Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6599 del 04/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6599 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SACCULLO RUSSELLO PIER LUIGI N. IL 31/03/1977
avverso l’ordinanza n. 1031/2014 TRIBUNALE di MILANO, del
04/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/~ le conclusioni del PG Dott. C1),,A1,14_0.
D5,120

Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 04/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 4.7.2014, il Tribunale di Milano in composizione monocratica,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, rideterminava la pena inflitta a SACCULLO
RUSSELLO Pier Luigi per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90 con la sentenza emessa in
data 26.11.2008 dal G.I.P. del Tribunale di Torino (irrevocabile il 27.6.2009) nella misura di
quattro anni di reclusione e 18.000,00 euro di multa.

parametri sanzionatori, alla luce della nota decisione della Corte Costituzionale n. 32/14, si
evidenziava nella parte in cui la pena detentiva base del reato in materia di “droghe leggere” sulla quale veniva, poi, computata la riduzione di un terzo per il rito abbreviato – era stata
individuata in misura superiore a sei anni di reclusione (precisamente, sei anni e tre mesi).
Andava, pertanto, nella specie, rideterminata la pena detentiva partendo da una pena
base compatibili con i limiti edittali ripristinati e di nuovo vigenti.
Secondo il ragionamento del giudice dell’esecuzione, in sostanza, l’effetto della
pronunzia dalla Corte Costituzionale n. 32 del 2014 poteva bensì essere esteso alla fase
esecutiva, sempre, però, che la pena inflitta con la decisione irrevocabile risultasse in concreto
superiore a quella massima edittale (sei anni di reclusione e 77.468,00 euro di multa) prevista
dalla normativa da ritenersi vigente al momento della decisione (quella formalmente abrogata
dalla legge poi dichiarata incostituzionale).
Viceversa, non veniva ritenuta possibile una vera e propria operazione di
rideterminazione della sanzione in un range ricompreso tra minimo (due anni) e massimo (sei
anni) edittale, sicché l’operazione svolta in sede esecutiva doveva consistere nella sola verifica
e dichiarazione di eventuale ineseguibilità della frazione di pena da considerarsi “illegale” in
quanto eccedente la misura della pena massima di sei anni, ai sensi dell’art. 73, comma 4,
D.P.R. n. 309/90.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo del
difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 30, comma
4, L. n. 87/53.
Il ricorso si basa su diversa valutazione, rispetto al contenuto del provvedimento
impugnato, delle ricadute – quanto al trattamento sanzionatorio per fatti pregressi – della nota
decisione n. 32 del 2014, prima citata, emessa dalla Corte Costituzionale in data 12.2.2014.
Si contesta, in particolare, il metodo utilizzato per ritenere non illegale il trattamento
sanzionatorio applicato e la manifesta illogicità della motivazione per non aver rideterminato
una pena secondo i criteri e i parametri di cui all’art. 133 c.p..
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso
per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
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Osservava il Giudicante che la valutazione in termini di “illegalità” degli applicati

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va accolto, per le ragioni che seguono.
1. Nel rideterminare la pena nei termini prima precisati, il giudice dell’esecuzione ha
ritenuto di considerare “illegale” la frazione di pena eccedente la misura del limite edittale
massimo di sei anni previsto dall’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309/90, nel testo ripristinato.

di questa Corte, che con la sentenza n. 42858 del 29/5/2014, Gatto, Rv. 260697, hanno
tracciato le linee ermeneutiche fondamentali per la comprensione della tematica generale
devoluta dal ricorrente e, con la successiva sentenza n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv.
264205 (nonché con le pronunce, emesse, in pari data, sui ric. Marcon e Sebbar), hanno
precisato i criteri cui deve attenersi il giudice dell’esecuzione nell’adeguare il trattamento
sanzionatorio in precedenza determinato per l’illecita detenzione di “droghe leggere” sulla base
dei limiti edittali di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla legge n. 49 del
2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con
sentenza n. 32 del 2014.
2.1. In particolare, innestandosi su un percorso interpretativo già intrapreso da
precedenti decisioni (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 258650; Sez. U., n. 4687
del 20/12/2005, Catanzaro, Rv. 232610), la sentenza n. 42858/2014 ha affermato che, in linea
di principio, la formazione del giudicato non rappresenta un ostacolo insormontabile
all’accoglimento di istanze avanzate in sede esecutiva per adeguare il rapporto esecutivo ai
mutamenti intervenuti nel titolo di condanna e nella sanzione inflitta, in quanto, sebbene la
pronuncia irrevocabile mantenga nell’ordinamento processuale il suo valore a garanzia della
certezza e della stabilità delle situazioni giuridiche, oggetto di accertamento giudiziale, e della
libertà individuale dell’imputato, non perseguibile per lo stesso fatto illecito quando sia
pronunciata condanna irrevocabile, ciò nonostante essa non esplica efficacia assoluta e
totalmente preclusiva, in ragione della previsione legislativa di plurimi strumenti che
consentono al giudice dell’esecuzione di operare interventi integrativi o modificativi delle
statuizioni già divenute definitive, primo fra tutti la possibilità di revoca della sentenza di
condanna di cui all’art. 673 c.p.p..
2.1.1. Con detta decisione è stato, quindi, affrontato il tema della distinzione ontologica
tra declaratoria di incostituzionalità della norma penale ed ordinario intervento legislativo
abrogativo, giustificato da mutata considerazione delle finalità da perseguire con le disposizioni
penali: nel primo caso, la pronuncia di illegittimità costituzionale travolge sin dall’origine la
norma scrutinata secondo un fenomeno diverso da quello dell’abrogazione, che limita l’efficacia
della sua applicazione a fatti verificatisi sino ad un certo limite temporale, potendo dar luogo a
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2. La soluzione così offerta non è conforme agli orientamenti espressi dalle Sezioni Unite

successione di leggi nel tempo in relazione alla diversa regolamentazione della stessa materia
introdotta.
Pertanto, nella prima situazione, poiché la norma incostituzionale viene “espunta
dall’ordinamento proprio perché affetta da invalidità originaria”, sorge l’obbligo per i giudici
avanti ai quali si invocano le norme dichiarate incostituzionali di non applicarle, obbligo
vincolante anche quando il contrasto con i valori costituzionali sia riscontrato in disposizione di
legge penale sostanziale, diversa da quella incriminatrice perché incidente soltanto sulla pena,

illiceità penale.
Ne discende che “tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di
condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere
rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere
eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati”.
In tal modo, in aderenza al disposto dell’art. 30, comma 4, della L. n. 87 del 1953,
secondo il quale, quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti
penali, si è chiarito, da un lato, che l’omesso inserimento nel testo dell’art. 673 c.p.p. del caso
di declaratoria di incostituzionalità di norma penale relativa al solo trattamento sanzionatorio
non impedisce l’esercizio dei poteri del giudice dell’esecuzione, dall’altro, che la rilevanza della
pronunzia di incostituzionalità della disposizione sulla pena incontra il limite dell’esaurimento
del rapporto esecutivo.
2.2. Tali principi hanno, poi, ricevuto ulteriore precisazione per effetto di un successivo
intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, prima richiamato, con la sentenza n. 33040 del
26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205, la quale ha stabilito che: “È illegale la pena determinata dal
giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato, per le droghe
cosiddette “leggere”, sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge
n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale
con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa
entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della
novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità” (in tal senso,
in precedenza anche Sez. 1, n. 52981 del 18/11/2014, De Simone, Rv. 261688; Sez. 1, n.
53019 del 4/12/2014, Schettino, Rv. 261581).
Con detta decisione e con altre successive pronunce delle sezioni semplici (v. Sez. 3, n.
36357 del 19/5/2015, Testani, Rv. 264880), si è affermato, cioè, il fondamentale principio per
cui è da considerarsi inibita qualsiasi operazione di riduzione della pena meramente automatica
o aritmetico-proporzionale, dovendo il giudice fare necessariamente uso dei poteri discrezionali

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così divenuta illegale nella sua misura, sebbene irrogata a punizione di un fatto di immodificata

attribuitigli dagli artt. 132 e 133 c.p. ed adeguare in tal modo la sanzione al disvalore del fatto,
tenendo conto dei limiti edittali minimi e massimi previsti dalla fattispecie ripristinata.
2.3. In base alle considerazioni sinora svolte ed ai principi di diritto enunciati,
l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Milano, che dovrà
procedere ad nuova determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p., attenendosi ai
seguenti due parametri: a) il rispetto dei limiti edittali dell’art. 73 previsti, in relazione alla
tipologia di condotta e di sostanza stupefacente oggetto di contestazione nel presente

poi dichiarate incostituzionali con sentenza della Consulta n. 32 del 2014; b) le valutazioni già
effettuate dal giudice della cognizione, quali desumibili dal contenuto delle sentenze acquisite,
in ordine alla sussistenza del fatto e alla valenza delle condotte per le quali è intervenuta
l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

processo, dal D.P.R. n. 309 del 1990 prima delle modifiche apportate dalla L. n. 49 del 2006,

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