Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6480 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6480 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pullarà Ignazio, n. a San Giuseppe Jato (PA), il 13/04/1946

avverso la sentenza del 9/05/2014 della Corte di Appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Orsi, che ha
concluso per l’inammissibilità.

RITENUTO IN FATTO

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Data Udienza: 13/11/2015

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania — quale giudice del rinvio a seguito di
annullamento da parte della Corte di Cassazione, con sentenza del 7/03/2013, dell’ordinanza della
Corte di Appello di Caltanissetta che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revisione rigettava la richiesta di revisione della sentenza della Corte di Assise di Palermo del 3/02/1992,
irrevocabile il 5/12/1996, proposta dal Pullarà Ignazio, condannato all’ergastolo quale mandante
dell’omicidio in danno di Grado Benedetto, commesso in Palermo il 5/11/1983.

Sulmona il 30/10/2014, il predetto ricorre per:
2.1.Vizio di motivazione ex art. 606 lett. e), c.p.p. in relazione alla carenza di riscontri alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Marino Mannoia concernenti il ruolo svolto dal Mannoia
medesimo nell’omicidio del Grado. In particolare risulterebbe carente la motivazione della sentenza
sui punti concernenti i tempi e le modalità di partecipazione all’omicidio Grado da parte del citato
collaboratore, la distanza di sparo accertata dalla perizia rispetto a quella dichiarata dal Marmoia; la
partecipazione del Calascibetta all’omicidio con riferimento alla vettura Fiat 500 bianca ed alla
direzione di marcia della stessa.
Quanto al primo punto si contesta la motivazione della sentenza in ordine al fatto che la mancata
comunicazione al Mannoia dell’omicidio dello Zarcone non sia considerata rilevante, atteso che la
stessa Corte, subito dopo, ha affermato che non sussisterebbe alcuna contraddizione con la condotta
del Mannoia, che, appreso il fatto, si era recato a Palermo per informarsi di quanto verificatosi; ciò
in quanto la ripartizione dei ruoli e l’opportunità di evitare contatti con il latitante costituiscono
mere ipotesi, dapprima utilizzate per giustificare la mancata comunicazione al Mannoia della
notizia dell’omicidio dello Zarcone, e poi per avvalorare la circostanza del coinvolgimento del
collaboratore nella fase preparatoria dell’omicidio Grado. Lo stesso Mannoia, inoltre, aveva
dichiarato di non essere stato riconosciuto quando si era recato a far visita ai familiari dello
Zarcone, con ciò dimostrando come nel pieno delle indagini il latitante fosse riuscito a mettersi in
contatto con gli affiliati. La Corte territoriale non avrebbe, poi, motivato sulle circostanze di tempo
e di luogo in cui il Marmoia, appreso dell’omicidio dello Zarcone, si fosse messo in contatto con il
gruppo che decise l’omicidio del Grado, ciò alla luce delle contraddittorie dichiarazioni rese sul
punto dal collaboratore alle udienze del 15/12/1994 — in cui egli aveva dichiarato di essersi recato a
Palermo la mattina dopo aver appreso dell’omicidio, giungendovi tra le ore 13,00 e le ore 14,00 — e
del 9/10/2003 — in cui aveva affermato di essersi recato a Palermo lo stesso giorno in cui aveva
appreso la notizia, nel tardo pomeriggio -; nel corso della stessa udienza del 9/10/2003, inoltre, il
collaboratore aveva affermato circostanze da cui si evincevano contatti e riunioni con affiliati,
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2.Con ricorso presentato personalmente dal Pullarà Ignazio presso l’Istituto Penitenziario di

finalizzate al’omicidio del Grado, durate alcuni giorni, laddove egli stesso aveva dichiarato di
essere giunto a Palermo nel tardo pomeriggio del 14 novembre, ossia poche ore prima
dell’omicidio, verificatosi alle 8,00 del mattino del 15 novembre. Né la Corte aveva spiegato per
quale ragione il Coppolino, persona di Barcellona Pozzo di Gotto che si occupava di reperire i
viveri ed il giornale per il Mannoia, avrebbe dovuto procurarsi un giornale proveniente dall’area
palermitana, ossia il Giornale di Sicilia, e non La Sicilia.

oggetto di alcuna valutazione nel’ambito del processo Di Salvo, per cui essa costituirebbe un
elemento di novità rispetto alle dichiarazioni del Mannoia, che aveva affermato di aver sparato ad
una distanza di pochi metri, due o tre al massimo, essendosi egli avvicinato alla vittima di molto. Ne
sarebbe dovuta derivare una sequenza di colpi sparati da una distanza sempre più riavvicinata,
laddove la prima ipotesi peritale aveva invece affermato che i primi tre colpi erano stati sparati da
una distanza più ravvicinata e gli altri due da una distanza maggiore.
Quanto al terzo profilo si osserva che non si comprende come il Mannoia, nel corso
dell’interrogatorio del 5/12/1991, avesse potuto dichiarare che era stato facile avvistare il Grado
che si avvicinava e quindi avvertire l’Aglieri ed il Calascibetta che, a bordo di una A112, dapprima
superarono il Grado e quindi, dopo aver fatto inversione di marcia, lo incrociarono e gli spararono,
ciò in aperto contrasto con quanto dichiarato all’udienza del 5/12/1994 — in cui aveva ricordato che
la vettura del Calascibetta, una Fiat 500, seguiva come copertura e che egli stesso aveva sparato —
ed all’udienza del 26/10/1996 — in cui aveva affermato di essere sceso dall’auto per sparare —
nonché con quanto dichiarato all’udienza del 9/10/2003 del processo Di Salvo, in cui aveva riferito
che il Calascibetta era stato inviato alla ricerca del Grado e quindi che il Calascibetta era alla guida
della A112 che procedeva in senso contrario rispetto al Grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
La motivazione fornita dalla Corte territoriale appare ineccepibile in relazione alla valutazione delle
doglianze formulate dal ricorrente. Questi è stato condannato alla pena dell’ergastolo quale
mandante dell’omicidio commesso in danno di Grado Benedetto il 15/11/1983, oltre che dei
connessi delitti di porto e detenzione illegale di arma da sparo; all’affermazione di penale
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In relazione alla distanza di sparo si fa rilevare che la perizia a firma del dott. Luzi non era stata

responsabilità si era pervenuti, tra l’altro, sulla scorta delle dichiarazioni in reità dapprima e poi in
correità del Marino Mannoia Francesco. L’omicidio del Grado Benedetto, come riferito dal predetto
collaboratore di giustizia, era stato determinato dal fatto che la vittima – inserita in un nucleo
familiare dedito al traffico di stupefacenti per la famiglia di Santa Maria del Gesù, nel cui ambito
era in corso di svolgimento una guerra di mafia — aveva favorito i sicari di Zarcone Salvatore
fornendo loro le chiavi del cancello della villa dall’interno della quale i sicari avevano sparato lo
Zarcone, inserito nel gruppo mafioso dei “vincenti”; a seguito di ciò il Pullarà, reggente della

Dopo aver descritto la vicenda giudiziaria, la Corte territoriale ha analizzato le doglianze poste a
fondamento dell’istanza di revisione, osservando come il giudizio di attendibilità di un
collaboratore di giustizia, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare oggetto di
riesame in sede di revisione, a meno che non si contesti la reale esistenza di un fatto storico
costituente riscontro esterno alle dichiarazioni del collaboratore. Inoltre il giudizio di attendibilità di
un collaboratore di giustizia, secondo la giurisprudenza di legittimità, si esaurisce in un giudizio
soggettivo e non costituisce prova nuova, bensì elemento che vorrebbe indurre una ulteriore
valutazione da sovrapporre a quella posta a base della sentenza irrevocabile; un eventuale errore del
giudizio ordinario in punto di attendibilità del dichiarante, si tradurrebbe in un error in iudicando
coperto dal giudicato. Si osserva infine come in presenza di un giudicato che rinviene il riscontro
esterno in un’argomentazione di tipo logico non è possibile ammettere in revisione elementi che
tendano a dimostrare il difetto di logicità del riscontro, in quanto ciò esulerebbe in modo
macroscopico dal concetto codici stico di revisione, perché tenderebbe a sovrapporre una mera
valutazione a quella già coperta dal giudicato. Fatta questa premessa la Corte ha osservato come le
censure sollevate con la richiesta di revisione, relative all’attendibilità intrinseca ed estrinseca del
collaboratore di giustizia Marino Mannoia Francesco, si risolvono in una critica dei precedenti
accertamenti giudiziari, dei criteri valutativi ivi utilizzati, della asserita carenza dei necessari
riscontri esterni tutti elementi che, al contrario, risultano accuratamente essere stati vagliati nei
diversi gradi di giudizio, costituendo le doglianze poste a fondamento dell’istanza di revisione mere
riproposizioni di censure già oggetto di autonomo apprezzamento con pronunce definitive,
inammissibili in sede di revisione laddove non sia avallata da fatti nuovi attraverso i quali si annulli
la sussistenza del riscontro.
Tanto premesso appare evidente come la motivazione della sentenza impugnata appaia
assolutamente coerente ed in linea con i principi più volte affermati da questa Corte in tema di
giudizio di revisione. Non solo va ricordato, infatti, come il giudizio di attendibilità di
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famiglia di Santa Maria del Gesù, aveva deciso l’uccisione del Grado Benedetto

un collaboratore di giustizia, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare, di per sé,
oggetto di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza di un fatto storico
nel quale è stato rinvenuto il riscontro esterno alle dichiarazioni del medesimo soggetto (Sezione I,
sentenza n. 11261 del 4/02/2009, Rv. 243919), ma anche che il concetto di prova nuova debba
essere inquadrato in relazione al materiale oggetto di cognizione e valutazione da parte del giudice
che aveva pronunziato la sentenza (Sezione VI, sentenza n. 20022 del 30/01/2014, Rv. 2598778).

individuazione di aspetti della vicenda che hanno già costituito oggetto di esame nel corso dei gradi
di giudizio di merito, appare evidente come il richiamo all’istituto della revisione sia del tutto
improprio, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ne consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13/11/2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

In tal senso e nella misura in cui le doglianze poste a base del ricorso si traducono in una

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