Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6601 del 04/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6601 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso straordinario proposto da
Delli Paoli Antonio, nato a Marcianise il 02/01/1950,
avverso la sentenza del 17/04/2014 della Corte di cassazione;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Aurelio
Galasso, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore, avvocato Germana Riso, la quale ha chiesto l’accoglimento dei
motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con sentenza del 17 aprile
2014, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Delli Paoli Antonio
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Perugia, in data 21 febbraio 2013,
che aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta di revisione della sentenza di
condanna all’ergastolo per l’omicidio di Ruocchio Salvatore, pronunciata dalla
Corte di assise di appello di Roma il 23 aprile 1993.

Data Udienza: 04/11/2015

Ha osservato la Corte di cassazione la manifesta infondatezza del ricorso,
ritenendo ineccepibili le ragioni addotte dalla Corte territoriale a sostegno della
dichiarata inammissibilità della richiesta di revisione, sintetizzate nei termini che
seguono: a) inesistenza di alcun contrasto di giudicati tra la condanna di Delli
Paoli in appello, dopo l’assoluzione in primo grado, per l’omicidio di Ruocchio
Salvatore (considerato il rinvenimento in suo possesso di una delle armi
utilizzate per commettere il delitto e l’esistenza di un forte contrasto tra le

Paoli) e l’assoluzione dello stesso Di Paoli, in altro processo, dal diverso omicidio
di Talamo Salvatore, giusta sentenza del 21 luglio 1993 della Corte di assise di
appello di Campobasso; b) assenza del carattere di novità nella prova indicata
dal richiedente, ossia la testimonianza di Lucariello Orlando, poiché quest’ultimo
era informato sul fatto in via indiretta da Dell’Uva Salvatore, il quale era stato
già esaminato nel giudizio di merito, senza che fosse emersa la falsità della sua
testimonianza; c) corretta identificazione dell’arma trovata nella disponibilità di
Delli Paoli, poco tempo dopo il delitto, come una delle pistole impiegate per
uccidere Ruocchio: l’accertamento tecnico-balistico era stato condotto con le
forme previste dall’art. 359 cod. proc. pen. ed era stato legittimamente utilizzato
ai fini del decisione, trattandosi di atto ripetibile; in ogni caso, la dedotta nullità
avrebbe dovuto essere eccepita e dedotta nel giudizio di primo grado e non in
sede di istanza di revisione; d) insussistenza di alcuna violazione delle regole di
un processo equo: al riguardo la Corte Edu neppure era stata adita
dall’interessato; e) scarsa rilevanza ragionevolmente attribuita alla testimonianza
della moglie della vittima, Celestino Michelina, presente al fatto, la quale aveva
dichiarato di non avere riconosciuto Delli Paoli come uno degli autori
dell’omicidio, pur essendo il ricorrente a lei ben noto e portatore di una vistosa
cicatrice sul collo, poiché i sicari avevano agito travisati per non essere
identificati.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Delli
Paoli personalmente, richiamando le censure mosse all’ordinanza della Corte di
appello di Perugia che aveva dichiarato l’inammissibilità della sua richiesta di
revisione: tali censure sarebbero state erroneamente percepite nella sentenza
impugnata col rimedio straordinario, poiché la Corte di legittimità avrebbe dato
una risposta parziale e lacunosa su circostanze di rilievo decisivo, incorrendo
altresì in vistose contraddizioni con la sua stessa giurisprudenza.
Il difensore del ricorrente, avvocato Germana Riso del foro di Ancona, ha
presentato motivi nuovi pervenuti il 12 ottobre 2015: in essi osserva l’errore in
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diverse organizzazioni criminali in cui, all’epoca, militavano Ruocchio e Delli

cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione, come già la Corte di appello, per
avere esaminato nel merito la richiesta di revisione nonostante la declaratoria di
inammissibilità che non lo avrebbe consentito, e per avere compiuto un’analisi
frazionata degli elementi offerti dall’istante, da apprezzare invece globalmente
nel processo di revisione illegittimamente negato.
Successivamente lo stesso Dell’ Paoli ha presentato nuovi motivi in date 19
e 21 ottobre 2015, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Premesso che, nelle more dell’attuale procedimento, Delli Paoli ha
rinnovato la richiesta di revisione della medesima sentenza della Corte di assise
di appello di Roma e l’adita Corte di appello di Perugia l’ha nuovamente
dichiarata inammissibile, giusta ordinanza del 3 febbraio 2014, fatta oggetto di
ricorso per cassazione, già definito dalla quinta sezione penale della Corte con
sentenza di inammissibilità del 4 maggio 2015, posteriore a quella qui
impugnata, donde la singolare coesistenza di due procedimenti pertinenti alla
revisione della medesima sentenza su richiesta della stessa persona, entrambi
definiti con ordinanza di inammissibilità divenuta definitiva, va osservato che la
sentenza della Corte di cassazione del 17 aprile 2014, di cui all’impugnazione in
esame, non presenta all’evidenza alcun errore di fatto nel senso previsto dall’art.
625-bis cod. proc. pen., come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di
cassazione nella sua più autorevole composizione, la quale anche recentemente
ha affermato: “In tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non
sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la
decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di
fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto
dall’art. 625-bis cod. proc. pen.” (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv.
263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527). E’ stato, al
riguardo, puntualizzato che “L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità
e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un
errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di
cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato
dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta
percezione delle risultanze processuali che abbia condotto ad una decisione
diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso”; in particolare,
“qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una
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straordinario.

fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto
valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio”; e restano
estranei all’ambito di applicazione dell’istituto “gli errori di interpretazione di
norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle
norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad
ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in
cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere -anche se

impugnazioni ordinarie” (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
Nel caso di specie, dalla lettura delle motivazioni della sentenza impugnata
col mezzo straordinario e delle censure ad essa mosse, le une e le altre già sopra
riportate e qui non ripetute, emerge con evidenza l’assenza di alcun errore
percettivo del giudice di legittimità che ha dichiarato inammissibile
l’impugnazione. La Corte di cassazione, invero, ha ritenuto che la decisione della
Corte territoriale circa l’inammissibilità della richiesta di revisione fosse
rispondente ai canoni della logica e del diritto e, quindi, non meritevole di
annullamento; e ciò sulla base di argomentazioni squisitamente valutative non
integranti, pertanto, alcun errore di fatto.
Né può farsi valere col rimedio del ricorso straordinario avverso la sentenza
del giudice di legittimità il pur denunciato errore della Corte territoriale nel
dichiarare inammissibile de plano la richiesta di revisione, sulla base di una
motivazione che si assume coerente con una valutazione non sommaria
dell’istanza, tale da imporre il procedimento in contraddittorio delle parti. Tale
pretesa violazione processuale, infatti, costituisce materia di impugnazione con i
mezzi ordinari, e non può essere replicata o dedotta col ricorso straordinario
avverso la decisione della Corte di cassazione che abbia ritenuto legittima
l’ordinanza di inammissibilità.
Analogamente non è il rimedio straordinario lo strumento per denunciare,
come preteso dal difensore, la violazione delle regole di formazione della prova
in appello, nel contraddittorio delle parti, avendo il giudice di secondo grado
riformato in peius la sentenza del primo giudice, pronunciando condanna in luogo
della precedente assoluzione (v. sentenza del 05/07/2011 della Corte Edu, caso
Dan c. Moldavia, secondo la quale, sulla base delle disposizioni dell’articolo 6
della Convenzione europea sui diritti umani, dopo una sentenza di assoluzione
pronunciata da un Tribunale di primo grado, la Corte d’appello non può disporre
la condanna per la prima volta senza udire l’imputato e senza la gestione diretta
delle prove).

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risoltisi in travisamento del fatto- soltanto nelle forme e nei limiti delle

Ancora una volta si tratta di un preteso vizio endoprocessuale che avrebbe
dovuto essere fatto valere con i mezzi ordinari nell’ambito del processo di
cognizione e non certamente col rimedio straordinario del ricorso avverso la
sentenza della Corte di cassazione che suggelli la declaratoria di inammissibilità
della richiesta di revisione della sentenza di condanna.
Sotto tutti i profili prospettati, quindi, il ricorso in esame si rivela
inammissibile perché non denuncia un errore di fatto, nel senso chiarito dalla

elementi che hanno fondato la decisione della Corte di cassazione nell’ambito del
procedimento di revisione, definito con declaratoria di inammissibilità.

2. Segue, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 04/11/2015.

richiamata giurisprudenza di legittimità, ma postula una diversa valutazione degli

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