Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6489 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6489 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TORSELLO FRANCESCO N. IL 14/08/1985
avverso la sentenza n. 9318/2012 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
21/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 06/11/2013

Ritenuto in fatto.
Con sentenza del 21 febbraio 2013, il Gup del Tribunale di Lecce ha applicato a Torsello
Francesco, ex art. 444 c.p.p., la pena di due anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa per il
reato di cui all’art. 73 co. 5 del dpr n. 309/90.
Propone ricorso per cassazione l’imputato che deduce violazione di legge, laddove il
giudice non ha considerato che la droga in sequestro era detenuta dall’imputato solo per il
consumo personale.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché tende a rimettere in discussione i
termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento (ciò
che, come ripetutamente ha affermato questa Corte, non è consentito a nessuna delle parti,
salvo i casi di palese violazione di legge).
Il ricorrente, d’altra parte, non considera, nel formulare le sue censure, che al giudice,
nell’ipotesi di pena concordata tra le parti, non spettano particolari obblighi motivazionali o
di approfondimento dei fatti contestati, sostanzialmente ammessi dall’imputato che ha
chiesto di patteggiare la pena, bensì solo di accertare, oltre che la corretta qualificazione degli
stessi e la congruità della pena concordata, l’eventuale presenza di cause di non punibilità
che impongano l’immediata relativa declaratoria, ex art. 129 c.p.p.
Compito al quale ha regolarmente atteso quel giudice. Mentre il tema dell’uso personale
della droga non può che rimanere estraneo al meccanismo processuale del patteggiamento,
che non consente di rimettere in discussione la finalità della detenzione della droga.
A tale proposito, questa Corte ha, in proposito, codivisibilmente affermato che “Il
patteggiamento è un meccanismo processuale in virtù del quale imputato e P.M si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di
circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena, prescindendo
completamente da ogni riconoscimento di responsabilità da parte del primo. Da parte sua, il
giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la
congruità della pena richiesta, e di applicarla dopo aver accertato che non emerge, `ictu
oculi una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p. Di conseguenza, una
volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c. p. p., l’imputato può
impugnare la sentenza solo per inosservanza dell’art. 129 c.p.p. Non può, invece, rimettere
in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, come, ad esempio, la finalità, da
lui perseguita con la condotta incriminata (e le conseguenti implicazioni di carattere
giuridico), perché essi sono tutti coperti dal patteggiamento” (Franco, riv. n. 194909); (nel
caso esaminato, l’imputazione patteggiata riguardava la detenzione di stupefacenti per fini di
spaccio che il ricorrente sosteneva invece di avere detenuto per uso personale; la Cassazione,
sulla scorta del principio di cui in massima, ha escluso che potesse rimettersi in discussione
la finalità della detenzione della droga).
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.

Considerato in diritto.

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