Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6500 del 16/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6500 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPAGNA EVA N. IL 13/09/1947
avverso la sentenza n. 3620/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
25/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI,,
cm2A.
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vi OV’t
che ha concluso per p nt,

Udito, per la parte civile, l’Av’T
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 16/12/2015

RITENUTO IN FATTO
Spagna Eva, a mezzo del suo difensore, propone ricorso avverso la sentenza
della Corte di appello di Milano del 25 giugno 2015 che aveva confermato la
sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia di
condanna della stessa alla pena di anni 1 di reclusione, con la diminuzione del
rito ed i doppi benefici di legge, per il delitto p. e p. dagli artt. 485, 491 e 472,
comma primo, cod. pen., per avere formato, il 30 novembre 2009, un
testamento olografo ad apparente firma di Albergati Gino, facendone uso alla

in eredità, a danno di Noè Dario Francesco, nominato erede universale nel
precedente atto, certamente autentico, di ultima volontà.
1- La ricorrente, in premessa, asserisce che l’anziano Albergati, vedovo e
senza eredi legittimi, che lei, da tempo, aiutava nel disbrigo delle incombenze
personali, le aveva comunicato, nel corso del 2008, che intendeva suddividere la
sua eredità fra lei stessa ed il nipote della defunta moglie, Dario Noè. In
particolare intendeva lasciarle l’usufrutto dell’appartamento ove dimorava, di cui
era proprietario per 5/6 (il sesto residuo era già di proprietà del Noè), e parte del
compendio mobiliare.
L’Albergati redigeva in tal senso il testamento del 1 luglio 2008 che le
consegnava perché, alla sua morte, lo depositasse al notaio Bianchi di Pavia.
Nel 2009, afferma la ricorrente, Albergati litigava con il nipote Noè per
questioni di interesse.
Il 28 aprile 2010 Albergati decedeva e lei stessa portava il testamento dal
notaio.
Aggiunge la ricorrente che, alcuni giorni dopo la pubblicazione del primo
testamento, la moglie del Noè rinveniva in casa dell’Albergati un nuovo
testamento (l’oggetto dell’imputazione), recante la data del 30 novembre 2009,
che veniva parimenti pubblicato dal notaio. In quest’atto, il testatore riduceva la
quota di denaro e titoli destinati al Noè, lasciandone una parte a tale Gino
Simonini, e conferiva a Spagna non più l’usufrutto ma la piena proprietà dei 5/6
dell’immobile.
Tutto ciò premesso, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avesse
confermato la validità del quadro indiziario ritenuto dal primo giudice sufficiente
a fondarne la condanna per avere ella concorso nella falsificazione del secondo
testamento: si erano valorizzate le circostanze, ritenute sospette, del
ritrovamento del secondo atto di ultima volontà, si era sottolineato il fatto che
fosse l’imputata a beneficiare del nuovo testamento e si era annotata l’illogicità
del procedere dell’Albergati che aveva fatto custodire il primo testamento mentre
1

sua morte per conseguire i 5/6 della proprietà dell’abitazione lasciata da questi

avrebbe sostanzialmente abbandonato il secondo alla possibilità che venisse
casualmente ritrovato.
2 – Tutto ciò premesso, la ricorrente, con il primo motivo, deduce la
violazione di legge, ed in specie degli artt. 530 e 192 comma secondo cod. proc.
pen., considerando che gli indizi a suo carico non erano né gravi, né precisi, né
concordanti: il secondo testamento, pur certamente falso, era stato formato da
mano maschile e quindi il documento non poteva essere stato redatto
dall’imputata; la stessa poi non ne era l’unica beneficiaria, posto che parte del

3 – Con il secondo motivo denuncia il vizio della motivazione laddove la
Corte territoriale avrebbe estrapolato dalla sentenza di prime cure solo quegli
elementi che erano serviti alla sua conferma.
Aggiungeva, infine, che non vi era poi alcuna prova che il testamento, di
mano maschile, fosse stato redatto su dettatura dell’imputata (un argomento
speso dai giudici del merito e che si ricollega al primo motivo del ricorso).

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1 – Il ricorrente deduce, con il primo motivo di ricorso, l’insufficienza del
quadro probatorio indiziario affermando che ciascuno degli indizi valorizzati nelle
sentenza impugnata può essere letto in modo alternativo rispetto a quanto
ritenuto dalla Corte territoriale.
Non considera però alcuno degli elementi indiziari nel suo necessario
collegamento con le ulteriori emergenze e non offre, soprattutto, alcuna lettura
complessiva degli elementi di prova, seppure solo indiziari.
2 – Non tiene quindi conto che, in tema di valutazione della prova indiziaria,
il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata
degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve
valutare, anzitutto, i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel
senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o
supposti), saggiarne l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo
possibilistica) e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per
accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato,
possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato
all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di
credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur
astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle
risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale

compendio ereditario mobiliare era stato lasciato a tale Gino Simonini.

razionalità umana (Cass., Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321, imp.
Stasi).
3 – Ed è proprio l’odierno caso concreto che dimostra come sia necessario
procedere alla verifica di ogni indizio attraverso i seguenti passaggi: acquisire la
certezza dell’esistenza del fatto noto, individuare il fatto ignoto a cui debba
ragionevolmente ricollegarsi, tenendo strettamente presente il contesto in cui i
fatti, noto e ignoto, si inseriscono, così da identificare, fra i più fatti ignoti
eventualmente possibili, quello più coerentemente derivante dal fatto noto.

possibile del complessivo quadro indiziario, formatosi alla luce dei principi e del
metodo sopra ricordati, conduca alla ragionevole certezza della colpevolezza
dell’imputato.
4 – La Corte territoriale ha certamente applicato i ricordati principi di diritto
quando ha ritenuto di leggere nel loro complessivo significato i dati acquisiti:
l’accertata falsità del secondo testamento, la circostanza che di esso fosse
beneficiaria l’imputata, il fatto che costei avesse libero accesso in quell’immobile
ove l’atto falso era stato rinvenuto (e che altrettanto libero accesso non
emergeva avere il Simonini, l’altro beneficiario del secondo testamento), la
particolarità del suo casuale ritrovamento.
Tutte circostanze che la Corte territoriale ha valutato nel loro singolo valore
di svelamento del fatto ignoto e, soprattutto, nella loro unitarietà, deducendone,
con ragionamento privo di illogicità, che esse imponevano di individuare nella
sola imputata la colpevole della formazione dell’atto falso.
5 – Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso essendo
del tutto evidente, da quanto si è sopra osservato, che la Corte territoriale ha
fatto buon governo del materiale probatorio acquisito agli atti, considerando tutti
gli elementi di fatto emersi e non trascurando alcuna prova decisiva.
5 – Si tratta, in definitiva, di doglianze tutte manifestamente infondate non
rivelandosi alcun vizio del percorso argomentativo, né alcuna violazione delle
norme, in tema di valutazione della prova, citate nel ricorso.
6 – Alla declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti
dal ricorso, di una somma, da versare alla Cassa delle ammende, che si ritiene
equo stabilire in euro 1.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Giungendo così all’ultima e decisiva verifica: concludere se l’unica lettura

Così deciso in Roma il 16/12/2015.

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