Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6571 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6571 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PERUGIA
nei confronti di:
BASSEY FESTUS N. IL 17/04/1981
ENEBI RAYBENSON N. IL 27/10/1983
OMENAZU ROGERS KENNY N. IL 17/01/1974
AIGBEDION IRENE N. IL 11/12/1977
OKOLI JIULIUS N. IL 24/08/1970
AGUIUYI IRONSI NWAKAEGO N. IL 25/11/1975
EHIAGWINA DESTINY GODSWILL N. IL 05/10/1987
EGBOKHAN KENNEDY DETTO “MR AB” N. IL 27/10/1970
OJO TINA N. IL 16/06/1975
OBASEKI ADIA EMMANUEL N. IL 01/10/1970
OSAZUWA JOY N. IL 23/11/1976
MUKORO ANITHA N. IL 23/11/1980
avverso l’ordinanza n. 192/2015 TRIB. LIBERTA’ di PERUGIA, del
07/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SAND
lettersentite le conclusioni del PG Dott. C.;

Data Udienza: 17/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale di Perugia, sezione per il riesame annullava l’ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa nei confronti Bassev Festus ed altri per i reati di
truffa e ricettazione aggravati. Il collegio territoriale riteneva che il giudice per le
indagini preliminari si fosse limitato alla ricezione acritica della richiesta del
pubblico ministero. La valutazione dei gravi indizi di colpevolezza era limitata alla
esposizione dei fatti ed era assente una valutazione autonoma in contrasto con

esigenze cautelari veniva effettuata attraverso la ricezione delle argomentazioni
proposte dal pubblico ministero con una tecnica argonnentativa che non
distingueva le singole posizioni. Segnatamente: mancavano nel corpo
dell’ordinanza applicativa argomentazioni relative al contributo agevolatore degli
indagati a titolo di concorso, al fatto che le somme giunte da altri paesi fossero
provento di delitto. Si evidenziava, inoltre, come il reato di truffa poteva
ritenersi aggravato solo ai sensi dell’art. 61 n. 7 cod. pen. e non
dall’aggravante prevista dall’artt. 4 della legge 146 del 2006 che poteva essere
riferita solo a delitti con soglia edittale massima superiore ai quattro anni. Non
potendosi valutare l’aumento effettuato ai sensi dell’art. 61 n. 7 cod. pen. ai
sensi dell’art. 278 cod. pen.
Si rimarcava altresì che il testo novellato dell’art. 309 comma 9 cod. proc. pen.
consentiva al Tribunale per il riesame la integrazione di una motivazione
esistente, ma non la elaborazione di una motivazione assente.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso il pubblico ministero che deduceva
2.1. violazione di legge. Si deduceva che il tribunale del riesame avrebbe
imposto uno schema logico argomentativo che costringeva la libertà del
giudice di esprimere il proprio convincimento;
2.2. vizio di motivazione. Si deduceva l’illogicità della motivazione del
provvedimento impugnato poiché confonderebbe la autonomia della valutazione
con la originalità della stessa;
2.3. mancanza e contraddittorietà della motivazione. Si deduceva che il
Tribunale si era limitato ad affermare in astratto la carenza di valutazione
autonoma senza indicare «per quali ragioni affermi che il giudice per le indagini
preliminari non abbia posto in essere il percorso argomentativo richiesto dalla
norma»;
2.4. si proponeva l’accoglimento dell’ eccezione di illegittimità costituzionale
dell’art. 309 comma 9 cod. proc. pen. nella parte in cui la verifica del requisito
della autonomia della valutazione sarebbe affidata a valutazioni opinabili; in

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il precetto dell’art. 309 comma 9 cod. proc. pen. Anche la valutazione delle

particolare si rilevava che

la richiesta espressa

della

«autonomia della

valutazione» imporrebbe al «gip una condotta che intrinseca all’esercizio stesso
della giurisdizione, la cui precisazione testuale appare ultronea e fuorviante» e
«concede al Tribunale del riesame un potere sanzionatorio che esula da una
concreta e parametrata disciplina normativa»

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui la motivazione “per
relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1)
faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di
giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la
dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle
ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti
con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o
trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o
almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio
della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione
(Cass. sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Rv. 261839; Cass. Sez. U del
21/06/2000, n. 17, Primavera, Rv. 216664).
Perché possa ritenersi che il provvedimento motivato con la tecnica del rinvio ad
altro atto sia esistente, le condizioni indicate devono concorrere (e non essere
presenti in modo isolato): solo così alla motivazione può essere riconosciuto
l’attributo della autonomia, necessario per la valutazione delle esistenza del
provvedimento, che deve comunque distinguersi da quello al quale fa rinvio.
La tecnica del richiamo ad altri atti giudiziari (nel caso di specie alla richiesta di
applicazione di misura cautelare del pubblico ministero) non può, pertanto,
esaurire la motivazione del giudice chiamato a controllare la consistenza delle
esigenze cautelari e la gravità del quadro indiziario, se non emerge dal tessuto
motivazionale dell’ordinanza la consapevole e critica adesione alle valutazioni
offerte dal richiedente.
Le prassi giudiziarie che vedono il giudice per le indagini preliminari

limitarsi

alla ratifica con formule di stile delle valutazioni del pubblico ministero, non
soddisfano i requisiti richiesti alla motivazione dei provvedimenti cautelari.
Tale motivazione deve esprimere con chiarezza l’avvenuto esercizio della
funzione di controllo affidata al giudice: il che non impone una riscrittura degli

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1.11 ricorso è generico.

elementi di prova con “parole diverse”, ma onera l’organo cui è affidato il
controllo ad ostendere il percorso logico che sostiene la decisione attraverso
una, pur sintetica ma autonoma, valutazione della legittimità e consistenza degli
elementi disponibili.
La dimensione autonoma di tale valutazione è ora richiesta espressamente
dalla novella apportata all’art 309 comma 9 cod. proc. pen. dalla legge 47 del
2015, ma la stessa deve ritenersi connaturata alla funzione di controllo affidata
al giudice per le indagini preliminari.

sua autosufficienza limitata alla “descrizione” degli elementi posti a sostegno
della misura, ma tale autosufficienza non può estendersi alla ratifica della
“valutazione” che di tale compendio ha effettuato il pubblico ministero
richiedente.
Tale limitata autosufficienza non deve sviare circa l’ampiezza dei poteri cognitivi
affidati al giudice della cautela, che non è un organo deputato al controllo della
legittimità di un atto (la richiesta cautelare), ma ha l’obbligo di valutare la
adeguatezza dell’intero compendio indiziario e cautelare raccolto,
indipendentemente dal fatto che lo stesso sia trasfuso o valorizzato nella
richiesta di misura cautelare.
1.2. In sintesi, deve ritenersi che la motivazione della ordinanza cautelare non
può limitarsi alla ratifica con formule di stile delle valutazioni offerte dal pubblico
ministero con la richiesta, ma deve offrire una autonoma valutazione di tutte le
emergenze procedimentali disponibili e rilevanti. La tecnica del rinvio testuale è
legittima nella misura in cui resta confinata nell’area della “esposizione” degli
elementi posti a sostegno della misura, ma non può estendersi fino
all’assorbimento dei contenuti valutativi della richiesta cautelare, configgendo
tale operazione con la strutturale funzione di controllo affidata al giudice per le
indagini preliminari in materia di misure cautelari.
1.3. Chiarita la necessità dell’esistenza di una autonoma valutazione del giudice
per le indagini preliminari, si dimensiona, di conseguenza, anche l’area dei
poteri integrativi del Tribunale del riesame.
Sul punto, il collegio condivide l’orientamento secondo cui il potere-dovere di
integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non
opera nel caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti
di prova a carico dell’indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento
contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Cass.
sez. 2,n. 25513 del 14/06/2012, Rv. 253247). Se è vero, infatti che il Tribunale
del riesame, nell’ambito dei poteri di integrazione e di rettifica attribuitigli
dall’art. 309 cod. proc. pen., ben può porre rimedio alla parziale inosservanza dei

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Il rinvio (attraverso la copiatura della richiesta del pubblico ministero) ha una

canoni contenutistici cui deve obbedire la motivazione dell’ordinanza che dispone
la misura cautelare, ai sensi dell’art. 292, comma secondo, lettere c) e c) bis,
cod. proc. pen., tuttavia, allorché si verifichi l’omissione assoluta delle prescritte
indicazioni e sia configurabile, per l’accertata mancanza di motivazione – alla
quale può essere equiparata la mera apparenza della medesima – la radicale
nullità prevista dalle citata norma, lo stesso Tribunale non può avvalersi del
menzionato potere integrativo-confermativo, bensì deve provvedere
esclusivamente all’annullamento del provvedimento coercitivo, non essendo

eventualmente essere adottato dal medesimo organo la cui decisione è stata
annullata (Cass. sez. 1 n. 5122 del 19/09/1997, Rv. 208586; Cass. sez. 5, n.
5954 del 07/12/1999 dep. 2000, Rv. 215258).
1.4.

Ribadite tali premesse ermeneutiche, si rileva che nel caso in esame

tg1~9, il ricorso sia carente nella indicazione dei profili
dell’ordinanza

del giudice

di esaustività

per le indagini preliminari. La critica alle

argomentazioni del Tribunale del riesame si appuntano sulla tecnica
dell’annullamento che viene considerato illegittimo in quanto confonderebbe
l’attributo dell’autonomia con quello della originalità. Tale critica, in astratto
plausibile, non è correlata alla necessaria identificazione delle parti
dell’ordinanza annullata asseritamente autonome ed ipoteticamente idonee a
rispettare il parametro di legalità introdotto dalla legge n. 47 del 2015. Tale
carenza rende il ricorso generico e dunque inammissibile. In punto di genericità
del ricorso, il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui per l’appello,
come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo
lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità
dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale
patologia è necessario che l’atto individui il “punto” che intende devolvere alla
cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla
motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso
dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata
presso il giudice del gravame» (Cass. Sez. 6^ sent. 13261 del 6.2.2003 dep.
25.3.2003 rv 227195; Cass. sez. Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Rv. 241477;
Cass. Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n. 800
06/12/2011, dep 2012, Rv. 251528).
1.5. La questione di costituzionalità è manifestamente infondata: la scelta del
legislatore di esplicitare l’attributo dell’autonomia della valutazione del giudice
per le indagini preliminari in relazione agli apprezzamenti offerti al controllo di
tale giudice dalla Procura non presenta alcun profilo di irragionevolezza e si
limita a chiarire con formulazione letterale esplicita la necessità che sia

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consentito un potere sostitutivo quanto all’emissione di un valido atto, che potrà

identificabile l’esercizio del controllo del giudice che emette l’ordinanza genetica
in relazione al quadro indiziario e cautelare proposto dal pubblico ministero.
1.6. Il ricorso del pubblico

ministero deve pertanto essere dichiarato

inammissibile.

P.Q.M

dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero

Così deciso in Roma, il giorno 17 novembre 2015.

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