Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6543 del 14/01/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6543 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MADONIA SALVATORE N. IL 16/08/1956
avverso l’ordinanza n. 8051/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 09/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 14/01/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza del 9 aprile 2015 il Tribunale di sorveglianza di Roma
rigettava il reclamo proposto dal detenuto Salvatore Madonia avverso le
determinazioni dell’Amministrazione penitenziaria, disciplinanti le modalità di
effettuazione dei colloqui telefonici con i difensori ed i familiari, ritenendo le
difficoltà segnalate un mero disagio non integrante violazione dei diritti soggettivi

2.Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato personalmente per chiederne l’annullamento per l’erronea applicazione
della legge o contraddittorietà ed illogicità della motivazione per non avere il
Tribunale rilevato che le limitazioni imposte ai colloqui telefonici erano in contrasto
col diritto di difesa, come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.
143/2013 e con quello al mantenimento delle relazioni familiari e non avere
considerato quanto statuito con due ordinanze dal Magistrato di sorveglianza di
L’Aquila in data 19/4/2012 e 20/6/2013 e le esigenze di frequenza scolastica del
figlio minore, tali da impedirgli di recarsi presso l’istituto penitenziario più vicino.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha correttamente rilevato che la disciplina dei
colloqui telefonici tra detenuto sottoposto al regime detentivo differenziato e
difensori e familiari con la previsione che costoro li effettuino recandosi presso
l’istituto penitenziario più vicino allo studio professionale o all’abitazione, da un lato
può dar luogo a disagi di ordine pratico che non comprimono i diritti soggettivi del
detenuto, dal momento che non impediscono in assoluto l’effettuazione dei colloqui,
dall’altro restano giustificati dalle esigenze logistico-organizzative di prevenzione
della commissione di ulteriori reati mediante il mantenimento dei contatti con gli
ambienti di provenienza della criminalità organizzata.
Ha quindi aggiunto che la difficoltà di raggiungere il più vicino istituto
penitenziario può essere superata con uno sforzo di attivazione da parte di difensori
e familiari, analogamente a quanto è imposto ai legali ed ai congiunti di detenuti
ristretti in luoghi lontani da quello di residenza e che anche per il figlio minore
dell’imputato, ancora soggetto all’obbligo della frequenza scolastica, le assenze
legate all’effettuazione delle comunicazioni telefoniche col padre possono trovare
agevole giustificazione presso l’amministrazione scolastica anche in ragione della
breve durata dei contatti e della frequenza mensile, caratteristiche tali da non
comprometterne l’apprendimento e la regolarità dell’impegno scolastico.
1

del detenuto.

1.1 In tal modo il Tribunale ha dato prova di avere valutato quanto
rassegnato dal reclamante alla luce dei diritti costituzionalmente garantiti, il cui
esercizio è innegabilmente consentito anche se con modalità meno agevoli, mentre
l’esclusione dei profili di illegittimità denunciati nella disciplina dettata dalla circolare
dell’Amministrazione penitenziaria è ineccepibile perché contiene un bilanciamento
delle esigenze individuali e di quelle collettive di salvaguardia della sicurezza e
dell’ordine pubblici ed è stata congruamente motivata.

del comma 2-quater, lett. b, ult. periodo, dell’art. 41-bis ord. pen., oggetto della
sentenza nr. 143 del 2013, la quale riguarda la limitazione del numero e della
durata dei colloqui tra il detenuto sottoposto a regime speciale ed il proprio
difensore, ma non investe la regolamentazione di dettaglio delle modalità di
svolgimento di tali colloqui quando gli stessi siano consentiti in termini concreti ed
effettivi.
Va dunque dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e, tenuto conto dei
profili di colpa insiti nella proposizione di siffatto gravame, al versamento di una
somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in
euro 1.000,00.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.

1.2 Infine, non risulta pertinente il richiamo alla pronuncia d’incostituzionalità

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