Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 659 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 659 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMADDIO ANTONIO N. IL 15/12/1981
avverso la sentenza n. 565/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
19/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 13/11/2013

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Antonino era condannato per il reato di furto di numerose confezioni di creme
estetiche, per un valore di circa C 5000, sottraendole dai locali del centro
estetico “Venere”, di Postacchini Simona, penetrando nottetempo, con violenza
sulle cose ed in concorso con altre due persone. La Corte d’appello di Ancona,
con la sentenza impugnata, riformava parzialmente la decisione di prime cure,
riconoscendo all’imputato le attenuanti generiche e, conseguentemente,
rideterminando la pena.
2. Contro la decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, con atto
sottoscritto personalmente ed affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod. proc.
pen., lettera B ed E, in relazione agli articoli 56, 624 e 625 cod. pen., per
travisamento della deposizione del teste De Palo, autore dell’arresto, secondo il
quale l’imputato fu fermato sulla soglia della porta del centro estetico, sicché egli
non ebbe nemmeno per un momento la possibilità di darsi alla fuga, né di
impossessarsi realmente della refurtiva. Poiché i militari intervennero mentre
l’azione delittuosa era ancora in corso, impedendone il compimento, la Corte
territoriale avrebbe dovuto qualificare la fattispecie in termini di furto tentato,
come puntualmente richiesto con i motivi di appello. Sotto questo profilo viene
dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 56 in relazione all’articolo 624
cod. pen., perché, secondo la giurisprudenza di legittimità per la consumazione
del reato è necessario che la cosa sia uscita dalla sfera di sorveglianza del
possessore e che 1″impossessamento” sia autonomo, effettivo e non solo
apparente. Nel caso di specie l’azione criminosa è avvenuta sotto la continua
sorveglianza dei Carabinieri e dunque non si è realizzato l’impossessamento; di
conseguenza ricorrevano i presupposti per qualificare il reato come furto tentato.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera B ed E, in relazione agli articoli 624 e 625 n. 2 cod. pen., con
riferimento all’aggravante della violenza sulle cose. Il ricorrente deduce infatti

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Con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 10 gennaio 2012, Amaddio

che il centro estetico era stato già derubato pochi giorni prima ed i ladri erano
penetrati forzando la medesima porta di ingresso, per cui i segni di effrazione
erano riconducibili al precedente episodio; a fronte di specifica deduzione, la
motivazione della sentenza di appello è del tutto carente. Sotto altro profilo
viene dedotta erronea applicazione dell’articolo 625 cod. pen., poiché

stata rotta, danneggiata, trasformata o ne sia mutata la destinazione, non
essendo sufficiente l’impiego di energia fisica. Nel caso di specie, invece, la porta
non presentava alcun danno, perché al momento dell’arresto era perfettamente
chiusa, per cui non sussistevano i presupposti oggettivi per l’applicazione
dell’aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
1.1 Va in primo luogo escluso il denunciato travisamento della prova, poiché le
dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria sono state correttamente intese dai
giudici di merito nella loro reale portata: la sentenza di primo grado riferisce di
uno “scontro” dell’imputato con gli agenti e quella di appello di un intervento
“casuale” delle forze dell’ordine; in realtà il ricorrente, attraverso la censura di
travisamento, tenta di introdurre in sede di legittimità un diverso apprezzamento
del risultato probatorio, inammissibile in sede di legittimità.
1.2 Anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett.
e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il
“travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv.
253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215; Cass. n.
27429/2006, Rv. 234559, Lobriglio) ed esso può essere fatto valere nell’ipotesi
in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo,
nel caso di cd. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi
in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla
critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non
esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc.

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l’aggravante si configura solamente laddove la cosa altrui oggetto di violenza sia

Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207;
Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130).
1.3 La nuova disciplina consente di dedurre il vizio di “travisamento della prova”,
che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova

decisiva, ossia quando l’errore disarticoli effettivamente l’intero ragionamento
probatorio e renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del
dato processuale/probatorio travisato, circostanza che nel caso concreto deve
escludersi, poiché le dichiarazioni del maresciallo De Paolo sono state fedelmente
apprezzate; ciò che differisce è l’interpretazione di tali dichiarazioni, poiché il
Tribunale e la Corte d’appello escludono che ci sia stata “sorveglianza” della
Forza pubblica, mentre il ricorrente ritiene che almeno una parte dell’azione
criminosa avvenne sotto il controllo degli agenti e che essi erano in grado di
interromperla, con una irruzione.
1.4 Quanto poi al profilo di diritto sostanziale, va ricordato che, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, il reato di furto si perfeziona nel
momento in cui il comportamento realizzato pone di fatto sotto il dominio
esclusivo dell’autore i cespiti rubati, in tal modo realizzando l’impossessamento
richiesto dalla fattispecie incriminatrice, sicchè, ad esempio, risponde di furto
consumato e non semplicemente tentato colui che abbia nascosto sulla sua
persona la cosa sottratta, anche se non si sia allontanato dal luogo della
sottrazione ed abbia esercitato un potere del tutto temporaneo sulla refurtiva,
essendo poi stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto, in conseguenza
dell’altrui pronto intervento (Sez. 5, n. 17045 del 20/02/2001, Picone, Rv.
219030).
Nella specie, dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella di
appello formando un unico complesso corpo argomentativo, poichè entrambe
concordano nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle
rispettive decisioni (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez.
2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181), emerge che l’imputato fu
fermato mentre trasportava due borsoni contenenti prodotti cosmetici, all’atto
dell’allontanamento dal centro estetico, per cui l’effrazione era già completata e
la condotta esprimeva un evidente controllo autonomo sulle cose sottratte,

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incontestabilmente diverso da quello reale, sempreché la difformità risulti

imponendo la qualifica del fatto in termini di furto consumato (Sez. 5, n. 37205
del 16/06/2010, La Fiura, Rv. 248423).
2. Anche la censura relativa alla insussistenza dell’aggravante è infondata,
poiché l’imputato, fermato e perquisito, risultava aver nascosto un piede di porco
nella cintura e nelle tasche due cacciavite ed un paio di forbici con lame a punta;

grado, pagina 5).
La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello sul punto “visti i segni di
effrazione recente e il possesso da parte dell’imputato degli attrezzi idonei allo
scasso, evidentemente serviti allo scopo”.
2.1 Infine il giudice di appello non ha errato nell’applicazione dell’art. 625 n. 2
cod. pen., poiché, come già affermato da questa Sezione, l’aggravante della
violenza sulle cose sussiste anche qualora la cosa sia semplicemente
danneggiata ancorché non privata della sua funzionalità, come quando la
portiera di un’autovettura presenti i segni di un’effrazione (Sez. 5, n. 22568 del
08/03/2012, Maggio, Rv. 252966).
3. In conclusione il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013
Il consigliere estensore

Il Presidente

inoltre la porta dell’esercizio commerciale era stata forzata (sentenza di primo

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