Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6495 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6495 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIPRIANI ERASMO N. IL 07/09/1955
avverso la sentenza n. 1473/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 22/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte c e, l’Avv
Udit i difens i Avv.

Data Udienza: 10/12/2015

4

,

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Manila Di Nardo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Cipriani Erasmo è imputato di bancarotta patrimoniale e

documentale con riferimento al fallimento delle società HOPPS TRAVEL
SRL e Società Turistica Alberghiera Srl, dichiarate fallite rispettivamente
il 10 marzo 2008 e 10 maggio 2010.
2.

Il Gup del tribunale di Marsala, all’esito di giudizio abbreviato, ha

ritenuto l’imputato responsabile dei reati ascritti e lo ha condannato alle
pene di legge, ritenendo la continuazione tra i reati di cui ai capi AeBe
ritenute assorbite nel capo A alcune condotte di cui al capo B (quelle
riferite alla società HOPPS TRAVEL SRL) ed integralmente assorbite le
condotte illecite di cui al capo C in quelle di cui al capo B.
3.

La Corte d’appello di Palermo, esclusa la concedibilità delle

attenuanti generiche, ha confermato la sentenza di condanna alla pena
inflitta, ritenendo correttamente applicato l’istituto della continuazione
con riferimento alle condotte relative a due distinti fallimenti.
4.

Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il

difensore dell’imputato per i seguenti motivi:
a. con un primo motivo di ricorso eccepisce la violazione degli
articoli 216, 219, 223 della legge fallimentare, nonché
apparente motivazione, non essendo stata fornita alcuna
indicazione che consentisse di comprendere il percorso logico
argomentativo della condivisione, da parte del giudice di
appello, della sentenza di primo grado; in particolare,
contesta l’applicazione dell’aggravante relativa al danno di
rilevante gravità di cui all’articolo 219 della legge fallimentare
in capo all’amministratore di fatto, atteso che il richiam
letterale agli articoli 216, 217, 218, contenuto nell’articolo
219, consente di applicare la richiamata aggravante solo
all’ipotesi di bancarotta propria.
b. Con una seconda censura, contesta l’applicazione del cumulo
della pena per ulteriori mesi 6, sia perché le condotte sono
state ritenute assorbite, sia per erronea applicazione
dell’articolo 219 della legge fallimentare; sostiene, infatti, il

1

,

ricorrente che le condotte di cui all’articolo 216 diano luogo ad
uno solo reato, pur se realizzate compiutamente con modalità
diverse, cosicché risulta esclusa l’applicazione dell’articolo 219
della legge fallimentare. Secondo il ricorrente, la pluralità di
condotte bancarottiere era già stata valutata come
aggravante comune ai sensi dell’articolo 219, numero 1, con
l’aumento di mesi 6 di reclusione sul reato base di anni 3 e

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima censura è infondata; la sentenza citata (n. 8829-2009) si
riferisce ad un indirizzo minoritario, costituito da quest’unica
pronuncia, mentre la giurisprudenza dominante della cassazione è in
senso radicalmente opposto: “In tema di reati fallimentari, la
circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di
cui all’art. 219, comma primo, I. fall., è applicabile all’ipotesi di
bancarotta impropria, considerato che l’art. 223, comma primo, I.
fall., – prevedendo che agli amministratori di società dichiarate fallite,
i quali abbiano commesso alcuno dei fatti previsti dall’art. 216 I. fall.,
si applicano le pene ivi stabilite – rinvia in ordine alla determinazione
della pena per i reati commessi ai sensi dell’art. 223, comma primo,
I. fall. alle pene previste dall’art. 216 I. fall. per la bancarotta propria,
pene che si determinano tenendo conto non solo dei minimi e dei
massimi edittali contemplati dall’art. 216 I.fall., ma anche delle
attenuanti e aggravanti speciali previste per tali reati, con la
conseguenza che il rinvio in ordine alla determinazione della pena
deve ritenersi integrale e basato sul presupposto della identità
oggettiva delle condotte” (Sez. 5, n. 127 del 08/11/2011, Pennino,
Rv. 252664; Massime precedenti Conformi: N. 8690 del 1992 Rv.
191564, N. 30932 del 2010 Rv. 247970, N. 44933 del 2011 Rv.
251215, N. 10791 del 2012 Rv. 252009). Quanto all’amministratore
di fatto, è ovvio che egli risponde negli stessi termini in cui risponde
l’amministratore di diritto, atteso che le norme fallimentari si
riferiscono, più che alla persona investita formalmente della carica, a
colui che gestisce realmente il patrimonio sociale, compiendo attività
proprie degli amministratori (Sez. 5, n. 14103 del 19/10/1999, Sgro,

2

mesi 6 di reclusione.

Rv. 215878; conforme Sez. 5, n. 43036 del 13/10/2009, Gennari,
Rv. 245435).
2. Anche la seconda censura è infondata; il disposto dell’art. 219, co. II,
n. 1, I. fall. si applica nell’ambito dello stesso fallimento, quando sono
ravvisabili più condotte di bancarotta, mentre qualora i fatti di reato
siano riferibili a diversi fallimenti, essi mantengono piena autonomia
e non può che farsi luogo – eventualmente – all’aumento per la
continuazione ai sensi dell’articolo 81 del codice penale. In tema di

condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le
stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad
un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo
giuridico previsto dall’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall.,
disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale,
una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una
peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria
di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv.
249665). Tuttavia, la pluralità di atti di bancarotta è considerata, ai
sensi dell’art. 219, comma secondo, n. 1 legge fallimentare, come
semplice circostanza aggravante del reato (assoggettata all’ordinario
giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti) solo all’interno
del medesimo procedimento concorsuale; ne consegue che, nel caso
in cui le dichiarazioni di fallimento siano plurime ed autonome, le
rispettive condotte illecite realizzano una ipotesi di concorso di reati,
con applicazione del cumulo materiale delle pene, ovvero, se ne
sussistono i presupposti, dell’istituto della continuazione (Sez. 5, n.
31408 del 04/06/2004, Melloni, Rv. 229277; Massime precedenti
Conformi: N. 10423 del 2000 Rv. 218384).
3. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.
p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
so il 10/12/2015

reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di

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