Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6516 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6516 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
I) GIANNONE DOMENICO N. IL 07/07/1949
avverso la sentenza n. 2282/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 21/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONI°
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ■41-No o Ari tg– 0 o
che ha concluso per i (2.1 &CM ot\s, f..‘ C C-4 o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 21 novembre 2011, la Corte d’appello di Palermo ha
confermato la sentenza del Tribunale di Palermo – sezione distaccata di Bagheria del
23 dicembre 2010, con la quale l’imputato era stato ritenuto colpevole del reato di cui
all’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante di
una società, non aveva versato nei termini previsti l’imposta sul valore aggiunto pari a

2. – Avverso la decisione l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, lamentando, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione
della norma incriminatrice, sul rilievo che nessun accertamento sarebbe stato fatto
circa la riconducibilità della somma di C 54.058,00 alla sola imposta o anche a
sanzioni e interessi per l’omesso versamento. Tale profilo è rilevante – secondo la
prospettazione difensiva – perché la disposizione in questione si applicherebbe
esclusivamente per evasioni della sola imposta (e non anche di interessi e sanzioni)
superiori a C 50.000,00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su un motivo non sufficientemente
specifico.
La difesa si limita, infatti, ad asserire, senza alcun riferimento alla motivazione
della sentenza impugnata, che non vi sarebbe prova del superamento della somma di
C 50.000,00 prevista dalla disposizione penale incriminatrice quale soglia per la
punibilità. La motivazione in questione risulta, peraltro, ampiamente sufficiente e
logicamente coerente, perché giunge a determinare con certezza in C 54.048,00 la
somma dovuta a titolo di IVA, non comprensiva di interessi e sanzioni, ed evasa
dall’imputato sulla scorta della circostanziata testimonianza del funzionario che ha
proceduto all’accertamento.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.

C 54.058,00, dovuta sulla base della dichiarazione del 2005.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.

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