Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6590 del 16/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6590 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOHAMED MOHAMED MOUSSA N. IL 07/05/1992
avverso la sentenza n. 11/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
PALERMO, del 08/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile,
Udit i difensor Avv.

C-42/’f

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Data Udienza: 16/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di
Palermo, in parziale riforma di quella della Corte di assise di Agrigento appellata
dall’imputato Mohamed Mohamed Moussa, dichiarava la nullità della sentenza
appellata quanto alla condanna per il capo D; la confermava con riferimento alla
condanna per il reato sub A e rideterminava la pena in anni sei di reclusione ed
euro 4.065.000 di multa.

pen. e 12, comma 3, lett. a), b), c), d), e), 3 bis e 3 ter lett. b) D. L.vo 286 del
1998 perché, in concorso con altri soggetti separatamente giudicati, al fine di
trarne profitto, si era posto alla guida di un’imbarcazione di legno di metri 15,
compiendo atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di 271
cittadini stranieri in violazione della normativa in materia di immigrazione.
Nel corso del tragitto erano morti 25 clandestini per asfissia: evento
contestato ai sensi dell’art. 586 cod. pen. e qualificato dalla Corte territoriale
come omicidio volontario plurimo, con conseguente trasmissione degli atti al
P.M..

L’imbarcazione era stata soccorsa dalla Guardia di Finanza a venti miglia da
Lampedusa, essendosi trovata in difficoltà, ed era stata scortata al porto
dell’isola.
I testimoni escussi in dibattimento con le forme di cui all’art. 197 bis cod.
proc. pen. avevano riferito che l’imbarcazione era partita da un porto libico il
30/7/2011: i migranti, dopo avere saldato il prezzo del trasporto, erano stati
fatti salire da persone indossanti divise dell’esercito libico; il natante era
sovraffollato, molti di loro non avevano nemmeno lo spazio per sedersi, alcuni
viaggiatori erano stati sistemati nel vano motore, mentre 59 nigeriani nel piccolo
locale di deposito del ghiaccio e del pescato: alcuni avevano cercato di uscirne
ma erano stati ricacciati indietro con calci e un bastone; i venticinque morti
facevano parte di questo ultimo gruppo.
Sulla barca vi era il pilota e due membri dell’equipaggio, oltre ad un quarto
soggetto in ausilio del pilota. Numerosi testimoni avevano riconosciuto l’odierno
ricorrente come uno dei membri dell’equipaggio, che picchiava i migranti che
cercavano di uscire dallo spazio assegnato, ma distribuiva anche viveri ed acqua,
con piena libertà di movimento.
La Corte territoriale rigettava il motivo di appello concernente il difetto di
giurisdizione dell’A.G. italiana, richiamando la Convenzione delle Nazioni Unite di
Montego Bay in base alla quale lo stato costiero, nel caso di violazione delle

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L’odierno ricorrente è stato condannato per il delitto di cui agli artt. 110 cod.

proprie leggi in materia di immigrazione, può esercitare il controllo nella zona
contigua, fino a 24 miglia dalla linea di base; trovava applicazione l’art. 10,
comma 1, cod. pen., trattandosi di reati a danno dello Stato italiano puniti con
pene superiori ad un anno di reclusione commessi da straniero presente sul
territorio; sussisteva, inoltre, la condizione di procedibilità della richiesta del
Ministro della Giustizia nonché la presenza sul territorio dello Stato.
La Corte rigettava, altresì, il motivo di appello concernente l’illeggibilità della
firma del Ministro della Giustizia che l’appellante poneva a base di una incertezza

si era tramutato in una querela di falso.
Secondo la Corte, la prova della responsabilità per il delitto sub A si traeva
dalle concordi dichiarazioni degli immigrati escussi; irrilevanti erano ritenute le
deposizioni dei testi somali che avevano negato di avere assistito ad atti di
violenza e avevano minimizzato le condizioni del viaggio, invece ben
rappresentate dalla documentazione video e fotografica: la Corte riteneva tali
testi inattendibili.
Sussistevano le aggravanti contestate: in particolare, la disponibilità di armi
si ricavava dall’uso di un bastone da parte dell’imputato per respingere i
passeggeri che cercavano di uscire dal posto loro assegnato; il fatto che esso
non fosse stato trovato poteva dipendere dal suo lancio in mare prima dell’arrivo
dei soccorsi ovvero dal suo non riconoscimento da parte dei soccorritori: del
resto, alcuni cadaveri presentavano segni di colpi contundenti alla testa.
L’aggravante del profitto era integrata: l’imputato perseguiva il suo ingresso
clandestino nel territorio dello Stato italiano; inoltre, collaborando con
l’organizzazione, era sicuramente partecipe del profitto economico che essa
otteneva, dimostrato dai pagamenti effettuati dai migranti prima di salire a
bordo e, comunque, aveva contribuito al suo raggiungimento.
La Corte, infine, escludeva la sussistenza dello stato di necessità
nell’imputato.

2. Ricorre per cassazione Mohamed Mohanned Moussa, deducendo violazione
di legge processuale e vizio di motivazione.
Nel caso di specie non sussiste la giurisdizione dell’A.G. italiana: i fatti sono
stati commessi in acque internazionali e le motovedette della Guardia di Finanza
e della Capitaneria di Porto avevano raggiunto l’imbarcazione oltre la “linea
contigua”; anche la morte di 25 trasportati era avvenuta nelle acque
internazionali.
Secondo il ricorrente, non è possibile invocare il diritto di inseguimento: in
effetti, l’inseguimento non era iniziato nelle acque territoriali nazionali che la

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sulla provenienza dell’atto. Si trattava di sospetto del tutto infondato e che non

nave libica non aveva mai solcato.
Ancora: non risultava provato che un frammento di condotta preparatoria
del reato fosse stato consumato nel territorio dello Stato.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce analoghi vizi in relazione al
difetto di procedibilità per invalidità della firma apposta dal Ministro della
Giustizia sulla richiesta di procedimento.
La sottoscrizione doveva ritenersi nulla stante la mancanza del timbro

rendere l’atto valido, deve essere riconoscibile o, comunque, provenire da
soggetto certo.

In un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 530 cod. proc.
pen. e vizio di motivazione.
La Corte territoriale si era limitata ad affermare l’attendibilità intrinseca alle
dichiarazioni del soggetti extracomunitari, senza rinvenire alcun riscontro ad
esse: né erano sufficienti argomenti di carattere logico.
I soggetti escussi certamente miravano a salvare la loro posizione sul
territorio italiano e avevano presumibilmente fornito identità false, essendo privi
di documenti di identificazione. Inoltre, non erano state prese in considerazioni le
testimonianze di immigrati di nazionalità somala, che indicavano l’innocenza
dell’imputato. Tutti i testimoni sentiti a dibattimento avevano reso dichiarazioni
differenti.

In un ulteriore motivo il ricorrente deduce illogicità della motivazione con
riferimento alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui ai commi 3 e 3 bis
dell’art. 12 D. L.vo 286 del 1998.
In effetti, i testimoni avevano riferito che l’imputato aveva fornito un aiuto
alla conduzione del natante: ma il dolo richiesto dalle aggravanti è specifico e il
fine di profitto non si riferisce ad una generica utilità. La mera fruizione del
trasporto da parte del ricorrente integrava un vantaggio non patrimoniale. In
definitiva, la condotta dell’imputato doveva essere inquadrata nella fattispecie
meno grave di cui all’art. 12, comma 1, D. L.vo 298 cit..
Il ricorrente contesta, altresì, il riconoscimento dell’aggravante della
disponibilità di armi, che non erano state rinvenute nell’imbarcazione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

identificativo della persona del Ministro o del suo delegato, perché la firma, per

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. Questa Corte ha già affermato – in un caso identico – che la giurisdizione
nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto
in violazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 286 del 1998 a bordo di una imbarcazione
priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la

diritto del mare, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma,
successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati
quale evento del reato l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per
l’intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni
del natante, dell’eccessivo carico e delle condizioni del mare. (Sez. 1, n. 18354
del 11/03/2014 – dep. 05/05/2014, P.M. in proc. Hamada, Rv. 262542)
In quella pronuncia si osservava che costituisce ormai un dato acquisito
come la richiesta di soccorso in mare, in ragione dello stato del natante o delle
condizioni del mare, sia uno strumento previsto e voluto per conseguire il
risultato prefisso dello sbarco sulle coste italiane. Attività di soccorso cui ogni
Stato è tenuto in forza di convenzioni internazionali (convenzione di Londra del 1
novembre 1974, ratificata con legge 313 del 1980; convenzione di Amburgo del
27 aprile 1979, ratificata con legge 3 aprile 89 numero 147; convenzione di
Montego Bay). Lo sbarco dei migranti, apparentemente conseguenza dello stato
di necessità che ha determinato l’intervento dei soccorritori, non è altro che
l’ultimo segmento di una attività

ab initio

pianificata, costituente il

raggiungimento dell’obiettivo perseguito dall’associazione e l’adempimento
dell’obbligo assunto verso i migranti.
La condotta dei trafficanti non può essere frazionata, ma deve essere
valutata unitariamente e si deve considerare mirata ad un risultato che viene
raggiunto con la provocazione e lo sfruttamento di uno stato di necessità. La
volontà di operare in tal senso anima i trafficanti fin dal momento in cui vengono
abbandonate le coste africane in vista dell’approdo in terra siciliana, senza
soluzione di continuità, ancorché l’ultimo tratto del viaggio sia apparentemente
riportabile all’operazione di soccorso, di fatto artatamente stimolato a seguito
della messa in condizione di grave pericolo dei soggetti, strumentalmente
sfruttata.
La condotta posta in essere in acque extraterritoriali si lega idealmente a
quella da consumarsi in acque territoriali, dove l’azione dei soccorritori nella
parte finale della concatenazione causale può definirsi l’azione di un autore

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previsione dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul

mediato, costretto ad intervenire per scongiurare un male più grave (morte dei
clandestini), che così operando di fatto viene a realizzare quel risultato (ingresso
di clandestini nel nostro paese) che la previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art.
12 intende scongiurare. Il nesso di causalità non può dirsi interrotto dal fattore
sopravvenuto (intervento dei soccorritori) inseritosi nel processo causale
produttivo dell’evento poiché non si ha riguardo ad evento anomalo,
imprevedibile o eccezionale, ma fattore messo in conto dai trafficanti per
sfruttarlo a proprio favore e provocato.

1998, art. 12 si determina, quindi, in base all’art. 6 cod. pen., essendosi nelle
acque territoriali e sul territorio nazionale verificato l’ingresso e lo sbarco dei
migranti, cioè l’evento del reato.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente pretende di trarre la nullità della richiesta del Ministro della
Giustizia dalla circostanza che la sottoscrizione apposta in calce alla dicitura
“Ministro della Giustizia” è illeggibile e per la mancanza del timbro identificativo
della persona del Ministro o del suo delegato.

Non è un caso che il ricorrente non indichi nessuna norma che preveda, a
pena di nullità, che la firma del Ministro debba essere leggibile o che debba
essere accompagnata da un timbro e tralasci del tutto il principio della tassatività
dei casi di nullità.
In realtà, come esattamente argomenta la Corte territoriale, ogni sospetto
sull’autenticità della sottoscrizione è irrilevante, risultando da numerosi altri
elementi la provenienza dell’atto e non essendo stata proposta querela di falso.

3. Anche gli ulteriori motivi del ricorso sono infondati.

Il terzo motivo di ricorso è palesemente inammissibile, atteso che ripropone
considerazioni di merito che la Corte territoriale ha già valutato e motivatamente
risolto: ciò vale, in particolare, per l’attendibilità attribuita ai testi che avevano
indicato Mohamed Mohamed Moussa come componente dell’equipaggio e gli
avevano attribuito specifiche mansioni, brutalmente esercitate, così come per
quella negata ai testi somali – cioè della stessa nazionalità dell’imputato – che,
invece, tendevano a scagionarlo; la Corte sottolinea che i fatti narrati dai testi
somali erano rocamboleschi e non confermati da alcuno; si deve anche ricordare
che – come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado – uno dei due
testi somali aveva ammesso di avere riconosciuto l’imputato come uno dei

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La competenza del giudice italiano per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del

soggetti che sulla barca forniva acqua e viveri ai migranti.
La dedotta mancanza di riscontri non sussiste: i testi ritenuti attendibili dalla
Corte territoriale erano concordi nell’indicare l’imputato come uno dei
componenti l’equipaggio e, quindi, si riscontravano a vicenda; si è già visto che
anche un teste somalo lo aveva implicitamente confermato; inoltre, un ulteriore
riscontro al racconto era costituito dal rinvenimento sui cadaveri dei segni di
percosse procurate con il bastone.

dell’organizzazione: in effetti, il viaggio dalla Libia all’Italia avveniva certamente
per motivi di profitto, come dimostrava la circostanza che i migranti, per salire a
bordo, dovevano saldare il debito con l’organizzazione.

Appare logica la deduzione della Corte territoriale secondo cui la
collaborazione da parte dell’imputato (non certo occasionale, ma durata per tutto
il tragitto) postulava una stretta interrelazione con gli organizzatori e, quindi,
faceva emergere il perseguimento di un fine economico (anche sotto forma di
riduzione o annullamento del prezzo del passaggio); si deve, comunque,
ricordare che l’aggravante sussiste anche per la finalità di profitto indiretto, che
deve intendersi un’aspettativa di arricchimento anche non di natura economica
ma comunque identificabile in un vantaggio apprezzabile, non necessariamente
connesso all’ingresso “contra ius” dello straniero favorito (Sez. 1, n. 15939 del
19/03/2013 – dep. 08/04/2013, Alcu e altro, Rv. 255637).

In ogni caso, la sentenza conclude correttamente che l’imputato aveva
“concorso a far realizzare ai correi il profitto del reato”: nei reati a dolo specifico,
esso non deve necessariamente essere presente in tutti i concorrenti, ben
potendosi affermare il concorso nel delitto di colui che agisce con dolo generico
nella consapevolezza di fornire un ausilio a coloro che sono spinti dal dolo
specifico richiesto dalla norma (principio affermato da questa Corte con
riferimento al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, Sez. 5, n.
6929 del 22/12/2000 – dep. 20/02/2001, Cangialosi G ed altri, Rv. 219244; Sez.
U, n. 30 del 27/09/1995 – dep. 14/12/1995, Mannino, Rv. 202904).

Quanto, infine, all’aggravante dell’arma, la motivazione della sentenza è
adeguata nell’indicare i riscontri alla presenza del bastone di cui avevano parlato
alcuni testimoni e i motivi per cui l’oggetto non era stato repertato dalla polizia
giudiziaria.

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4. La motivazione è adeguata in ordine al concorso nel profitto

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 16 dicembre 2015

Il Consigliere estensore

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