Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6597 del 19/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 6597 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 19/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Brizzi Stefano, n. a Roma il
31.07.1963, rappresentato e assistito dall’avv. Francesco Gianzi
avverso la sentenza n. 6758/2012 della Corte d’Appello di Roma,
seconda sezione penale, in data 05.03.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letta la memoria ex artt. 121 e 613 cod. proc. pen. depositata in data
13.12.2013 dall’avv. Carlo Zaccagnini, difensore della parte civile
Versaci Giovanna Carmela;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Antonio
Gialanella, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venisse
accolto con annullamento con rinvio con riferimento al primo motivo
di doglianza da ritenersi assorbente;

1

udito il difensore della parte civile Versaci, avv. Zaccagnini il quale ha
concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso con condanna del
ricorrente alle spese del grado;
udito il difensore del ricorrente, avv. Gianzi che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso con conseguenziale annullamento con rinvio
della sentenza impugnata.

1.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma, in riforma
della sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Roma in data
10.01.2012 appellata dall’imputato Brizzi Stefano e dalla parte civile
Versaci Giovanna Carmela, determinava la provvisionale in favore di
quest’ultima in euro 180.000,00, confermando nel resto la pronuncia
di primo grado e condannando il Brizzi al pagamento delle ulteriori
spese processuali e a quelle sostenute dalle parti civili Imperiali
Francesca e Versaci Giovanna Carmela.
Nella sentenza di primo grado il Brizzi era stato riconosciuto
colpevole dei reati di truffa continuata ed aggravata, sostituzione di
persona e falso in certificazione commesso da privato in concorso
con ignoto e condannato, previo riconoscimento del vincolo della
continuazione, alla pena di anni quattro di reclusione ed euro
3.000,00 di multa nonché al risarcimento dei danni morali e materiali
in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, con
assegnazione di una provvisionale di euro 100.000,00 a favore di
ciascuna parte civile e condanna alle spese.

2.

Ricorre per cassazione, assistito da difensore, Brizzi Stefano per
chiedere l’annullamento della sentenza impugnata, lamentando:
– (primo motivo) violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod.
proc. pen. in relazione all’art. 2-ter, comma 6 della I. n. 125/2008;
– (secondo motivo) violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e)
cod. proc. pen. in relazione all’art. 494 cod. pen.;
– (terzo motivo) violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod.
proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. pen.;
– (quarto motivo) violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e)
cod. proc. pen. in relazione all’art. 99 cod. pen..
2.1. In relazione al primo motivo, il ricorrente chiedeva di dichiararsi

2

la nullità dell’ordinanza emessa in data 21.11.2008 che aveva
rigettato la richiesta di applicazione pena avanzata ai sensi dell’art.
2-ter comma 6 I. 125/2008, tempestivamente impugnata con l’atto
di appello e, conseguentemente, di dichiararsi la nullità del giudizio
di primo grado nonché della sentenza di appello che aveva
acriticamente recepito le considerazioni del giudice di primo grado.
In particolare, il deducente lamenta come non fosse stato concesso
dal giudice di primo grado un breve rinvio ovvero non fosse stata

‘è

disposta una temporanea sospensione dell’udienza al fine di
consentire alla difesa di concordare con il pubblico ministero la
sanzione da applicare a norma dell’art. 444 cod. proc. pen..
2.2. In relazione al secondo motivo, il ricorrente lamenta la carenza
e la contraddittorietà della motivazione sotto il profilo dell’esclusione
del concorso apparente di norme di cui agli artt. 477 e 494 cod.
pen..
2.3. In relazione al terzo motivo, il ricorrente contesta il criterio
probatorio enunciato in sentenza in relazione al quale il Brizzi è stato
ritenuto responsabile dei reati contestati solo a seguito delle
individuazioni fotografiche effettuate dalle persone offese, senza
considerare come le medesime fossero portatrici di un interesse
proprio. Lamenta altresì il ricorrente come non si era in alcun modo
acclarato che le individuazioni fotografiche fossero state in qualche
modo precedute da una descrizione della persona da individuare.
2.4. In relazione al quarto motivo, lamenta il ricorrente l’eccessiva
gravosità del trattamento sanzionatorio ed in particolare l’assenza di
adeguata motivazione in ordine all’aumento di pena per effetto di
recidiva in fattispecie non ad aumento di pena obbligatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Ritiene il Collegio come il primo motivo di ricorso relativo alla
richiesta di annullamento della sentenza impugnata relativamente al
rigetto dell’istanza di differimento dell’udienza per la proposizione
dell’istanza di patteggiamento risulti fondato.
Invero, all’udienza del 21.11.2008 avanti al Giudice monocratico
presso il Tribunale di Roma il difensore dell’imputato, munito di
procura speciale, chiedeva ai sensi dell’art. 2-ter comma 6 della I.

3

S

24.07.2008 n. 125 di poter avanzare istanza di applicazione pena ex
art. 444 cod. proc. pen.: a tal fine chiedeva breve rinvio per trovare
accordo sulla pena con il pubblico ministero non avendo potuto farlo
in quella sede per il particolare aggravio dell’udienza e,
sostanzialmente, per motivi di tempo; sulla richiesta di differimento,
il pubblico ministero nulla osservava, mentre la difesa di parte civile
si rimetteva alla decisione del giudice. Quest’ultimo respingeva la
richiesta ritenendo come la legge prevedesse che l’accordo per il

‘t

patteggiamento dovesse essere perfezionato nella prima udienza
(ndr., quella del 21.11.2008) successiva alla data di entrata in vigore
della legge da interpretarsi come termine di decadenza, che la parte
– officiata dell’incarico difensivo dal 2006 – aveva avuto tutto il
tempo per accordarsi con la pubblica accusa, e che la ratio della
norma fosse quella di snellimento e di deflazione e non di ulteriore
appesantimento dei tempi del processo.
L’interpretazione normativa resa dal giudice di primo grado e
confermata dal giudice d’appello è errata e configura violazione di
legge.
L’art. 2-ter comma 6 della I. 24.07.2008 n. 125, così recita: “Nel
corso dei processi di primo grado relativi ai reati in ordine ai quali, in
caso di condanna, deve trovare applicazione la legge 31 luglio 2006,
n. 241, l’imputato o il suo difensore munito di procura speciale e il
pubblico ministero, se ritengono che la pena possa essere contenuta
nei limiti di cui all’articolo 1, comma 1, della medesima legge n. 241
del 2006, nella prima udienza successiva alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto possono
formulare richiesta di applicazione della pena ai sensi degli articoli
444 e seguenti del codice di procedura penale, anche se risulti
decorso il termine previsto dall’articolo 446, comma 1, del medesimo
codice di procedura penale”.
Il successivo comma 7 prevede: “La richiesta di cui al comma 6 puo’
essere formulata anche quando sia gia’ stata in precedenza
presentata altra richiesta di applicazione della pena, ma vi sia stato il
dissenso da parte del pubblico ministero ovvero la stessa sia stata
rigettata dal giudice, sempre che la nuova richiesta non costituisca
mera ripro posizione della precedente”
Rileva il Collegio come, se è vero che il legislatore non ha inteso

4

replicare espressamente nell’invocato art. 2-ter comma 6 della I. n.
125/2008 la disposizione dell’art. 5, comma 2, I. 12.06.2003 n. 134
che concedeva un termine di sospensione del dibattimento di
quarantacinque giorni all’imputato che alla prima udienza successiva
all’entrata in vigore della legge formulasse istanza di rinvio per
valutare l’opportunità di accedere al rito speciale ex art. 444 cod.
proc. pen., e quand’anche si volesse ritenere inapplicabile detta

disposizione alla presente fattispecie, non per questo è possibile
ritenere che la norma dell’art. 2-ter comma 6 della I. n. 125/2008
preveda un termine di decadenza per la formalizzazione dell’accordo
in merito all’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen..
Invero, nel ritenere che, per accedere al rito speciale, alla prima
udienza utile – non rinviabile – si dovesse contestualmente
formalizzare richiesta ed accordo, il giudice di merito è incorso in
interpretazione erronea dal momento che il dettato normativo si
limita a prevedere la sola presentazione della richiesta e non la
conclusione del negozio giudiziale: detta conclusione si trae dal fatto
che il legislatore, con riferimento all’istituto in parola, laddove ha
inteso riferirsi al negozio, lo ha esplicitato senza equivoci operando
un chiaro riferimento alla “richiesta congiunta” ovvero alla “richiesta
… con il consenso … dell’altra parte” (cfr., art. 447, comma 1 cod.
proc. pen.).
Né si può accedere alla contraria tesi che, quantomeno per evitare la
decadenza, in quella sede l’imputato dovesse avanzare almeno la
richiesta di applicazione pena atteso che, a parere del Collegio,
esisteva un diritto della parte privata ad ottenere un differimento
dell’udienza (richiesta che non aveva trovato l’opposizione né del
pubblico ministero né della difesa di parte civile) per procedere a
detta formalizzazione in ossequio all’estensibile interpretazione di
applicazione generalizzata del regime di concedibilità dei termini
prevista dall’art. 5 I. n. 134/2003 attesa la ratio dell’istituto (cfr.,
Cass., Sez. 5, n. 16285 del 07/02/2013, Gattuso, rv. 255191,
secondo cui in materia di patteggiamento, l’istanza di applicazione di
pena, rispettosa dei limiti consentiti prima della modifica dell’art. 444
cod. proc. pen., è proponibile nei termini prolungati previsti dalla
disciplina transitoria contenuta nell’art. 5 legge n. 134 del 2003).
Ma non solo. La tesi contraria – che necessariamente involge

5

un’interpretazione assolutamente restrittiva dell’istituto in evidente
contrasto con il favor riconosciuto dal legislatore per la celebrazione
dei riti c.d. deflattivi – oltre a non trovare un fondamento normativo,
finirebbe comunque per rendere vano ed inapplicabile l’istituto del
patteggiamento, ogni qual volta il pubblico ministero ritardasse di
manifestare tempestivamente il proprio parere, tenendo un
atteggiamento – per così dire – ostruzionistico a danno evidente

(oltre che irreparabile) dell’imputato che, per scelta insindacabile
della propria controparte processuale, finirebbe per non aver accesso
al rito.
V’è parimenti vizio di motivazione nella sentenza impugnata nella
parte in cui la medesima riconosce che, a tutto concedere, la dedotta
nullità sarebbe di carattere relativo non potendo ricondursi il diniego
all’accesso al rito speciale ad un’ipotesi di nullità assoluta o a regime
intermedio, traendone come conseguenza la tardività della sua
deduzione (art. 182 cod. proc. pen.). In realtà, il provvedimento di
mancata concessione del termine per formalizzare la richiesta di
applicazione pena

ex art. 444 cod. proc. pen., non potendosi

considerare come atto abnorme – situazione che avrebbe senz’altro
legittimato un immediato ricorso per cassazione (Cass., sez. 1, n.
2877 del 12/01/2005, Maresca, rv. 230557) – poteva essere
impugnato – come avvenuto – solo con l’atto di appello avverso la
sentenza di primo grado, giusta la previsione di cui all’art. 586,
comma 1 cod. proc. pen..
In buona sostanza, era diritto del ricorrente vedersi riconosciuto un
differimento del dibattimento al fine di poter formalizzare la propria
richiesta di applicazione pena ex art. 444 cod. proc. pen..
4. Il rigetto dell’istanza di differimento ha, di fatto, prodotto i medesimi
effetti sostanziali che sarebbero conseguiti ad una reiezione della
richiesta di applicazione pena, avendo successivamente introdotto la
fase dibattimentale. Come è noto, l’accesso alla fase del dibattimento
comporta l’applicazione della disciplina del rito ordinario, di tal che si
offre al giudice la possibilità di assolvere l’imputato, con applicazione
in tal caso anche delle regole di giudizio dell’art. 530, comma 2 cod.
proc. pen., ovvero di pronunciare sentenza di condanna: sentenza
che, in ogni caso, essendo pronunciata all’esito di una cognitio piena
conseguente all’effettuato dibattimento, non può essere parificata ad

6

una sentenza di applicazione pena che del dibattimento prescinde
totalmente (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, n. 21406 del 17/04/2002dep. 31/05/2002, Cacace, rv. 222141, nella quale si precisa peraltro
che, per il resto, tale sentenza va accomunata a quella emessa prima
del dibattimento ex art. 444, comma 2 cod. proc. pen., e per
conseguenza può avere solo il contenuto previsto dall’art. 445,
comma 1, essendo coerente con la ratio dell’istituto che l’imputato

abbia diritto al trattamento premiale previsto dal legislatore per il
patteggiamento predibattimentale, ovverosia non solo alla riduzione
della pena sino a un terzo, ma anche all’esonero dalle spese
processuali, dalle pene accessorie e dalle misure di sicurezza,
eccettuata la confisca obbligatoria ed all’inefficacia della sentenza nei
giudizi civili o amministrativi, salva l’efficacia per i giudizi attinenti
alla responsabilità disciplinare, introdotta dagli artt. 1 e 2 della legge
27.3.2001, n. 97).
Ed è solo quando l’imputato risulti colpevole del reato contestatogli,
avendo il giudice compiuto una verifica positiva della sussistenza del
fatto illecito e della responsabilità del suo autore, è consentito
accertare le ragioni del dissenso del pubblico ministero ovvero del
rigetto dell’accordo da parte del giudice di una fase processuale
precedente e, nel caso di riconosciuto ingiustificato mancato
perfezionamento dell’accordo trilaterale, applicare la pena richiesta
dall’imputato.
Nella fattispecie, all’esito del conseguito dibattimento, è stata
accertata e dichiarata la penale responsabilità dell’imputato ed il
medesimo è stato condannato alle pene di legge.
Nel successivo giudizio di appello, il giudice di secondo grado,
investito – a seguito di specifico motivo di gravame – della questione
relativa alla mancata concessione del termine per la formalizzazione
della richiesta di applicazione pena, ha riconosciuto la legittimità del
provvedimento di diniego da parte del giudice di primo grado,
pronunciando nel merito e confermando il giudizio di penale
responsabilità dell’imputato.
Come si è detto in premessa, con il presente ricorso in cassazione, il
deducente, oltre al primo motivo testè esposto, né ha articolato altri,
esponendo le proprie difese anche nel merito dell’accertamento della
propria responsabilità penale.

7

Tra il primo motivo ed i successivi, il ricorrente non ha inteso
procedere ad una forma di graduazione che potesse prevedere
l’assorbenza o la rinuncia dei secondi nell’ipotesi di accoglimento del
primo, finendo col porre sullo stesso piano l’ingiustificata sostanziale
mancata ammissione al rito speciale con l’ingiusta affermazione della
propria penale responsabilità.
Tale “scelta” processuale – che ha visto il ricorrente non subordinare

il controllo di legittimità sul riconoscimento della penale
responsabilità a quello sulla mancata ammissione al rito speciale impone al Collegio di procedere in ogni caso al vaglio dei restanti
motivi di gravame (cfr, in fattispecie assimilabile, Cass., Sez. 5, n.
26799 del 14/12/2004-dep. 20/07/2005, Mascani ed altri, rv.
232283). I medesimi “ulteriori” motivi, peraltro, si profilano tutti
infondati per le ragioni che si andranno ad esporre.
5. Invero, con il secondo motivo di gravame, il ricorrente censura la
decisione della Corte d’Appello di Roma nella parte in cui ha escluso
il concorso apparente di norme di cui agli artt. 477 e 494 cod. pen.,
riconoscendo come la prima norma sia volta alla tutela
dell’autenticità delle certificazioni pubbliche, mentre la seconda sia
posta a salvaguardia dell’identità della persona.
Rileva il ricorrente come già dalla collocazione sistematica delle due
norme (titolo settimo del codice penale) appaia di tutta evidenza
come entrambe le disposizioni siano dirette a salvaguardare interessi
di natura pubblicistica, ancorchè sotto profili diversi. In particolare,
la norma dell’art. 494 cod. pen. contiene al suo interno una clausola
di salvaguardia che vale ad escluderne l’applicabilità nell’ipotesi in
cui detto reato venga assorbito in altra fattispecie più grave. Invero,
in applicazione dell’invocata giurisprudenza della Suprema Corte
secondo cui “il reato di sostituzione di persona può ritenersi assorbito
in altra figura criminosa, quando ci si trovi in presenza di un unico
fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui
all’art. 494 cod. pen., sia a quella di altra norma posta a tutela della
fede pubblica” (Cass., Sez. 2, n. 17767 del 18/03/2010-dep.
10705/2010, Presta), i giudici di merito avrebbero dovuto risolvere il
conflitto apparente di norme ai sensi dell’art. 15 cod. pen. e, di
conseguenza, riconoscere la responsabilità penale dell’imputato
limitatamente al reato di cui all’art. 477 cod. pen..

8

La censura è infondata.
La medesima giurisprudenza di legittimità indicata dal ricorrente,
nell’affermare che il delitto di sostituzione di persona può ritenersi
assorbito in altra figura criminosa solo quando ci si trovi in presenza
di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla
previsione di cui all’art. 494 cod. pen., sia a quella di altra norma
posta a tutela della fede pubblica, afferma di contro che, si ha

concorso materiale di reati allorquando ci si trovi in presenza di una
pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate.
Nella fattispecie, v’è pluralità di fatti – e, conseguentemente,
impossibilità di assorbimento – in quanto il Brizzi Stefano è stato
accusato (e riconosciuto responsabile) di aver, in concorso con
ignoto, falsamente formato una carta d’identità avente il medesimo
numero di quella intestata al padre Brizzi Giuseppe e riportante le
generalità di quest’ultimo con l’effigie dell’ignoto complice (capo E
d’imputazione) e, con la medesima falsa carta d’identità, di aver:
– in data 29.09.2005, indotto in errore Versaci Giovanna Carmela,
Imperiali Francesca e Mariani Stefano (capo D);
– in data (anteriore e prossima al) 1°.08.2005, indotto in errore i
funzionari della Banca del Fucino sede di Roma, così ottenendo
l’apertura di un conto corrente bancario sul quale faceva transitare
gli assegni emessi a suo favore dalla truffata Imperiali Francesca
(capo F).
6. Il terzo motivo di doglianza si articola da un lato sulla dedotta
inattendibilità dei testi che avevano accusato il Brizzi a ragione di un
loro interesse in causa (primo profilo) e, dall’altro, sulle irrituali
modalità di effettuazione del riconoscimento fotografico effettuato
nel corso delle indagini preliminari non risultando che lo stesso fosse
stato preceduto da una descrizione preventiva del soggetto da
riconoscere da parte del chiamato al riconoscimento (secondo
profilo).
Entrambe le censure risultano infondate.
In relazione al secondo profilo, si evidenzia come la Suprema Corte
abbia affermato che l’individuazione di un soggetto – sia personale
che fotografica – costituisca una manifestazione riproduttiva di una
percezione visiva e rappresenti, una specie del più generale concetto
di dichiarazione; pertanto, la sua forza probatoria non discende dalle

9

modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della
dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione
testimoniale (Cass., Sez. 6, n. 6582 del 05/12/2007-dep.
12/02/2008, Major e altri, rv. 239416; in termini similari, Cass., Sez.
5, n. 22612 del 10/02/2009-dep. 29/05/2009, Paluca, rv. 244197;
Cass., Sez. 2, n. 47871 del 28/10/2003-dep. 15/12/2003, Tortora,
rv. 227079; Cass., Sez. 4, n. 45496 del 14/10/2008-dep.

09/12/2008, Capraro e altri, rv. 242029). La certezza della prova,
quindi, non discende dal riconoscimento come strumento probatorio
(che, come mezzo di prova atipico, non richiede alcuna formalità),
ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo
dell’individuazione.
Fermo quanto precede, risulta come i giudici di merito abbiano dato
atto che il Brizzi fosse stato riconosciuto – nelle fotografie facenti
parte di album predisposti dagli inquirenti contenenti non solo le foto
dell’imputato ma anche quelle di altre persone – non solo da tutte le
sue vittime del reato di truffa (Versaci Giovanna Carmela, Imperiali
Francesca, Mariani Stefano) ma anche da numerose altre persone
(tali avv. Buceti, il coniuge di Imperiali, il coniuge di Versaci, il figlio
di Versaci, tale Conetta Adelaide, amica di quest’ultima), prive di
alcun interesse in causa – e ciò in relazione al secondo profilo avvalorando ulteriormente in tal modo il risultato probatorio
raggiunto: le versioni testimoniali rese da questi soggetti, non
necessitanti di alcun riscontro, sono state ritenute – con motivazione
congrua ed immune da vizi logici – coerenti e genuine.
7. Pari infondatezza ha il quarto motivo di doglianza.
Il giudici di merito hanno proceduto alla quantificazione della pena
facendo puntuale riferimento ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
e giustificando il trattamento sanzionatorio con il richiamo
all’intrinseca gravità dei fatti, posti in essere da soggetto (gravato da
contestata e riconosciuta recidiva reiterata e specifica) con plurime e
allarmanti pregresse condanne per reati contro il patrimonio e in
materia di armi. Nella determinazione della pena, i giudici di merito
hanno operato il calcolo della sanzione imputabile alla recidiva ex
art. 99, comma 4 cod. pen..
Lamenta il ricorrente che, trattandosi di recidiva con aumento di
pena facoltativo, il giudice avrebbe dovuto espressamente motivare

10

sia sull’an che sul quantum del predetto aumento di pena.
Ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato, alla luce dei
riferimenti operati alla personalità delinquenziale del reo, abbia reso
adeguata,

anche

se

implicita,

motivazione.

L’applicazione

dell’aumento di pena ex art. 99, comma 4 cod. pen., risolvendosi di
fatto in un sostanziale rigetto della richiesta di esclusione della
recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere

motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione
espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita (Cass.,
Sez. 2, n. 40218 del 19/06/2012-dep. 12/10/2012, Fatale e altri, rv.
254341, in fattispecie nella quale la Corte aveva ritenuto implicita la
motivazione sul diniego della richiesta di esclusione della recidiva
facoltativa,

desumendola

dalla

disamina

della

personalità

dell’imputato, emergente dalla dettagliata descrizione delle condotte
criminose dallo stesso tenute, dalla gravità dei fatti).
8. Per le ragioni sopra esposte consegue pertanto, in accoglimento del
primo motivo di gravame, l’annullamento della sentenza impugnata
limitatamente all’avvenuto rigetto dell’istanza di differimento
dell’udienza per la proposizione dell’istanza di patteggiamento con
rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, con rigetto nel
resto del ricorso.
A norma dell’art. 624, comma 2 cod. proc. pen., alla luce dei motivi
di doglianza sollevati per i quali è intervenuta la presente pronuncia
di rigetto, va riconosciuta e dichiarata come definitiva l’affermazione
della penale responsabilità di Brizzi Stefano in relazione ai reati a lui
ascritti (cfr., Cass., Sez. 6, n. 4971 del 15/01/2009-dep.
04/02/2009, Mancuso, rv. 242915).
Il giudice del rinvio sarà tenuto a concedere termine all’imputato per
consentirgli di formalizzare istanza di applicazione pena ex art. 444
cod. proc. pen. raccogliendo contestualmente l’eventuale consenso
del pubblico ministero onde procedere successivamente alle
valutazioni di rito in ordine all’accoglibilità del negozio processuale.
Nell’ipotesi in cui la proponenda richiesta di applicazione pena
dell’imputato dovesse incontrare il dissenso del pubblico ministero
ovvero, nonostante l’accordo dell’organo dell’accusa, venisse
rigettata dal giudice, quest’ultimo procederà comunque ad applicare
la pena e le statuizioni civili già disposte all’esito del celebrato

11

giudizio di merito, sebbene – in entrambe le situazioni – rimarrà
fermo il diritto dell’imputato ad impugnare la decisione, ex art. 448
cod. proc. pen., con riferimento, nel primo caso, alla sola mancata
prestazione del consenso da parte del pubblico ministero e, nel
secondo caso, al solo rigetto dell’istanza da parte del giudice.
Parimenti, in ipotesi di mancata formalizzazione della richiesta di
applicazione pena, il giudice procederà ad applicare al Brizzi la pena

Il Brizzi, infine, va condannato al pagamento delle spese processuali
nonché al pagamento delle spese sostenute nel presente grado dalla
costituita parte civile, spese che si liquidano, come da richiesta, in
euro 3.647,00 oltre IVA e CPA

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al rigetto dell’istanza di
differimento

dell’udienza

per

la

proposizione

dell’istanza

di

patteggiamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di
Roma. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara definitiva l’affermazione di
penale responsabilità di Brizzi Stefano per i reati a lui ascritti. Condanna
il Brizzi al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile Versaci
Giovanna Carmela che liquida in euro 3.647,00 oltre IVA e CPA.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 19.12.2013

(e le ulteriori statuizioni civili) già disposte nel giudizio di merito.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA