Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6607 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6607 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMPAGNONE LUIGI N. IL 07/08/1985
avverso l’ordinanza n. 203/2015 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 16/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 10/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 16.07.2015 il Tribunale di Caltanissetta, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod.proc.pen., ha confermato l’ordinanza applicativa della
misura cautelare della custodia in carcere emessa il 26.06.2015 dal giudice per
le indagini preliminari in sede nei confronti di Compagnone Luigi, gravemente
indiziato del reato di partecipazione ad associazione mafiosa nonché del delitto di
cui agli artt. 624, 624 bis e 625 cod. pen., aggravato ex art. 7 legge n. 203 del
1991, ascritti ai capi A e L dell’incolpazione provvisoria.
Il Tribunale ricostruiva la gravità del quadro indiziario in ordine all’esistenza di un

sodalizio mafioso operante nel territorio di Troina, dedito alle estorsioni e al
controllo delle slot machine, legato alla criminalità organizzata catanese e
capeggiato da Schinocca Davide; le relative indagini avevano tratto origine dalla
segnalazione effettuata dal sindaco di Troina, cui avevano fatto seguito le
dichiarazioni dei soggetti estorti Plumari Carmelo (titolare di un esercizio
commerciale) e Calabrese Luigi, vittima del furto di una cavalla che aveva
successivamente rinvenuto in un fondo di proprietà di terzi, rivendicandone la
proprietà nei riguardi dello Schinocca, che lo aveva picchiato; i contenuti di tali
dichiarazioni avevano trovato riscontro nell’attività di captazione, da cui era
emerso che il Calabrese riteneva l’indagato appartenente a un gruppo mafioso,
collegato allo Schinocca, di cui facevano parte anche i fratelli Sotera (Domenico e
Gaetano), Bruno Lombardo e Coniglio Antonio.
Con specifico riguardo alla posizione soggettiva del Compagnone, il Tribunale
rilevava che l’attività di captazione aveva riscontrato la sua vicinanza a Sotera
Domenico, in qualità di uomo di fiducia a disposizione dello stesso, che l’indagato
aveva affiancato nella contrapposizione allo Schinocca allorché si era verificata
una frattura all’interno del clan tra i suoi componenti originari.
Il Tribunale riteneva acquisita la prova indiziaria del coinvolgimento dell’indagato
nelle dinamiche dell’organizzazione mafiosa, valorizzando i contenuti di alcune
conversazioni intercettate, come quella del Compagnone col fratello Serafino
dalla quale emergeva la piena consapevolezza dell’indagato dell’esistenza a
Troina di due schieramenti contrapposti e dei loro collegamenti con le famiglie
mafiose di Catania, in particolare – per quanto riguardava la fazione capeggiata
dal Sotera – con Fraschilla Giovanni; l’indagato indicava nell’occasione al fratello
gli associati su cui il gruppo Sotera poteva contare

(“vicinu a nuatre”),

adoperandosi per reperire al Sotera gli uomini necessari per affrontare lo
Schinocca; e valorizzava altresì la conversazione tra l’indagato e il Sotera da cui
emergeva la partecipazione del Compagnone all’incendio della casa rurale del
capo del gruppo rivale.
I contenuti delle intercettazioni riportati nell’ordinanza erano inoltre ritenuti

1

(

idonei dal Tribunale a dimostrare la partecipazione diretta dell’indagato, insieme
al Sotera e a Bruno Lombardo, al furto di bestiame di cui al capo L, commesso in
danno di Stazzone Salvatore.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale valorizzava la presunzione di
pericolosità sociale e di adeguatezza della misura carceraria discendente dal
titolo del reato, in assenza di segnali di dissociazione dell’indagato dal sodalizio
mafioso, tenuto conto anche della natura recente dei fatti.
2. Ricorre per cassazione Compagnone Luigi, a mezzo del difensore, deducendo

2.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la nullità dell’ordinanza impugnata
per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 292
comma 2 lett. c) e c-bis), 273 e 192 del codice di rito; lamenta che l’ordinanza
gravata si era limitata a riportare stralci del materiale probatorio e investigativo
senza procedere a un’autonoma valutazione della sua valenza indiziaria, con
motivazione solo apparente e avulsa dalle risultanze processuali, che non si era
confrontata con le argomentazioni difensive e non aveva formulato alcun giudizio
prognostico sulla ragionevole probabilità di colpevolezza dell’indagato in ordine al
reato associativo.
Il ricorrente, dopo aver ripercorso gli approdi giurisprudenziali in tema di prova
indiziaria della sussistenza di un’associazione di stampo mafioso e della relativa
condotta partecipativa, rileva l’inesistenza, nel caso di specie, degli elementi di
natura oggettiva e soggettiva richiesti dall’art. 416 bis cod. pen., con riguardo
sia ai requisiti tipici dell’intimidazione, dell’assoggettamento e dell’omertà, sia
alla stabile e organica compenetrazione dell’indagato nel tessuto organizzativo
del sodalizio e alla sua consapevolezza di partecipare alla vita dello stesso; rileva
la necessità che le dichiarazioni accusatorie descrivano fatti e comportamenti
specifici da cui ricavare la prova del consapevole apporto dell’associato al
perseguimento degli interessi criminali del sodalizio; deduce la genericità delle
dichiarazioni de relato del sindaco di Troina e l’inattendibilità delle dichiarazioni
di Calabrese Luigi, conclamata dai contenuti della captazione ambientale
dell’8.03.2013 intercorsa tra Sotera Gaetano e Grasso Sebastiano, che
smentivano quanto riferito dal Calabrese agli inquirenti, in particolare sul fatto
che il Lombardo lo avrebbe minacciato spendendo il nome del clan Cappello di
Catania; deduce che i! Calabrese aveva in più occasioni denunciato i furti di
cavalli da lui subiti, allertando subito il servizio 112 allorché aveva rinvenuto uno
degli animali sottratti, così dimostrando di non essere soggetto a un clima di
omertà e intimidazione, tale da indurlo a rivolgere le sue istanze di tutela,
anziché alle autorità legittime, a Schinocca Davide in qualità di malavitoso di
riferimento della zona; rileva che Calabrese Luigi non aveva mai indicato
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tre motivi di gravame.

nell’indagato un soggetto affiliato a una consorteria mafiosa e deduce
l’inintelligibilità dei contenuti della conversazione captata il 3.03.2014, dai quali il
Tribunale aveva tratto l’affermazione del Compagnone di essere “uomo del
Sotera” e di essere con “Gianni” (individuato dagli inquirenti in Giovanni
Fraschilla sulla base di elementi non univoci); rileva che al Compagnone non era
stata contestata alcuna partecipazione all’episodio criminoso riguardante
l’incendio della casa dello Schinocca, lamentando il contenuto equivoco e poco
chiaro della conversazione col Sotera che il Tribunale aveva ritenuto riferibile a

dimostrato dall’indagato nell’apprendere la relativa notizia.
Anche con riguardo al reato sub L, il ricorrente deduce l’inidoneità dei contenuti
generici ed equivoci delle captazioni valorizzate nell’ordinanza gravata a
supportare l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del Compagnone.
2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione
all’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 contestata al capo L, che
comportava un’illegittima duplicazione sanzionatoria rispetto al reato associativo.
2.3. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta la nullità dell’ordinanza impugnata
per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 292
comma 2 lett. c) e c-bis) e 274 lett. c) del codice di rito; deduce l’assenza di
motivazione sulle esigenze cautelari e la natura apodittica delle affermazioni in
tema di pericolo di reiterazione del reato, non individualizzate sulla posizione
soggettiva dell’indagato, che non aveva precedenti penali, lavorava in modo
regolare e non aveva pregresse frequentazioni con pregiudicati; rileva la natura
di extrema ratio della misura carceraria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.
2. Costituisce orientamento consolidato di questa Corte che l’impugnazione di
legittimità avverso le ordinanze emesse dal tribunale del riesame in materia di
misure cautelari personali è proponibile soltanto se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, secondo i
canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure
che – benchè formalmente prospettanti una violazione di legge o un vizio di
motivazione – mirano in realtà a sollecitare una diversa lettura dei fatti o una
diversa valutazione degli elementi indiziari esaminati dal giudice di merito e da
questi ritenuti idonei a integrare un compendio indiziario munito della gravità
richiesta dall’art. 273 comma 1 cod.proc.pen. (Sez. 6 n. 11194 dell’8/03/2012,
Rv. 252178; Sez. 5 n. 46124 dell’8/10/2008, Rv. 241997).
L’apprezzamento dello spessore e della concludenza probatoria degli indizi è

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tale fatto, ed evidenziando l’elemento di contraddizione ricavabile dallo stupore

riservato, infatti, in via esclusiva al giudice del merito cautelare, mentre alla
Corte di cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare natura
del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza logica e
l’adeguatezza della motivazione sul punto (Sez. 4 n. 26992 del 29/05/2013, Rv.
255460), senza alcun potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda
indagata e il peso degli indizi che il GIP e il Tribunale del riesame hanno ritenuto
idonei a supportare l’applicazione della misura coercitiva.
Il controllo demandato al giudice di legittimità è, dunque, circoscritto alla verifica

due requisiti, uno positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
incensurabile: l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno
determinato l’applicazione della misura cautelare, e l’assenza di errori di diritto o
di illogicità evidenti dal punto di vista della congruità delle argomentazioni
rispetto al fine giustificativo del provvedimento, che – in relazione alla natura
incidentale del procedimento

de libertate – è

preordinato a un giudizio

prognostico in termini di qualificata probabilità di colpevolezza dell’indagato, e
non all’acquisizione della certezza processuale della sua responsabilità, riservata
al successivo giudizio di merito (Sez. 1 n. 19517 dell’i/04/2010, Rv. 247206).
Nel caso di specie, dalla lettura del ricorso emerge immediatamente che il
ricorrente – oltre a dilungarsi per numerose pagine in un richiamo tanto teorico
quanto generico degli approdi giurisprudenziali in tema di gravità indiziaria e di
nozione di partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, ampiamente noti
a questa Corte (che quelle nozioni e quei principi ha direttamente elaborato) – si
esaurisce nel proporre e nel sollecitare una lettura alternativa, in punto di fatto,
degli elementi di prova indiziaria, costituiti (tra gli altri) dalla denuncia sporta dal
sindaco di Troina sull’esistenza e sull’operatività sul territorio di un gruppo
criminale strutturatosi secondo le caratteristiche tipiche di un’organizzazione
mafiosa, dalle dichiarazioni di soggetti imprenditoriali del luogo vittime di furti, di
condotte estorsive, di violenze fisiche e di atti di intimidazione sia psicologica che
materiale, dal contenuto di conversazioni intercettate coinvolgenti le vittime (in
particolare Calabrese Luigi) e i componenti del sodalizio criminale, questi ultimi
anche nei loro rapporti con soggetti ritenuti appartenere ad organizzazioni
mafiose di più ampio spessore (come Fraschilla Giovanni, legato agli esponenti
del clan catanese dei Cappello), che il GIP e il Tribunale del riesame hanno
giudicato idonei, con decisioni conformi e supportate da adeguata motivazione, a
integrare un compendio indiziario munito della necessaria gravità e capacità
dimostrativa in ordine alla sussistenza di un sodalizio mafioso operante in Troina,
facente capo a Schinocca Davide e a Sotera Domenico, partecipato dall’indagato
Compagnone Luigi in veste di persona di fiducia del secondo, dedito alla
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p-5

che il contenuto testuale del provvedimento del tribunale del riesame risponda a

commissione di reati fine tra i quali si colloca quello sub L, costituito da un furto
di bestiame in danno di un allevatore della zona cui aveva concorso direttamente
il ricorrente.
L’ordinanza impugnata ha operato una valutazione coordinata e sinergica dei
relativi elementi indiziari, valorizzandone con argomentazioni logiche e coerenti,
che non si limitano a un mero recepimento acritico dei dati investigativi e delle
motivazioni dell’ordinanza genetica, la congruenza dimostrativa in ordine
all’esistenza di una struttura associativa capace di imporsi sul territorio di Troina
in virtù della forza intimidatrice e della condizione di assoggettamento delle

vittime derivante dal vincolo conseguente alla natura organizzata del gruppo
criminale, che dispone di armi ed è in grado di imporre con la violenza le pretese
estorsive e la soluzione obbligata delle questioni relative ai furti di bestiame (di
cui era stato vittima in particolare il Calabrese), nel cui ambito era da ultimo
insorta una contrapposizione tra la fazione capeggiata dallo Schinocca e quella
facente riferimento al Sotera, composta – oltre che da quest’ultimo – dal fratello
Sotera Gaetano, da Lombardo Bruno e dal ricorrente Compagnone Luigi, ciò che
aveva determinato Sotera Domenico a chiedere, tramite il Fraschilla, l’intervento
di esponenti di “cosa nostra” catanese per dirimere i conflitti interni al gruppo,
concretizzatosi nell’incontro e nella cena che aveva avuto luogo 1’8.07.2014.
In particolare, la consapevole presa di posizione del Compagnone a favore del
Sotera e la sua fattiva messa a disposizione di quest’ultimo, anche nell’opera di
individuazione e reperimento dei sodali sui quali era possibile fare affidamento
nel contrasto in atto con lo Schinocca, è stata ricavata dal Tribunale dai
contenuti delle conversazioni intercettate (tra le quali quella dell’indagato col
fratello Serafino, la cui trascrizione è riportata alle pagine 15 e 16 dell’ordinanza,
e quella intercorsa con lo stesso Sotera in merito all’incendio della casa rurale
dello Schinocca), l’interpretazione e la valutazione del cui significato – anche nei
suoi aspetti criptici – secondo massime d’esperienza coerenti al contesto mafioso
di riferimento costituisce una tipica questione di fatto rimessa alla competenza
esclusiva del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di
legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della
motivazione con cui esse sono recepite (Sez. Un. n. 22471 del 26/02/2015, Rv.
263715, imputato Sebbar; Sez. 2 n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784).
Le deduzioni del ricorrente, intese a proporre una lettura scriminante o
comunque minimizzante degli elementi acquisiti e valorizzati dal Tribunale a
supporto della sussistenza del sodalizio mafioso e della condotta partecipativa
del Compagnone nel ruolo e nei termini indicati – con riguardo all’allegato
elemento di contraddizione delle dichiarazioni del Calabrese circa la sua effettiva
soggezione a condotte intimidatorie ed estorsive, provenienti anche dal Sotera,

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G.»

che sarebbe evincibile dalla scelta della vittima di presentare denuncia di furto ai
carabinieri invece di rivolgersi esclusivamente allo Schinocca e agli altri sodali
per chiedere protezione e tutela, nonché ai contenuti prospettati come ambigui e
suscettibili di interpretazione alternativa delle conversazioni intercettate sulla
veste di “uomo del Sotera” e sulle frequentazioni dell’indagato, nonché ancora
all’individuazione nel Sotera, nello Schinocca e nel Fraschilla dei soggetti
rispettivamente appellati coi nomi (puntualmente corrispondenti) di “Domenico”,
“Davide” e “Giovanni” nel dialogo captato col fratello – si risolvono dunque in

probatoria del quadro indiziario che non può trovare ingresso nel giudizio di
legittimità.
Il primo motivo di ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile.
3. Anche il secondo motivo di doglianza non supera la soglia dell’ammissibilità,
limitandosi a una censura, del tutto generica e contraddittoria, della possibilità di
contestare l’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 con riferimento al
furto di bestiame di cui al capo L – in relazione al quale la prova della
partecipazione diretta del Compagnone, in concorso con altri sodali, alle relative
fasi organizzative ed esecutive è stata puntualmente argomentata dall’ordinanza
impugnata sul contenuto esplicito delle coeve intercettazioni telefoniche
intercorse tra l’indagato e il Sotera – che sarebbe inibita, secondo il ricorrente,
dalla contestuale attribuzione della qualità di partecipe dell’associazione mafiosa,
che invece è proprio ciò che dà legittimo fondamento alla contestazione
dell’aggravante de qua con riguardo al reato fine commesso dagli associati.
4. Generico e manifestamente infondato, e perciò anch’esso inammissibile, è il
terzo motivo di ricorso, diretto a censurare la ritenuta sussistenza delle esigenze
cautelari e l’adeguatezza della misura coercitiva applicata, che omette
completamente di confrontarsi col dato normativo, puntualmente richiamato
nell’ordinanza impugnata, rappresentato dall’operatività nel caso di specie della
presunzione stabilita dall’art. 275 comma 3 del codice di rito, che, con riguardo
alla condotta partecipativa di cui all’art. 416 bis cod. pen., legittima – anche alla
stregua del testo novellato dalla legge n. 47 del 2015 – la duplice presunzione di
attualità delle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274 lett. c) cod.proc.pen. e
di adeguatezza della custodia in carcere come unica misura idonea a cautelare il
pericolo di recidiva; si tratta di una presunzione che ha superato il vaglio di
compatibilità costituzionale sul presupposto che la partecipazione ad associazioni
di tipo mafioso, come quella ascritta al Compagnone, implica un’adesione di
natura permanente a un sodalizio criminoso fortemente radicato nel territorio,
caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali connotati da intensa
fiducia reciproca e dotato di particolare forza intimidatrice, da cui discende la

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un’inammissibile contestazione del merito delle valutazioni sulla concludenza

condivisa regola d’esperienza per cui solo la custodia inframuraria può ritenersi
in grado di troncare i rapporti tra l’indagato e l’ambito delinquenziale di
appartenenza, neutralizzandone la pericolosità (Corte Costituzionale, sentenza n.
265 del 2010).
Il Tribunale ha congruamente argomentato, anche in punto di fatto, la ricorrenza
concreta dei presupposti di operatività della presunzione normativa con specifico
riguardo alla permanente attualità della pericolosità sociale del Compagnone,
sotto i plurimi profili dell’assenza di qualsiasi segnale di dissociazione o

preoccupanti collegamenti degli associati con soggetti legati a circuiti mafiosi
esterni all’ambito territoriale di Troina, con motivazione logica e coerente che
non è scalfita dalle inconferenti deduzioni di merito del ricorrente.
5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende
della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 1.000 euro.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso il 10/11/2015

rescissione del vincolo associativo, della natura recente dei fatti, dei

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