Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6600 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6600 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: TADDEI MARGHERITA

Data Udienza: 16/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Gueye Papa Mor, nato a Diourbell’11.10.1975
avverso la sentenza 175/2013 della Corte d’appello di Cagliari, sezione
distaccata di Sassari,;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Margherita B. Taddei;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Massimo Galli , che ha concluso per il rigetto del ricorso
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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza indicata in epigrafe , la sezione distaccata di Sassari,
della Corte di appello di Cagliari , confermava la sentenza del Tribunale di
Nuoro , in data 24.10.2011 , che aveva condannato Gueye Papa Mor alla
continuazione, riconosciuta l’attenuante del fatto di particolare tenuità
quale equivalente alla contestata recidiva, per i reati di seguito indicati :
a)del reato di cui all’art. 648 c.p. perché al fine di procurarsi un
profitto, acquistava o comunque riceveva capi di abbigliamento ed
accessori recanti marchi contraffatti e precisamente: sei magliette
“Dolce e Gabbana”, una maglietta “Guru”, due magliette “Baci e
Abbracci”, una maglietta “Sweet years”, un paio di pantaloncini
“Armani”. un paio di pantaloncini “Dolce e Gabbana”, tre cinture
“Louis Vuitton”, sette cinture “Dolce e

Gabbana”, due

“Cavalli”, una cintura “Play Boy”, dodici cinture “Gucci”.

cinture
cinque

cappellini “Play Boy”, tre cappellini “Louis Vuitton”, quattro cappellini
“Baci e Abbracci”, tre cappellini “Dolce e Gabbana”, un cappellino
“Burberry” ed un cappellino “Fendi”, provenienti dal delitto di
contraffazione di segni distintivi di prodotti industriali;
b)del reato di cui all’art. 474 c.p. perché deteneva per la vendita di
prodotti recanti inarchi o segni distintivi contraffatti (così come
descritti nel capo a), provenienti dal delitto di contraffazione di segni
distintivi di prodotti industriali.Con la recidiva specifica. Fatto
accertato in San Teodoro il 19/07/2006

pena di mesi sei di reclusione ed euro 200.00 di multa, ritenuta la

1.1La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in
punto di nullità della sentenza di prime cure per violazione dell’art.179,in
relazione all’art.178 e 143 cod.proc.pen; in punto di sussistenza degli
elementi oggettivi della fattispecie, di falso grossolano e conseguente
inesistenza del reato presupposto della ricettazione, in ordine al trattamento
sanzionatorio, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo
accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui

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ascritti, ed equa la pena inflitta
1.3 Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo
difensore di fiducia, deducendo a motivo del gravame:
a)La violazione dell’ art.415 bis c.p.p. in relazione all’art.143 cod.pen. degli
artt. 3, 24 e 111 Cost., nonché dell’ art. 10 Cost. in relaz. all’art. 6 CEDU
c.p.p.)- Manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento
impugnato e da altri atti del processo (art. 606 comma l° lett.e

non essere stati tradotti nella madre lingua dell’imputato l’avviso di cui
all’art.415 bis c.p.p. e del decreto di citazione a giudizio ,lamentando che
non è stata acquisita prova certa che l’imputato conoscesse la lingua
italiana.
b)- Violazione di legge, art.474 c.p. (art.606 lett. b) c.p.p.)- Manifesta
illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato e da
altri atti del processo (art. 606 comma 10 lett. e) c.p.p.).Deduce il ricorrente
che non è stata acquisita prova certa dell’offerta in vendita della merce
,essendosi il mllo Pischedda limitato ad affermare ,in termini probabilità e
non di certezza , che il Gueye mostrava le magliette ai villeggianti al fine di
venderle e pertanto si imponeva un assoluzione in termini dubitativi..
c) Violazione di legge, art.474 c.p. (art.606 lett. b) Manifesta illogicità della
motivazione risultante dal provvedimento impugnato e da altri atti del
processo (art. 606 comma 1° lett. e) c.p.p.).La Corte avrebbe dovuto dedurre
dalle dichiarazioni dei testi circa le caratteristiche della merce, l’ipotesi del
c.d. falso grossolano, mentre, seppure espressamente investita del rilievo,
non ha sul punto motivato.
d)- Violazione di legge, art.648 c.p. (art.606 lett. b) c.p.p.)- Manifesta
illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato e da

cod.proc.pen.) Il ricorrente ribadisce l’eccezione di nullità delle sentenze per

altri atti del processo (art. 606 comma 10 lett. e) c.p.p.)..Trattandosi di falso
grossolano , ai fini della configurabilità della ricettazione viene a mancare il
reato presupposto.
e)-

Violazione di legge, art.474, 648 e 133 c.p. (art.606 lett. b) c.p.p.)-

Manifesta

illogicità della motivazione risultante dal provvedimento

impugnato e dagli altri atti del processo (art.606 comma 1 lett. e) c.p.p.).La
pena applicata al caso di specie è sproporzionata sia alla luce della

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personalità dell’imputato, all’epoca gravato da un unico precedente penale
risalente nel tempo , sia per l’esiguo valore dei beni sequestrati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è manifestamente infondato.
2004, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che il
presupposto che fa sorgere il diritto alla traduzione o all’interprete e, quindi,
la situazione fattuale dalla quale l’ordinamento giuridico fa derivare il
dovere per il giudice di disporre la traduzione di un provvedimento o di
avvalersi di un interprete perché provveda ad illustrarne all’interessato il
contenuto, è costituito dall’accertamento in concreto della mancata
conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato.
2.2 Solo da tale presupposto scaturisce da un lato il diritto dell’indagato
alla traduzione o all’intervento dell’interprete e dall’altro l’obbligo per il
giudice di consentirne l’esercizio. A tal proposito, con la decisione n.72 del
2005( rv 232532) la Corte di legittimità ha chiarito che mentre per espressa
previsione dell’art. 169 c.p.p., comma 3 cod.proc.pen. , l’atto notificato allo
straniero all’estero va senz’altro tradotto salvo che positivamente risulti la
conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato, l’art. 143 c.p.p.
enuncia una regola inversa, nel senso che l’obbligo di nominare il traduttore
discende dal positivo accertamento della mancata conoscenza della lingua
italiana.
2.3 Da ciò discende che se l’indagato o l’imputato non ha avuto alcun
contatto con il giudice e se “la non conoscenza della lingua italiana non

risulta in altro modo dagli atti” il giudice non è tenuto alla traduzione del
provvedimento da notificare. A tal proposito, la Corte Costituzionale, nel
dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
109 cod. proc. pen., comma 1, nella parte in cui non prevede che siano nulli
gli atti del procedimento penale compiuti in lingua italiana ove l’imputato
straniero non la comprenda e nella parte in cui non prevede che, a tale
scopo, fin dal primo atto del procedimento lo straniero sia interpellato circa
la conoscenza o meno della lingua italiana, ha nuovamente fatto
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2.1 Non è fondato il primo motivo di ricorso. Con la sentenza n. 5052 del

applicazione di quel principio di concretezza dell’accertamento in positivo
della mancata conoscenza da parte dell’interessato della lingua italiana
(Corte Cost., ord. n. 212 del 2005). Da quanto innanzi esposto discende
all’evidenza che la questione relativa alla necessità di traduzione di un
provvedimento in una lingua comprensibile all’interessato neppure si pone
nei procedimenti nei quali – come nella concreta fattispecie in esame, l’indagato o imputato risulti irreperibile al momento della notificazione del
provvedimento e, dunque, per definizione sia mancato il “contatto con il

giudice” e se “la non conoscenza della lingua italiana non risulta in altro
modo dagli atti”.
2.2 il secondo motivo è inammissibile perché cerca di ottenere dalla Corte di
legittimità una diversa valutazione sulla valenza probatoria delle prove
dichiarative acquisite nel processo.
2.3 Del pari inammissibili sono i motivi sub c) e d). Questa Corte ha già da
tempo chiarito che il c.d. falso grossolano non rileva in materia di
contraffazione dei marchi. E’ stato infatti deciso che integra il delitto di cui
all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio
contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta
contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via
principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la
pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni
distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne
garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per
la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno
ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della
contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità
che gli acquirenti siano tratti in inganno.
2.4 Inammissibile è anche la censura relativa all’entità della pena perché si
propone di ottenere dalla Corte un giudizio di merito sulla pericolosità
dell’imputato che compete solo al giudice di merito.
Il ricorso per i motivi che precedono è inammissibile: ai sensi dell’articolo
616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il
ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore

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della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della
Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di
colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

ammende.
Così cis il 16 gennaio 2014
Il Presidente

Il Conigli e e. nsore

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delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle

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