Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6539 del 14/01/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6539 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VASIA AUREL N. IL 04/07/1989
avverso l’ordinanza n. 2254/2014 GIP TRIBUNALE di MILANO, del
03/03/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 14/01/2016

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza in data 3 marzo 2015 il G.I.P. del Tribunale di Milano,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata dal condannato
Aurei Vasia, volta ad ottenere l’applicazione in sede esecutiva della disciplina della
continuazione tra i reati giudicati con le sentenze indicate nella richiesta. A fondamento
della decisione rilevava che il dissenso espresso dal P.M. doveva ritenersi giustificato in
quanto la diversa tipologia dei fatti illeciti impediva di ravvisare l’unicità del disegno
criminoso e gli aumenti di pena per ciascun reato satellite era incongrua.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del

omessa motivazione e contraddittorietà della motivazione: quanto osservato dal giudice
dell’esecuzione dà atto che i reati commessi, tutti omologhi, consumati a breve distanza
l’uno dall’altro in danno del patrimonio, sono stati posti in essere in esecuzione di un
medesimo disegno criminoso, che non era stato interrotto dai periodi di carcerazione
subiti tra l’uno e l’altro episodio criminoso.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
1.La norma di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. introduce un’autonoma
disciplina dell’istituto della continuazione quando ne sia chiesta l’applicazione in sede
esecutiva in riferimento a reati giudicati con più sentenze di applicazione della pena a
richiesta delle parti; prevede quindi che il condannato ed il pubblico ministero possano
chiedere al giudice dell’esecuzione l’unificazione dei reati per effetto della disciplina del
concorso formale o del reato continuato, quando abbiano raggiunto un accordo sull’entità
della sanzione sostitutiva o della pena, da rideterminare comunque in misura non
superiore a complessivi cinque anni di pena detentiva – limite previsto dalla legge per i
casi di patteggiamento e deducibile dall’art. 444 cod.proc.pen., comma 1, nel testo
modificato dalla L. 12 giugno 2003, n. 134 e dall’ art. 188 disp. att. cod.proc.pen., a sua
volta novellato dalla L. 2 agosto 2004, n. 205 che ha introdotto l’istituto del
patteggiamento allargato plurimo-, ovvero a due anni di reclusione o di arresto, soli o
congiunti a pena pecuniaria, secondo quanto previsto dal comma 1-bis dell’art. 444
cod.proc.pen.. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero il giudice, se lo ritiene
ingiustificato, può accogliere egualmente la richiesta.
1.1 L’ordinamento quindi stabilisce per la fase dell’esecuzione un meccanismo
pattizio, analogo a quello disciplinato dalla norma di cui all’art. 444 cod. proc. pen. per il
giudizio di cognizione, caratterizzato dalla determinazione negoziale tra le parti della
pena da applicare a titolo di concorso formale o continuazione, implicante l’adesione della
parte pubblica e per il giudice le facoltà alternative di recepire l’accordo delle parti,
oppure di procedere egualmente alla unificazione dei reati nei termini indicati

1

difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per manifesta illogicità della motivazione,

dall’interessato a fronte di un dissenso del P.M. ritenuto ingiustificato, ovvero, se il
dissenso venga considerato giustificato, di respingere la richiesta.
1.1 Nel caso in esame il giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza sulla base della
motivata condivisione del parere negativo espresso dal P.M., che ha giustificato, sia per
l’impossibilità di ricondurre i singoli episodi criminosi al medesimo disegno ideativo e
volitivo, sia per la inadeguatezza della pena proposta dal condannato. Sotto il primo
profilo ha evidenziato come le violazioni accertate si presentino espressione di uno stile di
vita e della scelta di dedicarsi al crimine, avendo oggetto materiale diverso ed essendo
stati commessi con distinte modalità. Quanto all’entità della pena determinata nella
richiesta, ha rilevato l’elevata capacità a delinquere del condannato, che ha proseguito

1.2 Ebbene, il ricorso cerca di confutare i rilievi relativi ai presupposti per il
riconoscimento della continuazione, che hanno tenuto conto efficacemente dei principi
interpretativi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali anche
l’identità del bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte in questo caso non proprio contiguo, ma distanziato, anche alla luce delle deduzioni
difensive – costituiscono aspetti da soli insufficienti ad offrire dimostrazione dell’esistenza
di quell’unico iniziale programma in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le
singole violazioni, che costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della
continuazione. Inoltre, il ricorrente non si preoccupa di aggredire criticamente la
motivazione relativa all’entità della pena, risultando quindi aspecifico in ordine ad una
delle due autonome “ratio decidendi” del provvedimento impugnato.
Per quanto esposto, il provvedimento impugnato supera indenne il controllo
operabile nel giudizio di legittimità ed il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione
dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma
che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.

nell’infrangere la legge penale, insensibile ai periodi di carcerazione subiti.

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