicazione del cumulo materiale o giuridico per effetto del
riconoscimento del vincolo della continuazione.
Ma a questo punto l’argomentare del Tribunale si rivela in contrasto
le premesse in fatto sopra riportate risultanti in modo inequivoco dagli atti
del procedimento e con il sistema normativo delineato; segnatamente si
afferma nel provvedimento impugnato: « … essendovi stata, in concreto,
una volta ritenuta la continuazione, condanna a pena inferiore ad anni
dieci, il termine di fase è pari ad anni uno>>. Ciò risulta palesemente
contraddetto, come precisamente ha argomentato il P.M. ricorrente, dal
dispositivo della sentenza di primo grado, che, come sopra evidenziato, ha
condannato l’imputato alla pena di quattordici anni di reclusione e, all’esito
dell’unificazione del reato sotto il vincolo della continuazione con altri reati
per i quali lo stesso era stato già giudicato con sentenza irrevocabile, ha
rideterminato la pena complessiva in anni trenta di reclusione e non,
affatto, come riportato nel provvedimento impugnato in anni tre e mesi uno
di reclusione. Deve ritenersi al riguardo, mancando in atti qualsiasi
concreta indicazione, che la suddetta porzione di pena rappresenti soltanto
la differenza fra la pena irrogata con la sentenza già divenuta irrevocabile
(anni ventisei e mesi undici di reclusione), i cui reati sono stati ritenuti
avvinti dal vincolo della continuazione con quello di cui al presente ricorso,
ed il limite massimo di aumento della pena della reclusione fissato dall’art.
78 cod. pen. in trenta anni di reclusione. Ritiene il Collegio che detto limite,
previsto dal codice penale come temperamento al principio del cumulo
materiale delle pene, non possa incidere sull’individuazione del parametro
di riferimento da utilizzarsi per calcolare il termine di fase, che, per quanto
sopra si diceva, deve essere rapportato alla pena in concreto irrogata per
il reato in relazione al quale è in corso di applicazione la misura della
custodia cautelare, pena che, nel caso di specie, è quella di anni
quattordici di reclusione.

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corso la misura cautelare, e quindi alla pena unitariamente quantificata a

3.6. A tutto ciò consegue che, correttamente, la Corte d’Appello di Napoli,
nel provvedimento poi annullato dal Tribunale del riesame, aveva ritenuto
non decorso il termine massimo di fase previsto per il giudizio di appello;
difatti, essendo stata irrogata in primo grado una pena superiore a dieci
anni di reclusione, nel caso di specie pari a quattordici anni, e ricorrendo
l’ipotesi di cui all’art. 303 comma 1 lett. c) n. 3 cod. pen., il termine di fase
relativo alla misura cautelare applicata nei confronti di Gionta Aldo

sospensione disposta ai sensi dell’art. 304 comma 2 cod. proc. pen., veniva
raddoppiato fino a tre anni e non era ancora decorso all’atto della
presentazione dell’istanza da parte del difensore.
Essendo poi intervenuta, in data 11/3/2013, prima del decorso del
termine così come sopra computato, la sentenza di secondo grado,
occorreva farsi riferimento esclusivamente al termine di durata complessiva
della custodia cautelare, che per il caso di specie risulta fissato dall’art. 303
comma 4 cod. proc. pen. in sei anni, termine neppure questo decorso.

4. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte il provvedimento impugnato
deve essere annullato senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi alla
Corte d’Appello di Napoli per l’ulteriore corso. La cancelleria provvederà alle
comunicazioni previste dall’art. 28 reg. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. att. cod.
proc. pen.

Così deliberato in camera di consiglio, il 9 gennaio 2013

aria Carrelli Palombi di Montrone

Il Pr sidente
/
io Esposito
Dott. A

ammontava ad un anno e sei mesi; detto termine, per effetto della

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