Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6530 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6530 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Filocamo Giuseppe;
avverso l’ordinanza emessa il 29 febbraio 2012 dal giudice dell’esecuzione
del tribunale di Rossano;
udita nella camera di consiglio del 27 novembre 2012 la relazione fatta
dal Consigliere Amedeo Franco;
lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede
l’inammissibilità del ricorso;
Osserva
ritenuto che Filocamo Giuseppe, a mezzo dell’avv. Giuseppe De Luca,
propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa il 29 febbraio 2012
dal giudice dell’esecuzione del tribunale di Rossano, che ha rigettato l’istanza di
sospensione dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza n. 238/08;
che il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale in quanto
la presentazione di una istanza di sanatoria, unitamente al contratto di energia
elettrica, all’allaccio alla rete idrica, all’accatastamento del bene (indici di urbanizzazione della zona), doveva consentire la sospensione, essendo prevedibile
un provvedimento di accoglimento della sanatoria;
considerato che il ricorso è manifestamente infondato;
che, invero, il giudice ha fatto esatta e puntuale applicazione del principio
consolidato secondo cui in tema di reati edilizi ai fini della revoca o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive in presenza di una istanza di condono o di sanatoria, il giudice dell’esecuzione investito della questione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e tempi di definizione della procedura ed in particolare ad accertare il possibile risultato dell’istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento, e nel caso di insussistenza di tali cause a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (Cass. Sez. III 26/9/2007 n 38997 Di Somma; Cass. sez. IV
10/4/2008 n 15210; Cass. sez. III 23/12/2004 n. 3992; Cass. Sez. III del

Data Udienza: 27/11/2012

-2-

– 4/2/2000 n 3683);
che, difatti, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di revocare l’ordine di
demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di
patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia ragionevolmente prevedibile e probabile l’emissione, in base ad elementi concreti
e specifici, entro breve tempo di atti amministrativi incompatibili, non potendo
la tutela del territorio essere rinviata indefinitamente (da ultimo, Sez. III,
24.3.2010, n. 24273, Petrone, m. 247791; Sez. III, 18.1.2012, n. 25212, Maffia,
m. 253050);
che la semplice presentazione di una domanda di sanatoria, in assenza di
concreti elementi (che non sono certamente quelli indicati dal ricorrente, che
consistono in atti a lui riferibili) che possano far ritenere che in tempi ravvicinati sia emesso un permesso di costruire in sanatoria o comunque un qualche atto
della PA che si ponga in insanabile contrasto con la demolizione del manufatto,
non è idonea a determinare la sospensione della ingiunzione a demolire;
che nella specie nessun elemento concreto in questo senso è stato addotto
dal ricorrente nemmeno con il ricorso per cassazione;
che è del tutto irrilevante che la zona sia urbanizzata;
che il dovere del cittadino è quello di non costruire in assenza del permesso di costruire;
che lo stesso ricorso richiama elementi di fatto contrari all’ipotesi che possa essere emanato dal comune in tempi brevissimi un provvedimento di sanatoria o comunque assolutamente incompatibile con l’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna irrevocabile;
che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza dei motivi;
che, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che
possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in E 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di E 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 27
novembre 2012.

t.

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