Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6493 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6493 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BEGA ARTUR N. IL 29/03/1968
avverso la sentenza n. 21028/2012 GIP TRIBUNALE di TORINO, del
05/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 06/11/2013

Ritenuto in fatto.
Con sentenza del 5 marzo 2013, il Gup del Tribunale di Torino ha applicato a Bega Artur,
ex art. 444 c.p.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza
sulla recidiva contestata, con la diminuente del rito, la pena di tre anni di reclusione e
12.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73 co. 1 e 1 bis del dpr n. 309/90, per avere
detenuto gr. 775,00 di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che deduce il vizio di
motivazione della sentenza impugnata in punto di applicazione della pena.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, non solo perché tende a rimettere in
discussione i termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del
patteggiamento (ciò che, come ripetutamente ha affermato questa Corte, non è consentito a
nessuna delle parti, salvo i casi di palese violazione di legge), ma anche perché non tiene
alcun conto del fatto che al giudice del merito, nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non
spettano particolari obblighi motivazionali o di approfondimento dei fatti contestati,
sostanzialmente ammessi dall’imputato che ha chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di
accertare, oltre che la corretta qualificazione dei fatti e la congruità della pena concordata,
l’eventuale presenza di cause di non punibilità che impongano l’immediata relativa
declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito al quale ha regolarmente atteso quel giudice, in termini sintetici e tuttavia
sufficienti se rapportate alla particolare natura del rito prescelto, laddove anche si consideri
che l’imputato è stato colto nell’atto di detenere, come emerso dagli atti d’indagine
richiamati in sentenza, la sostanza stupefacente sopra descritta; circostanza dallo stesso mai
negata.
Quanto alla pena in concreto applicata -ove il ricorso dovesse intendersi esteso anche
all’entità della stessa (non è chiaro il proposito il ricorrente)- il ricorso si presenta
manifestamente infondato, avendo il giudice del merito preso e dato atto della congruità di
quella concordata tra le parti e dallo stesso ratificata.
Deve, peraltro, in proposito essere richiamato il principio, ripetutamente affermato da
questa Corte (Cass. n. 18385/04), secondo cui non è consentito all’imputato proporre con il
ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dallo stesso accettato, e ratificato dal
giudice, tranne che la pena determinata sia stata illegittimamente quantificata. Situazione
non ricorrente nel caso di specie e, peraltro, neanche denunciata.
La stessa censura si presenta, inoltre, del tutto generica, poiché il ricorrente omette di
indicare le ragioni per le quali ritiene che avrebbe dovuto essere applicata una pena diversa
da quella concordata.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa
delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.

Considerato in diritto.

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