Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6496 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6496 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTRABERTI FABRIZIO N. IL 05/05/1967
KHERFANI ALI’ N. IL 19/01/1987
avverso la sentenza n. 11857/2011 GIP TRIBUNALE di PADOVA, del
14/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 06/11/2013

Con sentenza del 14 febbraio 2013, il Gup del Tribunale di Padova, sull’accordo delle parti,
ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a Castraberti Fabrizio ed a Kherfani Alì -imputati del
delitto di cui all’art 73 del d.p.r. n. 309/90- riconosciute le circostanze attenuanti generiche ed
al Castraberti anche quella prevista dall’art. 114 cod. pen., ritenuta la continuazione e con la
diminuente del rito, le pene rispettivamente patteggiate.
Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i due imputati, che deducono
violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in punto di mancata
applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.; il Castraberti, inoltre, denuncia la errata
identificazione dello stesso quale soggetto in regime di custodia domiciliare, essendo egli,
viceversa, in stato di libertà.
Considerato in diritto.
Premesso che l’errata indicazione, nell’epigrafe della sentenza impugnata, dello stato
detentivo domiciliare del Castraberti, viceversa libero, non produce nullità di alcun genere,
essendo evidentemente tale indicazione frutto di mero ed irrilevante errore, osserva la Corte
che i ricorsi sono manifestamente infondati, oltre che generici.
In realtà, contrariamente a quanto si sostiene dai ricorrenti, il giudice, nell’applicare le pene
concordate, ha preso e dato atto del fatto che dalle emergenze processuali si presentava
evidente l’assenza dei presupposti per l’applicazione della norma oggi invocata.
I ricorrenti, d’altra parte, non indicano le ragioni per le quali ritengono che avrebbe dovuto
applicarsi la predetta norma e non considerano, nel formulare le loro generiche censure, che
al giudice, nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non spettano particolari obblighi
motivazionali o di approfondimento dei fatti contestati, sostanzialmente ammessi
dall’imputato che ha chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di accertare, oltre che la
corretta qualificazione degli stessi e la congruità della pena concordata, l’eventuale presenza
di cause di non punibilità che impongano l’immediata relativa declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito al quale, nel caso di specie, ha regolarmente atteso il giudice del merito.
I ricorsi devono essere, dunque, dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa
delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.500,00
ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.500,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.

Ritenuto in fatto.

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