Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6490 del 22/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6490 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) SEIMURI GIUSEPPE N. IL 10/09/1982
avverso la sentenza n. 1024/2009 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 29/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 22/11/2012

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa in
data 5 novembre 2008 dal Tribunale di Castrovillari, appellata da SEIMURI Giuseppe, dichiarato responsabile del delitto di minaccia grave, commesso il 21 maggio 2006.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo violazione di legge per omessa valutazione
dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, che sarebbe stata da sentire ex art. 210
c.p.p. ed in ogni caso aveva motivi di rancore con il prevenuto.
Rileva anche la prescrizione del reato.
Manifestamente infondata la doglianza circa la prescrizione del reato, il cui termine scade solo il
21 novembre 2013.
Osserva il Collegio che le censure prospettate con il primo motivo sono inammissibili in quanto
non proposte con i motivi di appello, come risulta dalla narrativa della sentenza impugnata sulla
cui correttezza nel riportare i motivi di appello il ricorrente non ha avanzato alcun rilievo.
Peraltro sulla pretesa applicabilità del disposto dell’art. 210 c.p.p. in sede di audizione della p.1.,
il ricorrente ha fatto riferimento ad una vicenda di un anno prima nella quale il prevenuto aveva
subito la reazione violenta dell’attuale p.l. e del di lui padre, quando aveva cercato, assieme ad
un complice rimasto ucciso nell’occasione, di incassare il provento di un’estorsione a loro danno; si tratta di vicenda non in connessione con quella per cui si procede, che non rendeva obbligatoria l’audizione del CILIBERTI secondo gli schemi dell’art. 210 c.p.p.
Per il resto i motivi di ricorso tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla
ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello
Nel caso in esame, difatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova
del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità
è adeguatamente e sufficientemente argomentata, atteso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’affermazione di responsabilità può essere basata sulle sole dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova (cfr. pure C. cost. ordinanze n. 82 del 2005, n. 115 del
1992, n. 374 del 1994, e sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971), purché la relativa valutazione
sia adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di quei reati che, commessi non in presenza d’altri, non possono che essere accertati attraverso la valutazione e la comparazione delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza,
non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità,
dall’esterno, all’una o all’altra tesi (così, Sez. 6, Sentenza n. 443 del 04/11/2004).
Occorre rilevare che, lungi dal potersi ipotizzare un rancore della p.1 contro l’imputato, nella vicenda, al contrario, maggior rilievo pare, proprio sulla base delle prospettazioni del ricorrente,
possa avere il rancore del SEIMURI nei riguardi di CILIBERTI che nella precedente occasione
aveva ferito l’attuale imputato, e questo non ha l’incidenza che vorrebbe il ricorrente
sull’attendibilità della p.l. ed anzi chiarisce la motivazione del gesto del prevenuto.
Resta appena da dire che l’aggravante della minaccia sussiste anche se l’oggetto avente forma di
arma, che sarebbe stato mostrato al CILIBERTI dal prevenuto, non fosse stato una vera e propria
arma da sparo. Infatti è sufficiente che, per la sua forma esteriore, l’oggetto usato per la minaccia
tale possa apparire alla persona verso la quale è brandita, sussistendo quindi l’aggravante anche
in assenza della possibilità di configurare un autonomo reato relativo al porto illecito di arma.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di C. I .000,00# in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 22 novembre 2012.

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