Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6489 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6489 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZELLA VINCENZO (ANCHE PCN) N. IL 06/11/1948
avverso la sentenza n. 301/2013 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
24/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 24/11/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Francesco Salzano ha concluso per
il rigetto del ricorso. L’avv. Gian Mario Fattacciu per il ricorrente ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24.11.2014 la Corte d’Appello di Cagliari , dichiarato il non doversi
procedere per il reato di cui al capo b) per intervenuta prescrizione, ha ridotto a Mazzella
Vincenzo la pena applicatagli con la sentenza di primo grado rideterminandola in quattro anni e
quindici giorni di reclusione per i delitti di lesioni gravi perpetrate con un coltello e di ingiuria

Con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo viene dedotta l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge
penale , mancanza e manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione risultante dal
testo del provvedimento impugnato in relazione agli artt. 192 c.p.p., 582,583,585 e 52 c.p..
Lamenta il ricorrente che la Corte Territoriale ha fondato il giudizio di penale responsabilità
sulle deposizioni testimoniali della persona offesa Monachini e del teste Incorvaia
ingiustificatamente ritenuti attendibili senza tener conto della contraddittorietà tra le
dichiarazioni rese da quest’ultimo in sede di sommarie informazioni e quanto riferito in
dibattimento.
Si duole il ricorrente che la Corte nelle proprie valutazioni non ha tenuto conto del rapporto
confidenziale tra il Monachini e l’Incorvaia, che avrebbe stravolto le dichiarazioni degli stessi
con una valutazione a corrente alternata dell’uno e dell’altro anche in ordine all’asserito
rancore preesistente tra le parti, che per conservare una formale coerenza logica avrebbe
omesso di valutare le deposizioni degli altri testimoni, tra cui gli ufficiali di polizia giudiziaria
Medda e Cordeddu soprattutto in ordine alla circostanza dell’uso del coltello e del suo presunto
occultamento, che infine non sono state ingiustificatamente utilizzate le dichiarazioni rilasciate
dal Mazzella nell’immediatezza dei fatti perché rese senza la presenza del difensore, senza
tenerf conto che tali dichiarazioni avrebbero dovuto essere utilizzate a suo favore.
2.2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge penale e mancanza e
manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 62 n. 2, 62 bis e 133 c.p.
Lamenta il ricorrente la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata
valorizzazione a suo favore di circostanze quale come il collaborativo comportamento
• .”
processuale (il giudice di prck grado ha negato le attenuanti generiche sia proprio per il
comportamento processuale dell’impuato “teso a negare l’evidenza” sia per la pervicacia
dimostrata nell’azione delittuosa.
2.3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione di legge penale e mancanza e
manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 157 e 159 c.p.

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ai danni di Monachini Gaetano

Lamenta il ricorrente l’erronea applicazione della disciplina sospensione di cui alla L.
251/2005 non applicabile allo stesso in quanto entrata in vigore successivamente al fatto di
I
reato per cui processo.
Inoltre, sono stati calcolati per entrambi gli imputati periodi di sospensione che sarebbero
valsi per il solo imputato Monachini in quanto portatore esclusivo dell’impedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Tutte le doglianze del ricorrente reiterano sostanzialmente, senza alcuna effettiva correlazione

territoriale ha specificamente valutato.
Va in proposito rammentato il principio di diritto secondo il quale la mancanza di specificità del
motivo deve essere apprezzata i non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del
giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del
15/02/2013 – dep. 26/06/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, 18.9.1997 – 13.1.1998, n.
256, rv. 210157; Sez. 5, 27.1.2005 -25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Sez. 5, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
Peraltro la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il
provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di motivi che, a pena di
inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di
diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del
merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo ed altri, Rv. 254584).
E’ pertanto evidente che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in esame- a riprodurre
il motivo d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la
critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica argomentata, è di
fatto del tutto ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n.
22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio
2005, Giagnorio, rv. 231708).
3

con la motivazione della sentenza impugnata, i motivi già dedotti con l’appello e che la Corte

Peraltro, le censure mosse dal ricorrente implicano valutazioni di fatto e si risolvono nella
sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice
d’appello che è preclusa in sede di legittimità. In proposito, va osservato che il giudizio sulla
rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, costituendo un giudizio di fatto, è devoluto
insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio
libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori,
piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando
non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della

Orbene, nel caso di specie, il giudizio di secondo grado, con un percorso logico-argomentativo
lineare, coerente ed immune da censure, ha ben individuato gli elementi probatori in virtù dei
quali è pervenuto ad un giudizio di penale responsabilità nei confronti del ricorrente.
In particolare, la Corte di merito si è soffermata diffusamente sulla deposizione del teste
oculare Incorvaia – che ha individuato nel Mazzella l’autore del ferimento della persona offesa evidenziandone l’attendibilità per la precisione, coerenza, puntualità (anche con riferimento al
momento a partire dal quale ha assistito alla colluttazione) e ricchezza di dettagli, facendosi
carico delle specifiche doglianze sul punto contenute nei motivi d’appello. Ha quindi spiegato le
ragioni per cui la lamentata contraddittorietà tra le dichiarazioni rese dal teste in sede di
sommarie informazioni e quelle rese in dibattimento era solo apparente – essendo il frutto di
una verbalizzazione (in sede di s.i.t.) che non era stata di in grado esprimere il senso esatto
del racconto del teste – ha confutato la censura della difesa in ordine alla presunta
partigianeria del teste a favore della parte offesa Monachini, e non solo in relazione alla non
significatività della comune provenienza dallo stesso paese ma in relazione agli specifici
elementi forniti dal teste a carico del Monachini (iniziativa di costui nello sferrare il pugno
all’imputato).
La Corte territoriale si è fatta, inoltre, carico di rispondere alle censure – confutandole contenute nell’atto di appello con riferimento alla natura delle ferite (da taglio) subite dalla
persona offesa ed al mancato rinvenimento del coltello imbrattato di sangue utilizzato
dall’imputato, evidenziando, in ordine a quest’ultimo punto, la non decisività della circostanza
che le forze dell’ordine trovarono entrambe le parti nel garage della nave: Mazzella avrebbe
comunque potuto disfarsi del coltello, tenuto conto del tempo necessariamente impiegato dai
poliziotti per intervenire sul posto e dell’allontanamento della persona offesa e del teste
Incorvaia dal luogo dell’aggressione fell’immediatezza della stessa ,con ritorno in un momento
successivo.
Va, peraltro, osservato che l’assunto del ricorrente secondo cui la Corte di merito avrebbe
travisato le dichiarazioni degli ufficiali di P.G. Medda e Cordeddu è del tutto generico. Il
ricorrente si limita a sostenere che da tali deposizioni si evincerebbe che lo stesso non rimase
mai da solo dopo la colluttazione con il Monachini, ma senza neppure indicare i punti esatti del
racconto di tali testi che rileverebbe a suo favore e senza comunque produrre in questa se
4

e

Corte Suprema (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

deposizioni.
In proposito, questa Corte ha avuto modo più volte di ribadire che l ove venga eccepito il vizio
di travisamento della prova, è onere del ricorrente provvedere alla trascrizione in ricorso
dell’integrale contenuto degli atti travisati, nei limiti di quanto già dedotto, perché di essi è
precluso al giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il fumus del vizio non emerga
all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso medesimo (in questo senso ex multis e tra le
più recenti Sez. I 22 gennaio 2009, n. 6112, Bouyahia, rv 243225; Sez. IV 24 giugno 2008, n.

In conclusione, il discorso giustificativo sviluppato dalla Corte Territoriale risponde pienamente
alle esigenze di completezza e di consequenzialità logica sulle quali si esercita il controllo di
legittimità nel giudizio di cassazione.
2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Va osservato che questa Corte ha reiteratamente affermato che la concessione o meno delle
attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del
giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed
alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737).
Il diniego delle attenuanti generiche è stato giustificato dal giudice di primo grado, cui la Corte
di merito ha fatto richiamo nel confermare il trattamento sanzionatorio – ad eccezione del
reato dichiarato prescritto – con riferimento al comportamento processuale tenuto dal
ricorrente, teso a negare l’evidenza, nonché per la pervicacia nell’azione criminosa.
In proposito, deve rilevarsi che, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
3. Il terzo motivo è inammissibile.
Va osservato che la circostanza evidenziata dal ricorrente secondo cui la disciplina della
sospensione di cui alla L. 251/2005 è entrata in vigore successivamente al fatto di reato per
cui processo è assolutamente irrilevante.
Trattandosi di legge processuale, alla stessa si applica il noto principio “tempus regit actum”,
con conseguente piena applicabilità al presente processo della legge n. 251/2005, la quale era
già in vigore quando ha avuto inizio nel 2007 il dibattimento di primo grado a carico
dell’odierno ricorrente.
Infine, priva di pregio è la censura secondo cui il reato commesso dall’imputato sarebbe
già prescritto in quanto sarebbero stati erroneamente calcolati dalla Corte di merito per

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37982, Buzi, rv 241023; Sez. I 18 marzo 2008, n. 16706, Falcone, rv 240123).

entrambi gli imputati periodi di sospensione della prescrizione che sarebbero valsi per il solo
imputato Monachini.
A tal proposito, la Corte d’Appello di Cagliari (pag. 8 della sentenza) ha considerato come
periodo di sospensione collegato all’impedimento del solo imputato Monachini quello dal
16.9.2011 al 18.11.2011. Ne consegue che, tenuto conto che il reato di cui al capo a) si
prescriverà (considerate anche le sospensioni della prescrizione nel frattempo verificatesi) in
data 22 maggio 2016, anche togliendo il periodo di 63 giorni relativo all’impedimento

Quanto al reato di cui al capo c) – ragionamento che sarebbe stato esteso anche al capo a)
ove fosse maturata la prescrizione – l’inammissibilità del ricorso proposto dal ricorrente implica
il mancato perfezionamento del rapporto processuale, con conseguente cristallizzazione in via
definitiva della sentenza impugnata e preclusione in radice della possibilità di rilevare di ufficio
l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta in data 2.2.2015, successivamente alla
pronuncia in grado di appello (Cfr., tra le altre, Sez. U, n. 21 dell’11/11/1994, Cresci, Rv.
199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328, in motivazione).
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che
si stima equo stabilire nella misura di 1.000,00 Euro.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2015
Il consigliere e e ore

Il Presidente

dell’imputato Monachini, comunque non sarebbe maturata la prescrizione per il suddetto reato.

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