Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6517 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6517 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) FORLASI GILBERTO N. IL 06/03/1950
avverso la sentenza n. 1681/2010 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
06/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. rra
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che ha concluso per IL. 0. ■ Vinli c.ix-f o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit Rdifenso» Avv.

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Data Udienza: 15/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 6 giugno 2011, la Corte d’appello di Brescia ha
confermato, quanto alla responsabilità penale, applicando la sanzione pecuniaria
sostitutiva, la sentenza del Tribunale di Bergamo del 20 gennaio 2010, con la quale
l’imputato era stato condannato, per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lettera c),
del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del cl.lgs. n. 42 del 2004, perché, su un terreno di

ampliamento di un preesistente fabbricato seminterrato, con scavi, fondazioni, pilastri
in cemento armato, pavimentazione in cemento, soletta con travi in legno,
tamponature delle murature perimetrali e tavolati divisori, in mancanza di permesso di
costruire e di autorizzazione paesaggistica.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di ricorso, si rilevano la mancanza e la manifesta
illogicità della motivazione, nonché l’erronea applicazione delle disposizioni
incriminatrici, sul rilievo che i lavori svolti avrebbero dovuto essere considerati mera
attività di ampliamento, come tale assoggettata al titolo abilitativo della denuncia di
inizio attività, di cui all’art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente
inapplicabilità della sanzione penale. Osserva, in particolare, la difesa che
l’ampliamento che riguardi vani seminterrati non dovrebbe essere considerato come
incidente sulla volumetria dell’edificio.
2.2. – Con un secondo motivo di ricorso, si rileva la violazione degli artt. 3, 10,
22, 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto
applicabile alla fattispecie concreta la norma incriminatrice di cui al richiamato art. 44,
pur trattandosi di un ampliamento inerente un recupero a fini abitativi, non essendosi
realizzata alcuna nuova costruzione.

sua proprietà, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, aveva realizzato lavori di

2.3. – Con un terzo motivo di impugnazione, si rilevano la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione, nonché l’erronea applicazione degli artt. 59,
ultimo comma, cod. pen. e 181, comma 1 quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004, perché

la Corte d’appello avrebbe negato la sussistenza di una causa di estinzione del reato,
«nonostante essa non potesse trovare applicazione per fatto dell’autorità edilizia».
Sotto tale profilo, la sentenza sarebbe errata laddove si fonda sul presupposto che la
demolizione posta in essere dall’imputato non richiedesse alcun titolo abilitativo e
sarebbe manifestamente illogica laddove asserisce che l’ordinanza del direttore del

Parco regionale imponesse l’eliminazione di quanto edificato. Sostiene la difesa che,A siN
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contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’ente Parco aveva richiesto
non l’intera eliminazione di quanto edificato, ma la riduzione in pristino all’edificio
sanato; ciò che dimostrerebbe la necessità del titolo abilitativo edilizio ai fini del
compimento delle opere di riduzione in pristino; titolo negato dal Comune.
Troverebbe, di conseguenza, applicazione – conclude la difesa – la causa di esclusione
della punibilità di cui all’art. 181, comma 1 quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004, per il

tramite dell’art. 59, ultimo comma, cod. pen.

3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – I primi due motivi di doglianza – che possono essere trattati
congiuntamente, perché basati entrambi sull’assunto difensivo secondo cui l’imputato
non avrebbe realizzato una nuova costruzione, ma un semplice ampliamento non
soggetto a permesso di costruire – sono inammissibili, perché sostanzialmente diretti
ad ottenere da questa Corte una nuova valutazione del merito della responsabilità
penale.
Con motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, che si pone in
assoluta continuità con quella della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha
desunto la natura di nuova costruzione delle opere realizzate da elementi
correttamente ritenuti univoci e concordanti, desunti dal verbale di sopralluogo e dalle
fotografie in atti. Si è, in particolare, evidenziato che: a) è stato edificato un nuovo
fabbricato in muratura mediante scavo del terreno, realizzazione di fondamenta e
pilastri in cemento armato, pavimentazione in cemento, solette in legno, caldara in
cemento, tamponature, muratura, con finestre e porte, assoggettata a denuncia di
inizio attività, ai sensi dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001; b) sopra il
fabbricato seminterrato, illegittimamente ampliato, non vi erano né un rustico, né una
copertura preesistenti, ma è stato realizzato ex novo fabbricato in legno avente un
basamento in muratura e un tetto con copertura in tegole; con la conseguenza che
l’intervento non può essere ricondotto alla categoria della «recupero a fini abitativi dei
sottotetti esistenti» di cui all’art. 63, comma

1 bis, della legge della Regione

Lombardia n. 12 del 2005. Correttamente, dunque, il Tribunale e la Corte d’appello
hanno ritenuto che, essendo state realizzate, in mancanza di titoli abilitatitivi, opere
che avrebbero dovuto essere oggetto di permesso di costruire o di d.i.a., ai sensi
dell’art. 22, comma 3, del testo unico sull’edilizia, risulta configurabile il reato
contestato, di cui all’art. 44, comma 1, lettera c) dello stesso testo unico, trovando
applicazione l’espressa previsione del comma 2 bis dello stesso articolo, secondo cui

CONSIDERATO IN DIRITTO

«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi
suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22,
comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa» (in tal senso, ex
plurimis: sez. 3, 20 gennaio 2009, n. 9894, Rv. 243099; sez. 3, 19 maggio 2009, n.
28048, Rv. 244580; sez. 3, 29 settembre 2011, n. 41425, Rv. 251327).
3.2. – Inammissibile, perché generico, è il terzo motivo di ricorso. Con esso,

responsabilità penale, quale la pretesa impossibilità della rimessione in pristino delle
opere abusivamente già realizzate; impossibilità che, oltre a essere meramente
asserita, nulla ha a che vedere con le nuove opere edilizie eseguite, oggetto
dell’imputazione.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così d ciso in Roma, il 15 novembre 2012.

infatti, ci si riferisce a profili del tutto irrilevanti ai fini della sussistenza della

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