Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6612 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6612 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Russo Gennaro, nato il 10.7.1951 avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Bari, del 13.5.2013. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Elisabetta Cesqui, il quale ha
concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito
l’avv. Alessandro Niccolò per l’imputato, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari, decidendo – a
seguito della decisione della sezione 6a di questa corte in data 10 dicembre
2012, n. 11428, di annullamento con rinvio per nuovo esame della precedente
decisione di detto tribunale in data 5.4.2012 – sulla richiesta di riesame
promossa nell’interesse di Russo Gennaro avverso l’ordinanza del GIP del
tribunale di Bari del 8/3/2012, che aveva applicato allo stesso la misura
cautelare degli arresti domiciliari, premettendo che nelle more del giudizio la
misura cautelare in oggetto è stata revocata, ha tuttavia respinto

Data Udienza: 09/01/2014

l’impugnazione confermando il provvedimento impugnato.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’indagato si contesta violazione di
legge in relazione all’art. 319 cod. pen. e vizio di motivazione, nonché
violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. lamentando che il tribunale avrebbe
erroneamente ritenuto integrati i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato
in oggetto, contravvenendo per di più al canone del rinvio. A sostegno
dell’affermazione si svolge una dettagliata ricostruzione della vicenda storica,

provvedendo a fornire alternative interpretazioni del materiale istruttorio in
atti, da pagina 14 a pagina 26 del ricorso.
In un ulteriore motivo si ribadiscono le doglianze già articolate con particolare
riguardo alla insussistenza, sotto il profilo soggettivo, dell’atto contrario ai
doveri di ufficio. Anche a tal riguardo si procede ad attenta ricostruzione della
vicenda da pagina 27 pagina 41 del ricorso.
La successiva doglianza approfondisce la critica circa l’assenza di qualsiasi
utilità riconducibile all’attività del pubblico ufficiale, ribadendo le lamentate
violazioni di legge e i lamentati vizi di motivazione e procedendo sempre alla
analitica ricostruzione dei fatti, questa volta da pagina 42 a pagina 49 del
ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di
misure cautelari, l’interesse dell’indagato ad impugnare permane anche nel
caso in cui, nelle more del procedimento “de libertate”, la misura cautelare
originaria sia stata sostituita con altra meno afflittiva – nella specie arresti
domiciliari sostituiti con il divieto di dimora – se i motivi dell’impugnazione
hanno ad oggetto l’esistenza dei presupposti applicativi indicati dagli art. 273
e 280 cod. proc. pen., poiché tali condizioni di applicabilità devono essere
verificati in relazione a qualsiasi specie di provvedimento coercitivo (Cass.
Sez. H, 18.5.2012, n. 31556). Nel caso di specie, tuttavia, il provvedimento
genetico aveva disposto la misura degli arresti domiciliari, la quale è stata
successivamente revocata. Cosicché l’interesse all’impugnazione non può
ritenersi in se stesso necessariamente sussistente attesa l’integrale
remissione in libertà dell’indagato. A tale ultimo riguardo, per la
giurisprudenza di questa corte l’interesse dell’indagato ad ottenere una
pronunzia, in sede di riesame, di appello o di ricorso per cassazione, sulla
legittimità dell’ordinanza che ha applicato o mantenuto la misura cautelare,
nel caso in cui quest’ultima sia stata revocata nelle more del procedimento, /

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non può presumersi ma deve essere dedotto dall’indagato, ed il giudice ne
deve valutare la concretezza ed attualità (Cass. Sez. VI, 6.12.2007, n. 2210).
Nella decisione ora citata, questa corte ha osservato che anche l’eventuale
interesse dell’indagato a precostituirsi il titolo in funzione della futura richiesta
di equa riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314, comma 2,
c.p.p., deve essere manifestato in termini positivi ed univoci.
Tanto premesso, deve osservarsi che nel diffuso ricorso in esame non è in

nessun modo chiarito – né in punto di concretezza e nemmeno in punto di
attualità – l’eventuale sussistenza di un interesse dell’indagato alla pronunzia
richiesta. Invece, nella procura speciale posta in calce al detto ricorso (v. p.
50 del documento) il mandato risulta attribuito al difensore nella forma della
procura speciale affinché, si legge, “in vista dell’eventuale procedimento
finalizzato al conseguimento della riparazione per l’ingiusta detenzione,
proponiate impugnazione dinanzi alla Suprema Corte di cassazione avverso il
provvedimento con il quale il Tribunale della libertà di Bari ha rigettato il mio
ricorso in materia di libertà personale”. La frase “in vista dell’eventuale
procedimento finalizzato al conseguimento della riparazione per l’ingiusta
detenzione” è altresì sottolineata, onde richiamare sulla stessa la massima
attenzione del lettore. Nella sentenza di questa corte di annullamento con
rinvio si legge che “la difesa ha reso noto, in sede di udienza avanti a questa
Suprema Corte, che il suo assistito è attualmente in stato di libertà, essendo
stata nelle more revocata la misura cautelare degli arresti domiciliari nei suoi
confronti applicata. Al riguardo, deve ritenersi tuttora sussistente l’interesse a
coltivare l’impugnazione secondo il principio generale stabilito dall’art. 568
c.p.p., avendo la difesa, peraltro munita di procura speciale in vista di un
eventuale procedimento finalizzato al conseguimento della riparazione per
ingiusta detenzione, espressamente manifestato la volontà di utilizzare la
decisione al fine di proporre l’azione di riparazione ex art. 314 c.p.p.”. Anche
nella udienza odierna la difesa ha chiarito il suo proposito, espressamente
ribadendolo. Cosicché, nonostante la mancata considerazione della
problematica nel ricorso, deve ritenersi pienamente integrato nell’interesse
del ricorrente allo stesso per aver palesato una ragione tipica.
2. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, a seguito di
annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio, benché sia
obbligato a giustificare il suo convincimento secondo lo schema implicitamente
o esplicitamente enunciato nella sentenza rescindente, decide con i medesimi
poteri che aveva il giudice il cui provvedimento è stato annullato: gli unici

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limiti consistono nel divieto di ripetere i vizi già censurati in sede di giudizio
rescindente e di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di
diritto, e nell’obbligo di non fondare la decisione sulle argomentazioni già
ritenute incomplete o illogiche. Inoltre, il giudice del rinvio non è tenuto ad
esaminare solo i punti specificati, isolandoli dal residuo materiale probatorio,
ma mantiene, nell’ambito dei capi colpiti dall’annullamento, piena autonomia
di giudizio nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione e valutazione dei

sulla base di elementi trascurati dal primo giudice – il proprio libero
convincimento, colmando, in tal modo, i vuoti motivazionali segnalati ed
eliminando le incongruenze rilevate (cfr., nei medesimi sensi, Sez. 6^, n.
42028 del 4 novembre 2010, Regine, rv. 248738; sez. 4^, n. 43720 del 14
ottobre 2003, Colao, rv. 226418; sez. 5^, n. 4761 del 18 gennaio 1999,
Munari, rv. 213118; sez. 6^, n. 9476 dell’8 ottobre 1997, Bandera ed altri, rv.
208783; sez. 1^, n. 1397 del 10 dicembre 1997, dep. 5 febbraio 1998, Pace
ed altri, rv. 209692).
A seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è,
pertanto, vincolato dal divieto di reiterare, a fondamento delle nuova
decisione, gli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni
diverse da quelle censurate in sede di legittimità, ovvero integrando e
completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia
annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito
di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di
apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere
condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di
legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano
le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di
sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a
tali aspetti.
Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su
alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della
motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo
giudizio sui soli punti specificati, poiché egli conserva gli stessi poteri che gli
competevano originariamente quale giudice di merito relativamente
all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell’ambito del capo
della sentenza colpito da annullamento (cfr. nel medesimo senso anche Sez.

dati, nonché il potere di desumere, anche aliunde – e dunque eventualmente

4^, n. 30422 del 21 giugno 2005, Poggi, rv. 232019; Sez. 6^, n. 16659 del
21 genanio 2009, Muto, rv. 243514).
3. Sui denunciati vizi di motivazione va osservato, in generale, che questa
Corte ha ripetutamente affermato che l’ordinamento non conferisce alla Corte
di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso

trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò,
circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass.
Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più
recenti, Cass. Sez. III, 28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso
provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o

l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,

argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate

nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
4. Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
Nella sentenza di annullamento con rinvio così sono sintetizzati i profili di
doglianza nella sostanza oggi nuovamente sottoposti all’attenzione della
corte: “Violazione dell’art. 319 c.p. per l’insussistenza, sotto il profilo
soggettivo, dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, nonché mancanza manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione, avendo la difesa dimostrato, a
sostegno dell’atto di gravame, che l’indagato non aveva svolto alcun ruolo in
relazione al contenuto del provvedimento dirigenziale n. 429/2004, ed in
particolare alla scelta di non assoggettare a v.i.a. il su indicato parcheggio,
risultando egli del tutto estraneo all’istruttoria tecnica ed all’esame di merito
delle proposte progettuali (funzioni, queste, demandate esclusivamente ad
altri organi). Violazione dell’art. 319 c.p. per l’insussistenza, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, dell’atto contrario ai doveri d’ufficio anche con
riguardo alla successiva determinazione n. 300 del 19 maggio 2008, nonché
mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, avendo il
Tribunale del riesame omesso di considerare i rilievi difensivi in merito
all’assenza di ogni identità fattuale tra la situazione del 2004 e quella del
2008, nonché in ordine all’assenza di qualsiasi indizio inerente all’interferenza
dell’indagato nelle valutazioni tecniche che hanno condotto al successivo
assoggettamento a v.i.a. in occasione del secondo provvedimento dirigenziale.
Violazione dell’art. 319 c.p. per l’assenza di qualsiasi utilità riconducibile
all’attività del pubblico ufficiale, nonché per mancanza, manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione, avendo la difesa svolto una serie di
argomentazioni e rilievi concernenti i diversi profili delle condizioni di ordinario
accesso all’acquisto dell’immobile (sottoposto ad un normale regime di
vendita al pubblico), dello sconto legittimamente praticato sul suo prezzo di
vendita (la cui entità sarebbe inferiore alla media degli sconti ordinariamente
applicati in ambito immobiliare) e dell’effettivo pagamento dei lavori

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aggiuntivi realizzati al di fuori del capitolato, su cui il Tribunale non ha offerto
congrua risposta.”
Circa la ricostruzione del quadro indiziario, e dunque la sussistenza degli
elementi oggettivo e soggettivo della contestata fattispecie di reato, la Corte
nella sentenza di annullamento, ha osservato che: “le sequenze motivazionali
che compongono l’impugnato provvedimento cautelare mostrino un
andamento incerto e contraddittorio, frutto di un insufficiente

panorama indiziario, laddove trascurano di considerare i rilievi difensivi sul
fatto che, a norma del combinato disposto di cui alla L.R. 12 aprile 2001, n.
11, art. 4, commi 2 e 3, in relazione all’art. 16, l’opera pubblica oggetto della
contestazione provvisoria sembrava dover essere assoggettata alla sola
procedura preliminare di verifica ambientale, e non alla cd. procedura di VIA
diretta, con la conseguenza che la delibera n. 429/2004 doveva ritenersi l’atto
conclusivo del procedimento che aveva portato all’esclusione del progetto
dalla procedura di valutazione di impatto ambientale. Non sembra, dunque,
che possa ravvisarsi una sostanziale contraddizione tra l’affermazione fatta
dall’indagato in occasione della conferenza dei servizi del 5 maggio 2003,
allorquando egli ebbe ad evidenziare che l’opera era soggetta a procedura di
verifica, come poi in effetti si è verificato, e la successiva decisione finale di
esclusione dell’opera dalla VIA, il cui contenuto non sembra essere stato in
qualche modo anticipato dall’indagato. Analoghe carenze motivazionali
investono, inoltre, la valutazione di insufficienza della relativa istruttoria
amministrativa, avuto riguardo all’omesso approfondimento dei rilievi e delle
deduzioni dalla difesa svolti sul fatto che la Regione Puglia aveva già da tempo
affidato l’istruttoria per le varie procedure di screening ambientale ad uno
specifico organo tecnico di valutazione (cd. task farce ambiente), il cui parere
sarebbe stato reso all’esito dell’acquisizione e della relativa disamina di tutta
la pertinente documentazione amministrativa. Parimenti fondato deve
ritenersi il secondo motivo di doglianza, non essendo stato con chiarezza
esplicitato, nell’iter motivazionale dell’impugnata ordinanza, quale sia stato il
ruolo dall’indagato svolto in relazione al contenuto decisorio della delibera n.
429/2004, con riguardo alla scelta di non assoggettare a VIA l’opera pubblica
oggetto di contestazione in sede cautelare, tenuto conto delle specifiche
obiezioni difensive avanzate in merito alla tipologia delle mansioni all’epoca
svolte dall’indagato, non a carattere dirigenziale, ed alla sua estraneità
all’istruttoria tecnica dei progetti ed alla correlativa disamina dei profili di

approfondimento in merito alla valutazione dell’effettiva consistenza del

merito, attività, questa, che sembrerebbe essere stata demandata
esclusivamente al predetto, autonomo, organo tecnico di valutazione (cd. task
force ambiente)”.
Orbene, nel provvedimento oggi impugnato, il tribunale ha risposto al dictum
della Cassazione; ha infatti diffusamente argomentato sulla istruttoria
amministrativa in oggetto, sul ruolo in essa ricoperto dalla task force
ambiente e sulle condotte del ricorrente. Dalle sommarie informazioni

predetta task force non valutò in nessun modo l’impatto ambientale
dell’opera, non essendo presenti peraltro geologi nella compagine di
professionisti che integravano la predetta task force. In tal modo, prosegue il
tribunale, la istruttoria si rivelava palesemente incompleta perché priva di una
fondamentale consulenza geologica; il Russo, tuttavia, nel cui raggio di
competenze rientravano i poteri di controllo sull’istruttoria in oggetto, non
evidenzio detta carenza. Eppure, sostengono i giudici, avrebbe ben potuto
rilevarla, e ciò pur essendo, come sostenuto dalla difesa, digiuno di
competenze di carattere tecnico: si trattava infatti di rilievo meramente
amministrativo. Precisa il tribunale che le carenze progettuali su cui il Russo
era competente ad effettuare un doveroso controllo hanno avuto una evidente
ripercussione sull’esito dell’istruttoria in senso favorevole alla prosecuzione del
progetto.
Quanto inoltre alla riferita vincolatività del parere tecnico espresso da tale
gruppo di professionisti, affermato dalla difesa, chiarisce il tribunale che
nell’istruttoria espletata non è emerso in alcun modo la vincolatività dello
stesso.
A fronte di tale articolata argomentazione, nel ricorso si espone una
dettagliatissima critica ricostruttiva nel fatto ma in nessun modo si
evidenziano manifeste illogicità, risultanti dalla semplice lettura del
provvedimento: cosicché la critica non si emancipa dal piano del fatto e come
tale resta di inammissibile valutazione in questa sede di legittimità.
Quanto all’ultimo profilo di doglianza, deve rilevarsi come il tribunale abbia
reso una motivazione anche qui estremamente dettagliata, rimarcando che il
giorno immediatamente successivo all’adozione della determina numero 429
di cui si è detto, il coniuge del ricorrente aveva formulato proposta di acquisto
di un appartamento a società riferibile a Degennaro Gerardo e Degennaro
Daniele, coimputati nel presente procedimento quali gestori della società che
presentò le progettazioni e l’istanza amministrativa che diedero luogo alle

testimoniali del teste Angelilli argomenta il tribunale essere emerso che la

indagini. Nell’acquisto dell’immobile la consorte del ricorrente usufruì di uno
sconto anomalo (tanto più che sconti erano applicati esclusivamente ai
dipendenti della società venditrice), né pagò il corrispettivo di lavori extra
(eseguiti fuori capitolato) effettuati nell’immobile. Inoltre, pur avendo
l’acquirente ritardato nell’effettuare i pagamenti, la controparte si astenne
dall’applicare la clausola penale prevista dal contratto.
Precisa il tribunale che, secondo le emersioni istruttorie, tutta l’operazione

prelevato dal conto corrente dello stesso (e infine acquistato dalla figlia del
ricorrente).
Anche a fronte di tale dettagliatissima e coerente motivazione nel ricorso si
svolge una non meno attenta critica nel fatto. Non si evidenzia, tuttavia,
ancora una volta, alcuna manifesta illogicità desumibile dalla semplice lettura
della ordinanza impugnata, sottoponendo a questa corte ricostruzioni fattuali
di per se stesse inattingibili in sede di legittimità.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato il 9.1.2014

era riferibile all’odierno ricorrente, tanto più l’immobile fu pagato con denaro

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