Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6586 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6586 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TARANTO
nei confronti di:
SCHIAVONE BRUNO AUGUSTO N. IL 13/02/1961
NOTARINICOLA RENATO BELLISARIO N. IL 26/06/1948
avverso la sentenza n. 423/2013 GIUDICE DI PACE di TARANTO, del
07/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. R
che ha concluso per

Data Udienza: 12/11/2015

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udita AlifensoreAvv.
1A: CK.3-1-147

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Ritenuto in fatto.

1.11 7 febbraio 2014 il giudice di pace di Taranto, in sede di rinvio, assolveva
perché il fatto non sussiste Schiavone Bruno Augusto e Notarnicola Renato
Bellisario dal reato di cui agli artt. 110, 595 c.p.
Gli imputati erano accusati di avere leso la reputazione dell’avv. Clemente,
definendo, in una missiva indirizzata al sindaco di Castellaneta, “truffaldina”

parte di un suo assistito.
2.L’ambito del devolutum rimesso al giudice di rinvio concerneva i seguenti
aspetti.
Occorreva verificare la destinazione dello scritto a firma dei due imputati alla
divulgazione a persone diverse e ulteriori rispetto al formale dal destinatario,
considerato che la: missiva era stata regolarmente protocollata agli atti dell’ufficio
e, come desumibile dalla sentenza cassata, conteneva una specifica esortazione a
dare mandato a legale di fiducia della Pubblica Amministrazione, perché rigettasse
l’istanza dell’avv. Clemente in quanto” infondata, pretestuosa e truffaldina”.
Era condivisibile la censura mossa dal Procuratore generale ricorrente sul punto
del travisamento della prova: la nota con cui l’avv. Clemente aveva invitato le
controparti a riconoscere le proprie responsabilità e a rifondere i presunti danni
cagionati non era, infatti, quella iniziale, a seguito della quale gli imputati avevano
eseguito le loro verifiche, bensì quella successiva (19 dicembre 2009). Considerato,
quindi, che la missiva del 19 dicembre 2009 era stata invitata, quando la missiva al
Sindaco — asseritamente diffamatoria — era già stata spedita il 20 ottobre 2009, era
logicamente impossibile invocarne un’ipotetica valenza di fatto ingiusto.
3. La sentenza del 7 febbraio 2014 perveniva all’esito assolutorio sulla base
delle seguenti argomentazioni.
I due imputati, nel confutare la pretesa avanzata dall’avv. Clemente, in quanto
“infondata, pretestuosa, truffaldina”, chiedevano al Sindaco di tutelarli, avendo essi
operato “nell’interesse della Pubblica Amministrazione e a tutela della pubblica
incolumità”, ma non incaricavano il Sindaco di divulgare a terzi la suddetta lettera.
D’altra parte, l’istruttoria dibattimentale non aveva consentito di individuare
l’identità di colui che aveva provveduto a protocollare il documento in questione,

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un’istanza a firma del professionista con la quale si vantavano ragioni di credito da

sicché non era possibile pensare “alla conoscenza della lettera proprio da parte di
coloro (o di colui) che” aveva proceduto alla citata operazione.
La missiva in esame del 20 ottobre 2009 non conteneva alcun invito, rivolto al
Sindaco, ad inoltrare il documento al dott. Sicuro e alla Giunta.
Dalla deposizione testimoniale dell’avv. Clemente emergeva che la lettera era
pervenuta allo stesso in forma anonima e che il professionista l’aveva trovata nella
cassetta postale del suo studio

giudizio risarcitorio promosso dall’avv. Clemente dinanzi al Tribunale di Taranto,
sezione distaccata di Ginosa, Schiavone aveva depositato, tra i documenti allegati al
proprio fascicolo, una copia della nota prot. 978 del 14 gennaio 2010 a firma
dell’allora difensore civico del Comune di Castellaneta nella quale si dava atto che
la nota n. 25211 prot. del 20 ottobre 2009, avente ad oggetto “esame della
situazione segnalata dall’avv. Giuseppe Clemente per insoluti nei confronti del sig.
Di Dio Giuseppe ritenuti a carico dell’ing. R. Notarnicola e del sig. Bruno
Schiavone” era stata inoltrata dall’ufficio di protocollo al Sindaco e che, il 23
ottobre 2009, il Sindaco aveva disposto che detta nota fosse inoltrata al dott. Sicuro
e alla Giunta.
Tali elementi di fatto, ad avviso del giudice di pace, era idonei ad integrare la
sussistenza dell’esimente prevista dall’art. 598 c.p.
S’inquadrava nell’ambito della medesima esimente, rientrando nell’ambito del
procedimento dinanzi all’Autorità amministrativa, l’invito rivolto dagli imputati al
Sindaco a dare mandato ad un legale di fiducia della Pubblica Amministrazione
Veniva, infine, sottolineata la circostanza che nella lettera gli imputati facevano
riferimento all’istanza dell’avv. Clemente – che assumeva carattere prodromico
rispetto all’eventuale negozio truffaldino e alle conseguenti determinazioni dei
soggetti interessati – e non all’azione della controparte, non essendo stata in quel
momento accertata l’esistenza di un credito e di un concreto ingiusto profitto,
essendo ancora in itinere il rapporto patrimoniale controverso fra le parti.
4.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
generale presso la Corte d’appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, il quale
formula le seguenti censure.
Prospetta la violazione dell’art. 598 c.p., atteso che la nota dell’avv. Clemente
che aveva determinato la reazione era stata inviata ai due imputati nella loro veste
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Dalla memoria difensiva dell’avv. Clemente si desumeva che, nel corso del

di privati cittadini e che, pertanto, l’informativa al Sindaco di Castellaneta era
illegittima.
Osserva che non è configurabile l’esimente prevista dall’art, 598 c.p., quando le
espressioni offensive sono contenute in una memoria difensiva inviata ad autorità
diverse dal legittimo contraddittore del procedimento e che l’operatività
dell’esimente è limitata all’ambito del giudizio ordinario o amministrativo nel corso
del quale le offese sono profferite a condizione che siano pertinenti all’oggetto della

Deduce violazione del 627 c.p.p. con riferimento alle argomentazioni poste a
fondamento della esclusione della destinazione della lettera alla divulgazione alla
luce delle considerazioni svolte dalla sentenza di annullamento.
Lamenta, inoltre, violazione dell’art. 595 c.p., atteso che l’elemento della
diffusività viene integrato non solo quando l’imputato provvede a comunicare a più
persone il contenuto di un atto diffamatorio, ma anche quanto le espressioni
offensive sono comunicate ad una sola persona, ma sono destinate ad essere riferite
anche ad un’altra che ne abbia, poi, effettiva conoscenza.

Considerato in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.In merito alla prima censura, manifestamente priva di pregio, il Collegio

osserva quanto segue. La sentenza impugnata, nel ricostruire analiticamente le
vicende scaturite dall’invio al Sindaco, da parte dei due ricorrenti, della lettera in
data 20 ottobre 2009, ha evidenziato, con argomentazione immune da vizi logici e
giuridici, che essa non era riferibile a vicende private, bensì riguardava la
correttezza del loro operato in rapporto a vicende di rilievo amministrativo. Sotto
tale profilo la condotta dei due imputati è stata motivatamente ritenuta riconducibile
all’ambito del procedimento dinanzi all’autorità amministrativa e del giudizio
risarcitorio promosso nei loro confronti dall’avv. Clemente dinanzi al Tribunale di
Taranto, sezione distaccata di Ginosa.
Sulla base di tali circostanze di fatto — insindacabili in sede di legittimità ove
sorrette, come nel caso di specie, da un coerente discorso giustificativo rispettoso
del dato normativo — il giudice di pace ha correttamente ravvisato la sussistenza
dell’esimente di cui all’art. 598 c.p. (il cui fondamento è da individuare
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causa o del ricorso amministrativo.

nell’esigenza di garantire la libertà di discussione e di difesa), mettendo in luce che
le condotte poste in essere riguardavano uno scritto delle parti afferente,
rispettivamente, ad un procedimento amministrativo e ad una causa civile, e
caratterizzato dall’attinenza all’oggetto dei suddetti procedimenti.
2.Con riferimento alla seconda censura, anch’ essa manifestamente infondata, il
Collegio osserva quanto segue.
2.1.In presenza di un annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione

decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte, ma
resta libero di pervenire allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata
sulla base di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità
ovvero dell’integrazione e dell’ulteriore approfondimento di quelle già svolte.
Spetta, infatti, esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di
fatto risultanti dalle emergenze processuali e di valutare il significato e il valore
delle relative fonti di prova. Egli non può essere condizionato da apprezzamenti di
merito eventualmente presenti nelle argomentazioni del giudice di legittimità, non
essendo compito di quest’ultimo sovrapporre il proprio convincimento a quello dei
giudici di merito in ordine a tali aspetti (Sez. 1, n. del 10 febbraio 1998, Scuotto;
Sez. 5, n. del 6 maggio 1999, Lezzi).
Qualora la Corte di Cassazione soffermi la sua attenzione su alcuni particolari
aspetti denotanti la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non
significa che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti
specificati ed eventuali profili valutativi contenuti nella sentenza di annullamento
possono, semmai, valere come meri punti di riferimento al fine della individuazione
del vizio motivazionale, ma non come statuizioni che perimetrano l’ambito del
devolutum (Sez. 5, n. del 20 gennaio 1992, Florio). In altri termini, il fatto che la
Corte di Cassazione, nell’annullare la sentenza d’appello, sottolinei alcuni aspetti
particolari, che denotano la carenza o la contraddittorietà della motivazione, non
comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti
specificati, quasi che questi potessero essere considerati isolatamente rispetto al
restante materiale probatorio. La Corte incaricata del nuovo giudizio ha, infatti,
<> (art. 627 comma 2 c.p.p.) che le competevano originariamente
relativamente alla individuazione e alla valutazione dei dati processuali nell’ambito
del capo della sentenza interessato dall’annullamento (Sez. 5, n. 6004 dell’ 1 1
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per vizio di motivazione, il giudice è vincolato dal divieto di fondare la nuova

novembre 1998; Sez. 6, n. 8162 del 4 maggio 1992; Sez. 5, n. 5539 del 20 gennaio
1992), spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati
di fatto risultanti dal compendio probatorio e di considerare il significato e il valore
delle relative fonti di prova.
A seguito di annullamento per vizio di motivazione, perciò, il giudice di rinvio
può liberamente procedere ad una nuova e completa valutazione delle acquisizioni
probatorie e resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da

svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata, essendo vincolato
soltanto dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti
illogici o carenti dalla Corte di Cassazione (Sez. 6, n. 16659 del 21 gennaio 2009;
Sez. 4, n. 30422 del 21 giugno 2005; Sez. 6, n. 5552 del 29 marzo 2000).
2.2. Così delineato l’ambito dei poteri spettanti al giudice di pace di Taranto in

sede di rinvio a seguito dell’annullamento per vizio della motivazione della
precedente decisione disposto dalla Quinta Sezione Penale di questa, il Collegio
ritiene che i rilievi del Procuratore generale ricorrente, pur se formalmente
ricondotti nell’alveo dell’art. 606, lett. b), c.p.p., non criticano in realtà
l’applicazione della legge penale sostanziale né la violazione di specifiche regole
inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì,
postulando un preteso travisamento del fatto, sollecitano la rilettura del quadro
probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in
sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione,
allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia -come nella
specie- una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata,
nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, non
indicative univocamente della destinazione alla divulgazione a terzi della lettera
inviata al Sindaco da parte dei due imputati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso, in Roma, il 12 novembre 2015.

quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già

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